Cina, anno 2030. La JS Corporation sta per immettere sul mercato un rivoluzionario videogioco online chiamato JX003: il gioco consente ai giocatori di immergersi completamente, attraverso speciali sensori, in una realtà virtuale che presenta un grado di realismo molto alto, e di interagire fisicamente con il suo universo, in una simulazione che coinvolge tutti e cinque i sensi. La multinazionale organizza un test per un numero limitato di giocatori, che saranno trasportati nel 753 d.C. durante il regno della dinastia Tang, nel periodo che viene definito anche l'Era dei Maestri di Spada. Durante il test, però, fa inaspettatamente irruzione nel gioco un personaggio sconosciuto: un guerriero che non era stato previsto dagli sviluppatori, impersonato dal pirata informatico Zhao Xiao Zhao. Le motivazioni di Zhao sono tutte terrene e affondano le loro radici nel suo passato; ma le conseguenze della sua azione finiscono per coinvolgere la sua fidanzata Ye Jing Yi e anche un'altra coppia di giocatori, lasciando inaspettatamente i quattro prigionieri del mondo virtuale.
E' certo un evento, la trasmissione italiana di questo Il destino del maestro di spada (in onda sul canale satellitare Babel a partire dal 16 novembre); ma è soprattutto l'occasione, per il pubblico italiano, di gettare uno sguardo su una produzione televisiva vastissima, ma tuttora rimasta per noi completamente inedita, come quella cinese. Nonostante la Cina continentale sia infatti, attualmente, il primo produttore mondiale di serie televisive, i prodotti provenienti da quel mercato sono sconosciuti agli spettatori italiani, con l'eccezione di quei ristretti circuiti di appassionati che si affidano all'acquisto dei DVD esteri o al sempre demonizzato, ma di fatto universalmente utilizzato, strumento del p2p. E' così con la giusta curiosità che ci si deve approcciare a questa serie che mescola disinvoltamente passato e futuro, suggestioni cyberpunk di chiara derivazione occidentale e la tradizione del wuxiapian, genere che dagli schermi cinematografici di Hong Kong e (ultimamente) della Cina mainland si sta sempre più spostando verso il piccolo schermo, affidandosi a una serialità che ben si sposa con la complessità delle vicende che spesso caratterizzano le sue storie. Il primo episodio della serie, mostrato in anteprima nell'ambito del Roma Fiction Fest (in tutto le puntate saranno 33, di circa 47 minuti l'una) mostra una certa cura nella realizzazione tecnica generale, ma anche qualche pecca nell'uso del digitale, troppo visibilmente posticcio in alcune scenografie. L'uso del green screen, nel quale Hollywood è ormai maestra, così come lo è diventato (più recentemente) il Giappone, va probabilmente ancora perfezionato nei prodotti provenienti dal mercato cinese, specie se destinati al piccolo schermo. La cosa che comunque salta immediatamente all'occhio è la commistione di suggestioni diverse che animano la trama: un futuro con ologrammi, videochiamate stereoscopiche e animali da compagnia robotici, l'idea di una realtà virtuale mutuata chiaramente dalla science fiction occidentale (e non parliamo solo dell'ovvio riferimento a Matrix, ma anche di film come eXistenZ di David Cronenberg e del recente Avatar, di cui viene ripresa l'idea di un secondo "corpo" separato dal proprio) si mescola alle coreografie e ai duelli del wuxiapian, con i topoi del genere tutti rispettati, dalla fisicità delle scene d'azione alle scenografie che ricostruiscono un passato tra realtà e mito. Un altro elemento interessante, che è chiaramente debitore del cinema di Hong Kong degli anni d'oro, è quella componente melodrammatica e (smaccatamente) sentimentale che in questo primo episodio viene soltanto accennata, ma che immaginiamo verrà approfondita nel prosieguo della storia. Il personaggio di Zhao si muove spinto da un ricordo proveniente dall'infanzia, mostrato con dei flashback in cui si vede un'innocenza perduta, una memoria struggente che subito chiama lo spettatore a un forte coinvolgimento emotivo. Anche sul grande schermo, d'altronde, il "furto" di tematiche appartenenti al cinema di Hong Kong da parte di sceneggiatori e registi cinesi è ormai pratica comune, così come pure gli scambi di professionalità tra i due paesi, in un mercato che di fatto è sempre più integrato. Anche in questo caso, il piccolo schermo non poteva che riprendere e amplificare certi processi, viste le maggiori possibilità, in termini di sviluppo narrativo e approfondimento dei personaggi, che lo strumento della serialità offre.Non ci resta, quindi, che attendere con curiosità e interesse la trasmissione integrale di questa nuova serie, facendo nel contempo un plauso allo staff di Babel per il coraggio nella scelta, e sperando che questa non rimarrà un esperimento isolato.