A sedici anni non sempre la difficoltà più grande è trovare se stessi, ma costruire letteralmente il coraggio di mostrare chi si è a tutti, senza se e senza ma. È questo il passaggio a cui guarderemo con la recensione di Tutto è possibile su Prime video dal 22 luglio, un coming of age diretto dall'attore di Pose e Cenerentola, Billy Porter, qui al suo debutto dietro la macchina da presa su una sceneggiatura dell'autrice trans Ximena García Lecuonam.
Protagonista è Eva Reign nei panni di Kelsa, teenager afroamericana trans che vive a Pittsburgh con la madre single ed è in procinto di iniziare il suo ultimo anno di liceo, per poi finalmente decidere la sua strada. Kelsa, si racconta, segretamente, attraverso dei video YouTube di cui tutti ignorano l'esistenza e lì confessa di non saper bene che direzione intraprendere rispetto al suo futuro universitario/lavorativo e quello delle relazioni.
Nel mondo iper colorato della ragazza troviamo due migliori amiche - che usare il termine scintillanti è dir poco - e una madre un po' troppo protettiva ma evidentemente carica del doppio ruolo genitoriale dopo l'abbandono del padre. L'indecisione di Kelsa sulle relazioni sentimentali e come relazionarsi con gli altri, nel suo essere una ragazza transgender viene travolta dall'interesse di e per Khalid (Abubakr Ali), gentile e riservato ragazzo musulmano, affascinato da lei.
Billy Porter segue le regole del teen movie e del coming of age includendo con dovute e doverose modifiche di stile e attenzione, un mondo, quello trans, che manca di rappresentazione e va conosciuto. Così facendo, si propone di criticare un atteggiamento condiscendente, woke, direbbero gli americani, che ora viene riservato a tutti coloro che sono "diversi" per usare un termine obsoleto, in quanto a orientamento sessuale, identità di genere, etnia. In più, il regista manifesta l'intenzione di evidenziare una grande ignoranza di tanti, troppi, rispetto a molte altre realtà, come quella trans, per esempio.
La sceneggiatura di Ximena García Lecuonam è però leggera, ricca di dialoghi che vorrebbero andare a fondo nelle questioni appena sollevate ma, allo stesso tempo, non risultare pedanti. Purtroppo Tutto è possibile non trova del tutto il suo equilibrio e rimane un film molto curato, molto piacevole e romantico senza però potersi erigere a caposaldo di una letteratura cinematografica di nuova generazione. Film come questo però sono piccoli e godibili passi in avanti a rinverdire la branca young adult e renderla più vera, fedele a tutte le sfumature di cui si compone la realtà e per questo Tutto è possibile va visto e apprezzato.
Animali unici
"Uno dei motivi per cui mi piacciono gli animali è che prendono il nome da ciò che li rende unici, che è anche quello che li fa sopravvivere. Sopravvivenza è creatività". Tutto è possibile inizia con Kelsa che descrive il suo mondo con questa frase sopracitata, finendo per paragonare le persone che la amano attorno a lei, le migliori amiche e la mamma, a degli animali unici. Diversità è bellezza, lo sappiamo e Billy Porter non può che iniziare il suo debutto alla regia, ricordandocelo. Come proseguire in questa dichiarazione di unicità se non dandogli voce a partire dall'estetica? E chi più dell'attore, famoso per la sua fluidità di genere e la maestria ammirata in Pose poteva riuscire in questo compito. Via libera dunque ad abiti ed atteggiamenti oltre i confini, accettati e accolti senza stupore o discriminazione da quella generazione Z, raccontata nel film, che si dichiara inclusiva e libera. Ambientando il tutto nella Pittsburgh dove è nato 52 anni fa, Porter poi continua nella sua opera rappresentativa della realtà, scegliendo anche un cast variegato e normalmente imperfetto, dai protagonisti, ai comprimari fino alle comparse. Non ci sono corpi da copertina ma piccoli dettagli che fanno dei personaggi di questo film, persone. Tutti sbagliano, sono egoisti e dicono le cose mossi da rabbia e paura.
