È stato come vivere un incubo. Lei era... era così diversa dal solito. Ha detto di essere coinvolta in certe strane storie, di essersi fatta trascinare in una brutta faccenda. Diceva che l'avresti odiata per questo. Diceva: 'Ci sono certi aspetti della mia vita che nemmeno Donna può immaginare'.
La sera di domenica 8 aprile 1990 sulla ABC andava in onda Northwest Passage: l'episodio pilota di una nuova serie poliziesca che rappresentava la più ambiziosa scommessa mai intrapresa da uno dei colossi della TV americana. L'esordio di Twin Peaks sugli schermi statunitensi non arrivava come una sorpresa assoluta: quella mega-puntata lunga novantaquattro minuti era già stata proiettata, sette mesi prima, al Festival di Telluride. Per l'occasione, il critico Tom Shales aveva chiuso con queste parole la sua recensione sul Washington Post: "Twin Peaks non è solo una visita a un'altra città; è una visita a un altro pianeta. Forse passerà alla storia come un esperimento breve e coraggioso. Ma come può essere detto per pochi altri show TV nel prossimo o immediato futuro: Questo Dovete Vederlo".
Passaggio a Nord-Ovest: un'altra televisione è possibile
E sette mesi più tardi, il pubblico americano avrebbe seguito il consiglio: la sera di quel fatidico 8 aprile, oltre trentaquattro milioni di spettatori rimasero incollati allo schermo per questa prima incursione nella cittadina di Twin Peaks. Dal giorno dopo, una domanda cominciò a serpeggiare tra scuole, uffici e pareti domestiche, con una frequenza sempre più ossessiva: "Chi ha ucciso Laura Palmer?". Ma soprattutto, dal giorno dopo, la televisione sarebbe cambiata per sempre: perché Twin Peaks, approdato in Italia il 9 gennaio 1991 sull'onda di una gigantesca eco mediatica, aveva segnato un punto di non ritorno. L'"esperimento breve e coraggioso" condotto da David Lynch e Mark Frost si sarebbe interrotto circa un anno più tardi, il 10 giugno 1991: eppure, quel periodo di tempo è stato sufficiente a completare un capitolo indelebile nell'immaginario di almeno un paio di generazioni.
Su Twin Peaks, da allora, si è detto e scritto tantissimo, e nel frattempo i misteri della fittizia cittadina dei "picchi gemelli" nello Stato di Washington, al confine con il Canada (da qui il titolo del pilot, Passaggio a Nord-Ovest), hanno dato vita anche a un controverso prequel cinematografico, Twin Peaks - Fuoco cammina con me, e a un miracoloso sequel televisivo del 2017 in diciotto puntate, Twin Peaks - Il ritorno. Ma è bene ricordare che tutto è partito da lì: dai novantaquattro minuti che, in una domenica di primavera di trent'anni fa, hanno sconvolto l'America, dimostrando di colpo che un'altra TV era possibile. Torniamo dunque alle soglie di quella rivoluzione, da molti vissuta "in diretta", da molti altri riscoperta nei decenni a venire, e a un freddo mattino del 24 febbraio 1989, quando il taglialegna Pete Martell, andando a pesca, fa un macabro ritrovamento sulla sponda del fiume.
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Chi ha ucciso Laura Palmer?
"È morta... è avvolta nella plastica, Harry!". La frase pronunciata al telefono da Pete Martell all'indirizzo dello sceriffo Harry S. Truman è diventata proverbiale, e ha contribuito alla statura iconica dell'incipit forse più famoso negli annali della serialità televisiva: il volto di Sheryl Lee, con il suo esangue pallore, che emerge all'improvviso da una sacca di plastica depositata sui ciottoli. A corredare la sequenza che dà avvio al mistero è il celeberrimo Laura Palmer's Theme, melodia portante della colonna sonora di Angelo Badalamenti: una musica eterea, ipnotica, la cui struggente malinconia si colora di pennellate inesorabilmente sinistre. Il newyorkese Badalamenti, a cui il tema strumentale della sigla farà guadagnare un Grammy Award, aveva già inaugurato il proprio sodalizio con David Lynch nel 1986, con la soundtrack di Velluto blu.
E al conturbante capolavoro cinematografico di Lynch si collega, per diversi aspetti, l'intero pilot di Twin Peaks: eccoci in un'altra cittadina di provincia, la cui apparente serenità è incrinata da un crimine brutale. Northwest Passage, in effetti, si apre come un giallo: l'omicidio di Laura Palmer, la bionda diciassettenne consegnata dalle acque del fiume nel suo sudario di plastica, è il motore di un impianto da whodunit di cui questo primo episodio già stabilisce le coordinate principali. E mentre la notizia della morte di Laura si diffonde a macchia d'olio nella circoscritta comunità di Twin Peaks, Lynch, regista e sceneggiatore del pilot, ci restituisce frammenti del dolore dei suoi cari: la disperazione dei coniugi Palmer, le lacrime della sua amica del cuore, Donna Hawyard, ma soprattutto la lenta carrellata fra i corridoi deserti della scuola, l'immagine più emblematica di questo lutto così atroce.
