Non è sempre facile coniugare qualità e popolarità, autorialità e capacità di raggiungere il grande pubblico. Non è semplice, lo sappiamo bene, ma è a questo che vogliamo dedicare l'apertura di questa recensione di Tutto chiede salvezza, perché la serie di Francesco Bruni riesce a fare proprio questo: mettere in scena un racconto coinvolgente e accessibile al grande pubblico che non rinuncia a esprimere una propria impronta autoriale e una qualità elevata in ogni reparto produttivo. Bella da guardare, intelligente e profonda nella scrittura, intensa nelle interpretazioni, Tutto chiede salvezza è un titolo di cui avevamo bisogno, perché intrattiene e fa riflettere, emoziona e diverte, è solida e sicura ma leggera e accogliente. Si tratta di un adattamento dal romanzo di Daniele Mencarelli che punta il riflettore sul mondo dei ricoverati per TSO raccontando un gruppo variegato di personaggi valorizzato da interpreti in gran forma, dal protagonista Federico Cesari a Fotinì Peluso, Vincenzo Crea e Andrea Pennacchi.
Un duro risveglio
"Io non c'entro niente con voi!" Non fa che ripetere questo Daniele al suo primo impatto con la spiazzante realtà in cui si ritrova, bruscamente, al risveglio in quello che capisce presto essere un reparto psichiatrico. Intorno a lui quelli che chiamerebbe pazzi, quelli con cui "non c'entra niente", cinque improbabili compagni di stanza accuditi da infermieri cinici, svogliati, in apparenza disinteressati alla loro sorte, la cui unica preoccupazione sembra non volere fastidi. In quel reparto, scopre Daniele, dovrà passare sette giorni, che in quella situazione sembrano interminabili. Una prima impressione che poco per volta si andrà a modificare, man mano che il ragazzo imparerà a conoscere le altre persone che condividono i suoi stessi spazi e si incuriosirà di una nuova arrivata che sa di conoscere con la quale cercherà di mettere in piedi un dialogo.
All'ombra di un faro
L'ospedale psichiatrico presentatoci da Francesco Bruni in Tutto chiede salvezza è suggestivo e potente, una struttura piccola, accompagnata da un faro, circondata dal verde. Un luogo che può essere affascinante, ma che per Daniele è una prigione in cui scontare sette giorni di condanna. Per questo diventano fondamentali gli spazi in cui Bruni fa muovere lui e gli altri compagni di reparto, la composizione stessa della struttura che li accoglie, con le sue stanze, le sue porte a vetri, le sue finestre da cui scrutare il mondo. Scena dopo scena, episodio dopo episodio, impariamo a muoverci al suo interno, a conoscerla insieme a Daniele, a familiarizzare con medici, infermieri, compagni di sventura: ci affezioniamo al Gianluca di Vincenzo Crea, proviamo tenerezza e curiosità per il Mario di Andrea Pennacchi, proviamo fastidio per la cinica strafottenza dell'infermiere di Ricky Memphis. Ci ambientiamo, insomma.
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Vedersi riflessi nel prossimo e capirsi
E nel prendere le misure con spazi e persone, entriamo in sintonia con la forte empatia e sensibilità di Daniele, che Federico Cesari mette in scena con energia e intensità: la veemenza del primo impatto col posto, lo smarrimento, il senso di colpa per quanto fatto, che poco a poco gli torna in mente. Leggiamo tutto sul suo volto, lo comprendiamo, ne soffriamo. Bruni è bravo a farci provare quello che prova Daniele, a usare la bravura di Cesari per creare un ponte verso lo spettatore. Per sette episodi viviamo anche noi l'esperienza del TSO a cui il ragazzo è soggetto e cogliamo il suo processo di comprensione. Il suo cammino non è però autonomo, passa per gli altri compagni di reparto, per il confronto con gli altri che diventano uno specchio in cui vedersi riflessi. Daniele dovrà capire di non essere poi così diversi da quelle figure da cui si è sentito respinto in prima battuta, che, come recita il poster del film citando Basaglia, "da vicino nessuno è normale".
Dopo Per lanciarsi dalle stelle, un altro titolo Netflix mette in scena una situazione di disagio. Seppur con toni e approccio diversi, troviamo un'altra produzione che racconta problematiche relative alla salute mentale e ci sembra importante che si faccia, che se ne parli e che si mostri qualcosa in cui tanti spettatori possono riconoscersi, in un modo o nell'altro. Se poi si riesce a fare con la qualità di Tutto chiede salvezza, non possiamo che esserne ancor più felici.
Conclusioni
Non possiamo che consigliarvi la visione al termine della recensione di Tutto chiede salvezza, sette episodi per sette giorni di cammino per il protagonista interpretato da un bravissimo Federico Cesari e i suoi compagni di reparto. Il testo di Daniele Mencarelli è adattato con grazia e cura e pone solide basi per il lavoro di costruzione della storia e della messa in scena di Francesco Bruni, che conferma il suo valore come regista in grado di comunicare, divertire ed emozionare. Un'ottima serie, tra le migliori esperienze italiane di Netflix, che sa affrontare con la giusta misura il tema importante della salute mentale.
Perché ci piace
- Federico Cesari, per un Daniele tormentato, confuso, empatico.
- I suoi compagni d'avventura, da Fotinì Peluso ad Andrea Pennacchi, senza dimenticare Vincenzo Crea o l'infermiere Ricky Memphis.
- La messa in scena e gestione degli spazi di Francesco Bruni, che valorizza il racconto riuscendo sia a divertire che emozionare.
- L'importanza di parlare di salute mentale. Oggi ancor più che in passato.
Cosa non va
- Sono solo sette episodi e, a differenza dei protagonisti, saremmo voluti restare più a lungo in quel reparto.