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Sull'identità e non sul genere
Come premesso ad inizio recensione, il succo e la parte interessante del percorso di Tutto è possibile è il suo non volersi soffermare sulle difficoltà della transizione di genere, ma sulla gestione di questo particolare nel rapporto con il fuori, con gli altri. Nel riflettere su ciò che il futuro le riserva, Kelsa si trova dinanzi un dilemma con cui è possibile relazionarsi, perché ampliabile a tutti: nascondere una volta al college, il suo essere trans oppure dichiararlo da subito e accettare ogni possibile reazione? "Voi cosa preferireste? - domanda Kelsa agli utenti del suo canale Youtube - La disperazione esistenziale di non essere conosciuti o quella di essere conosciuti e rifiutati?". Con tale quesito, Porter, rende il particolare, universale, e attraverso Kelsa, ci pone davanti la più grande difficoltà di ogni adolescente (e ancora molti adulti), mostrare se stessi e accettare anche di non essere da tutti amati per quel che si è. Lo stesso tormento infatti, lo vive anche Khalid, ragazzo musulmano innamorato di Kelsa, le cui azioni sono sempre state mosse da tanta gentilezza e sensibilità quanto un forte desiderio di piacere a tutti. La relazione tra i due, servirà, come nelle migliori storie d'amore, ad andare oltre questi dilemmi. È sull'identità, sul chi siamo, e non sul genere di appartenenza che si concentra Tutto è possibile e Porter regista, in questo, ha una marcia in più.
La legge dei grandi numeri
Kelsa e la mamma hanno fatto un patto. Il loro rapporto deve essere portato avanti come un qualsiasi legame mamma-figlia, senza atteggiamenti, commenti o discorsi "speciali" dovuti alla presunta diversità della ragazza. La chiamano Legge dei grandi numeri, invocata puntualmente quando una delle due esce dal seminato. Dimostrano di voler seguire la stessa legge Billy Porter e Ximena García Lecuonam nella leggerezza con cui confezionano questo teen movie che ha tutti i pregi elencati finora ma pecca in superficialità spesso, per paura di fare la paternale, di essere troppo pesante o pedante. Sottolineiamo invece che avremmo voluto vedere molti ma molti più momenti come il litigio tra Kelsa e sua madre sul proteggersi dal mondo esterno oppure il dialogo tra Khalid e la sua mamma, che seppur non del tutto capace di capire il figlio nei suoi orientamenti, desideri, slanci amorosi, ne conosce l'essenza profonda e gentile. Billy Porter, con Tutto è possibile, fa lo stesso errore di Andrew Ahn con Fire Island su Disney+, per mantenere i toni della commedia e rinverdirla con più rappresentazione, la tocca piano invece di premere il piede a tavoletta sull'acceleratore. Vogliamo vederla come una partenza con il folle per poi guadagnare velocità lungo la sua carriera di regista.
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Conclusioni
A fine recensione di Tutto è possibile, premiamo Billy Porter per un debutto alla regia spumeggiante, ricco di inclusione e riferimenti ai giusti e necessari elementi della teen comedy. La generazione Z e tutte le adolescenze sono qui ben rappresentate nel dilemma della protagonista Kelsa, ragazza trans indecisa sul raccontarsi del tutto in futuro, con chi incontrerà oppure filtrare una parte di se stessa e rischiare di non essere mai conosciuta e accettata per chi è veramente. Nel suo tentativo di rispettare il tono della commedia e della leggerezza, Porter non sempre va a fondo e non calca la mano dove forse farebbe la differenza ma vogliamo sperare sia solo un errore di prudenza degli inizi di un’artista, ora anche regista promettente e non solo più uno sfavillante attore.
Perché ci piace
- Racconta la difficoltà di comunicare al mondo chi siamo e non punta sulla transizione di genere.
- I due protagonisti sono perfetti insieme.
- È un inno all’unicità nello stile e nei contenuti.
Cosa non va
- Vuole rimanere una commedia teen e non si spinge oltre per paura di fare lezione di morale.
- Non calca la mano dove dovrebbe e finisce per accennare ai problemi senza approfondirli.