Ho conosciuto Philip un anno e mezzo fa. Philip è uno scrittore americano trapiantato a Londra. Non ho mai capito perché abbia scelto l'esilio.
Philip Roth è davvero un autore 'infilmabile'? Si tratta di un interrogativo con cui registi e sceneggiatori si sono cimentati per circa mezzo secolo, e che sembra naturale riproporre in apertura della nostra recensione di Tromperie - Inganno, in cui a confrontarsi con il grande scrittore americano è uno dei più importanti cineasti francesi, Arnaud Desplechin. Nell'arco di un'ora e quaranta minuti Desplechin condensa le duecento pagine di Inganno, breve romanzo datato 1990 in cui Roth giocava - più del solito - con la matrice autobiografica, a partire da un protagonista alter ego a cui attribuiva il proprio nome e la propria identità: uno scrittore ultracinquantenne e donnaiolo, dedito a trasformare i frammenti della sua vita in materia letteraria.
Le donne (i fantasmi?) di Philip Roth
Il progetto di Tromperie - Inganno, cullato da Arnaud Desplechin per diversi anni e presentato al Festival di Cannes 2021 nella sezione Premières, implicava una sfida ulteriore: sviluppare una trasposizione per lo schermo da un romanzo costituito unicamente da una fitta rete di conversazioni nello spazio circoscritto di una stanza. Rieccoci dunque all'eterno quesito sulla presunta 'infilmabilità' di Philip Roth, qui ancor più palese rispetto ai suoi sette precedenti adattamenti per il cinema: da La ragazza di Tony di Larry Peerce, nel 1969, ad American Pastoral di Ewan McGregor, del 2016, a cui si è aggiunta nel 2020 la miniserie TV Il complotto contro l'America. Ma la filmografia di Desplechin, del resto, è da sempre imperniata su una natura dialogica, che discende dalla tradizione di Eric Rohmer declinata però in maniera assolutamente peculiare e personalissima: dall'inclinazione per gli elementi surreali all'amore per le digressioni e i percorsi lasciati aperti.
E in Tromperie - Inganno, attorno agli incontri clandestini fra i due personaggi principali, Desplechin innesta appunto percorsi ulteriori, quasi come finestre aperte su altri film ancora 'in potenza': una donna della Cecoslovacchia (Madalina Constantin) che rievoca le sue disavventure nell'Europa della "cortina di ferro" e Rosalie (Emmanuelle Devos), che lotta contro un tumore, in un precario equilibrio fra speranza e paura. Philip Roth, incarnato dall'attore Denis Podalydès, rievoca queste ed altre figure in una girandola di memorie e di ossessioni che, fra appunti su un quaderno e idee per un nuovo romanzo, assume contorni indefiniti, forse addirittura fantasmatici, in un terreno liminare rispetto al mondo della finzione.
Il complotto contro l'America, la recensione: l'incubo fantapolitico di Philip Roth
Lezioni di anatomia dei sentimenti
La dimensione onirica prende decisamente il sopravvento nella scena del processo: l'unico, fra i dodici 'capitoli' del film, in cui alle confessioni a cuore aperto fra due personaggi si sostituisce un agone felliniano tra Philip e un tribunale che lo accusa di misoginia. Una concessione di Arnaud Desplechin alla beffarda autoironia di Roth, autore consapevole di quel narcisismo (autentico o artificioso?) da lui stesso analizzato, rivendicato o messo alla berlina in alcune fra le pagine più memorabili della sua sterminata produzione. E la lucidità implacabile di Philip Roth, la sua capacità di adoperare le parole come bisturi in un'autopsia della morale e dei sentimenti, sono recuperate da Desplechin in una pellicola in cui i codici del "cinema da camera" lasciano emergere desideri, rimorsi e inquietudini. Le pareti dello studio londinese di Roth diventano così il teatro dei suoi amplessi adulterini con una giovane donna senza nome, che ha la sensualità ammaliante e gioiosa di Léa Seydoux, ma anche delle confidenze fra il maturo scrittore e la sua amante, in un amalgama fra sincerità, malizia e note di malinconia.
Conclusioni
Attraverso la prosa di Philip Roth, Arnaud Desplechin ritorna dunque a quell’idea di cinema come narrazione diaristica e rituale psicanalitico, già elaborata in passato in film quali Comment je me suis disputé... (ma vie sexuelle), I re e la regina e Jimmy P. Un’idea che, come abbiamo visto in questa recensione di Tromperie – Inganno, viene ribadita mediante un approccio ancora più ‘radicale’ (non a caso si è trattato del minor successo di pubblico nella carriera del regista) e con risultati di notevole interesse, e non solo per i fan di Roth.
Perché ci piace
- L’intelligenza con cui Arnaud Desplechin restituisce sullo schermo la prosa densissima di Philip Roth, pur rispettando la natura dialogica del romanzo.
- L’accurato lavoro sulle immagini e sulla grammatica del linguaggio cinematografico, pur all’interno di un film tutto affidato alla parola.
- L’apporto del cast, dominato da un convincente Denis Podalydès e da una Léa Seydoux a dir poco magnetica.
Cosa non va
- Una sostanziale ‘staticità’ e una struttura frammentaria che richiedono la giusta predisposizione dello spettatore.