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"Undici e trenta di mattina del 24 febbraio": entra in scena Dale Cooper
A ben trenta minuti dall'inizio dell'episodio, David Lynch fa entrare in scena il vero protagonista della serie: Dale Cooper, il giovane agente speciale dell'FBI, che guida alla volta di Twin Peaks mentre registra un'audiocassetta per la sua segretaria, l'invisibile Diane (nella terza stagione il ruolo sarà affidato a una delle attrici-feticcio di Lynch, Laura Dern). Dale Cooper ha il viso 'pulito' e lo sguardo sorridente dell'attore favorito del regista, Kyle MacLachlan, che quattro anni prima aveva interpretato Jeffrey Beaumont, il detective improvvisato e voyeur di Velluto blu. Cooper ha la compostezza del professionista ed è dotato di un rassicurante savoir-faire, ma condivide con Jeffrey quell'innocenza cristallina da contrapporre a un Male mostruoso e insondabile.
Dale Cooper, che prende le redini delle indagini sulla morte di Laura Palmer affiancandosi al piccolo team dello sceriffo Truman, costituisce l'unico punto di vista 'estraneo', e pertanto il più limpido, sul microcosmo di Twin Peaks: un microcosmo gravido di contraddizioni e di elementi inconciliabili, che Cooper tenterà di abbracciare in tutta la loro insondabile complessità, senza necessariamente volerne trarre una sintesi. È la medesima formula alla base della scrittura di David Lynch e di Mark Frost: il noir e la commedia, il teen movie e la soap opera, il sentimento e il grottesco, il romanticismo e l'orrore. Perché Twin Peaks, ma gli spettatori l'avrebbero capito davvero solo nelle settimane a venire, racchiude tutto questo: l'idillio bucolico dei suoi boschi e la dolcezza delle crostate alla ciliegia, ma anche il perturbante celato dietro il quotidiano e l'abisso pronto a spalancarsi fra le tenebre.
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Gli abitanti di Twin Peaks e il fantasma di Laura
Non a caso, nella serie di Lynch e Frost, l'inquietudine scaturisce spesso da ciò che ha sembianze familiari, eppure rivela un quid di alterità o di minaccia. È il motivo per cui, fin dal primo episodio, Twin Peaks si nutre di un immaginario ben riconoscibile, quella provincia rurale con connotazioni quasi da American Gothic, e dipinge la propria galleria di personaggi basandosi su archetipi della narrativa televisiva e cinematografica: Donna Hayward è la coraggiosa ragazza della porta accanto, Audrey Horne la provocante Lolita; James Hurley il bel tenebroso dal cuore d'oro, Bobby Briggs il ribelle scapestrato e impulsivo; la cameriera Shelly Johnson e suo marito Leo riproducono il tòpos del "bruto e la bella", mentre il vice-sceriffo Andy Brennan e la segretaria Lucy Moran stemperano la tensione con le loro parentesi comiche, al limite del buffonesco.
Ma Northwest Passage introduce anche personaggi maggiormente sfumati ed ambigui, destinati a imporsi tra le figure più accattivanti della serie: l'avido uomo d'affari Benjamin Horne, l'introversa e fascinosa Jocelyn Packard e ovviamente la sua infida e spregiudicata cognata, Catherine Martell, di cui una sopraffina interprete quale Piper Laurie disegnerà un irresistibile ritratto da villainess. Tutti quanti, in maniera più o meno diretta, ruotano attorno a Laura Palmer, la grande presenza-assenza di Twin Peaks: un'erede delle "donne fantasma" del noir classico, continuamente nominata ed evocata (il dialogo fra James e Donna nella foresta), la cui natura evanescente è rimarcata perfino dalla sua unica 'apparizione' nel pilot, nei fotogrammi sgranati di una VHS che la vede danzare con gioiosa spensieratezza al fianco dell'amica Donna.
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Una nuova TV fra realtà, sogno e incubo
In Twin Peaks, come sarebbe accaduto da lì in poi con quasi tutto il cinema di David Lynch, il realismo iniziale cede terreno all'irrompere dell'immaginazione, del sogno, del delirio. Nella serie tale contaminazione avverrà in maniera progressiva, con incursioni nel fantastico via via più marcate e spiazzanti da una puntata all'altra; ma il pubblico di quell'8 aprile, ancora ignaro della Loggia Nera, probabilmente conservava l'impressione di trovarsi di fronte a un racconto realistico e a un'investigazione più canonica. Se non fosse che pure nel pilot Lynch non rinuncia a qualche pennellata vagamente surreale: si pensi alla scena al Roadhouse, in cui l'arrivo di Donna scatena un tafferuglio fra Bobby e altri avventori. Poco prima, nell'atmosfera soffusa del locale, la voce carezzevole di Julee Cruise scivolava sulle note di Falling; subito dopo, neppure l'infuriare della rissa riuscirà a interrompere l'incanto magnetico della canzone successiva, The Nightingale.
L'effetto è quello di uno straniante corto circuito, la sensazione che realtà e onirico possano compenetrarsi l'una nell'altro: è in fondo il segreto di Twin Peaks, un primo assaggio di ciò che ci aspetta. E se al Roadhouse è il sogno, mediante la voce di Julee Cruise, a reclamare il proprio dominio, nell'ultima scena dell'episodio toccherà invece all'incubo: l'urlo di Sarah Palmer, i suoi occhi sbarrati colmi di terrore. Qual è la fonte di quel terrore? La risposta, così come la chiave del mistero di Laura, è nascosta in un angolo dell'inquadratura, nel riflesso di uno specchio. L'8 aprile 1990 nessuno poteva averne idea, ma David Lynch ci aveva appena dischiuso le porte di un nuovo mondo. Il cinema, il suo cinema, era penetrato per la prima volta nel piccolo schermo, e dopo quella notte nulla sarebbe stato più come prima.
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