Un calcio al pallone e uno ai sogni
Di fronte a una pellicola come Piede di Dio non è così scontato mantenere quella distanza, chiamiamola pure la giusta distanza, che agevoli il compito del critico, consentendogli di esprimere serenamente il proprio giudizio. Questo lieve disagio è dovuto, almeno in parte, al fatto che a divenire oggetto dell'analisi critica è l'opera di un esordiente, Luigi Sardiello, animato da diverse buone intenzioni non sempre finalizzate a dovere. Ma veniamo subito al punto. Piede di Dio può essere visto come l'ennesimo film focalizzato sul calcio o su ambienti prossimi al calcio, ma al tempo stesso è qualcosa di più. C'è di sicuro a latere l'Italia in affanno di questi ultimi anni, campionata attraverso la storiellina quasi fiabesca del talent scout in crisi e del campioncino di 18 anni affetto dai comportamenti di un ritardato, lampante esempio di innocenza, istintività, passione mai doma (al contrario di quanto riscontrato in certi coetanei, tanto per dire) nei confronti del gioco. Sì, il gioco del calcio, non lo squallido business che gira intorno alle partite e alle trasmissioni televisive.
Lo strano rapporto che si instaura nel film tra queste due figure marginali, quasi sicuramente destinate a perdere, è il motore di una riflessione non banale; una tragicommedia tipicamente italiana, con lo scalcinato procuratore interpretato magistralmente da Emilio Solfrizzi che trascina il ragazzo, fenomeno sul campo ma spaurito "uccellino" (soprannome, questo, del fuoriclasse brasiliano Garrincha) nella vita, in una specie di corrida rappresentata dal provino per una grande società. Sugli spalti, appollaiati come avvoltoi, quei grandi manager e osservatori delle squadre di calcio che insieme a direttori di banca, aspiranti veline e altra sciagurata umanità sono un po' i "mostri" (con la benedizione di Dino Risi, possibilmente) dell'Italia di oggi. Il teorema dell'affranto Sardiello, teso da par suo a far sorridere, amaramente, di alcune delle ataviche tare del belpaese, si infrange su una data non casuale. Siamo infatti nel 2006, anno in cui la Nazionale vinse i Mondiali tedeschi dopo che il nostro calcio era stato investito dalla tempesta degli scandali e degli illeciti, col nome di Moggi a riempire le prime pagine dei quotidiani sportivi e non. Calciopoli, insomma. In virtù di tale cornice, sarà l'incauto talent scout a trascinare il giovane Elia nell'orbita di uno sport sempre più corrotto e senz'anima, o sarà piuttosto il ragazzo a imporre il suo modello di purezza, abdicando al successo per continuare a rincorrere un pallone con passione più genuina? Ve lo lasciamo immaginare.
Detto ciò, si sarà forse intuito perché Piede di Dio susciti una certa simpatia, anche al di là di quell'ambientazione pugliese (con tanto di Sud Sound System ad arricchire la colonna sonora) che aggiunge inevitabilmente una nota di colore. Ma va anche detto che le buone intuizioni di cui sopra sembrano sfociare troppo spesso in una drammaturgia claudicante, con scambi di battute tra i protagonisti e situazioni di gran lunga più promettenti che rivelano infine pericolosi cali di umorismo. Alcune invenzioni di regia un po' spericolate, come la pacchiana sequenza di animazione introdotta per materializzare le fantasie di Elia, si potevano altresì evitare. Tra gli errori di inesperienza si può catalogare anche la scelta di alcuni attori per le parti secondarie, ma a sostenere Piede di Dio persino nelle sequenze meno riuscite permane un valore aggiunto: Emilio Solfrizzi, attore sempre più bravo e qui capace di duettare in modo eccelso sia con Elena Bouryka, piuttosto convincente nel mettere in scena la frivolezza del suo personaggio, sia e soprattutto con Filippo Pucillo: la spontaneità di Elia, campioncino autistico immune dai veleni di calciopoli, farà effetto su molti spettatori, di questo possiamo esserne certi.