Totò cerca casa: la Famiglia Addams con qualche oncia di Neorealismo

Parliamo di Totò cerca casa, per la nostra rubrica intitolata Totò 3.0 a cura dell'esperto Giuseppe Cozzolino, capolavoro del 1949 del Principe della Risata.

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Una scena di Totò cerca casa

Totò cerca casa si apre nel Secondo Dopoguerra, Beniamino Lomacchio è il personaggio interpretato da Totò, uno sfollato costretto, con la propria famiglia, a vivere in una scuola che, a breve, li sfratterà per riaprire le proprie aule agli allievi.
La spasmodica ricerca dell'uomo di un'abitazione in cui sistemare i suoi cari (moglie, figlia maggiore, figlio minore) lo costringerà ad una serie di incredibili disavventure nonché ad incrociare il suo cammino con un tronfio e sempre più nevrastenico sindaco, ossessionato dalla sua presenza in ogni occasione pubblica che lo vede protagonista.

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Disavventure al cimitero

Nella miglior tradizione nostrana, con un piccolo trucco presso l'ufficio pubblico in cui lavora, Totò riuscirà a farsi assegnare un alloggio, ignorando però che si tratta di un posto di Custode al cimitero. In uno scenario di tuoni, fulmini, saette, ed una vista fatta di lapidi e croci che allieterebbero Charles Addams, Beniamino incontrerà un vice custode (il bravissimo Cesare Polacco) che gli consegnerà i "biglietti d'interro" illustrandogli il viavai dei "clienti", se c'è qualche "bella epidemia" o qualche "sigaretta nazionale", sotto il lugubre sguardo del ritratto del suo predecessore, gran suonatore d'organo ("Chissà la marcia funebre come la faceva bene!"). Seguiranno: una vedova inconsolabile con i ceri da accendere al suo scomparso marito che "la cullava fra le sue braccia" e l'aspirante fidanzato della figlia, Checchino, interpretato da un impeccabile Aroldo Tieri, costretto suo malgrado a fingersi fantasma "nel loculo".

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Dalla scuola al manicomio

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Una scena di Totò cerca casa

Obbligato, dopo una notte di terrore, a tornare alla scuola, Beniamino verrà scambiato per un alunno "somarone" e portato in classe per le orecchie, alla presenza di una sensuale patronessa (Marisa Merlini) e del Sindaco venuto a presenziare l'inaugurazione dell'Istituto. Messo in riga dalla moglie, si catapulterà, con l'aiuto di Checchino, nello studio del pittore nudista Grancassi dove una dama a dir poco avvenente lo scambierà per il Maestro mostrando le sue grazie davanti a lui. Un minuto prima che giunga sul posto il suo amante, il gelosissimo ambasciatore del Cubistan (un ben piantato e minaccioso Folco Lulli).

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Una scena di Totò cerca casa

Dopo una pausa forzata al Colosseo, con relativo gavettone al malcapitato Sindaco in vesti di cicerone per la principessa di uno stato estero, ritroveremo il nostro eroe in giro per appartamenti, dopo aver vinto un milione in un concorso a premi. Una ricerca che lo condurrà in una nuova trappola - orchestrata dalla sua spalla Mario Castellani, nelle vesti di un truffatore - che affitterà/venderà un sontuoso appartamento contemporaneamente alla sua famiglia, ad un gruppo di turiste "avvenenti" e ad un cinese oppiomane che si installerà nel bagno di casa. Come se non bastasse, l'abitazione è in realtà di proprietà del manesco ambasciatore e della dama, già incontrati nello studio del pittore. Risultato finale: Beniamino e la moglie troveranno finalmente sistemazione adeguata e confortevole nel manicomio cittadino.

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La regia di Steno e Monicelli

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Stefano Vanzina detto Steno

Girato nell'estate del '49, Totò cerca casa fu un vero e proprio blockbuster d'epoca con un incasso di ben 515 milioni di lire piazzandosi al secondo posto della classifica stagionale dopo il melodramma Catene di Raffaello Matarazzo. Registi di questa pellicola, che Morando Morandini definì "irresistibile parodia del neorealismo", sono due giovani trentenni, factotum e sceneggiatori del cinema di quegli anni: Stefano Vanzina e Mario Monicelli, a cui il produttore Carlo Ponti, dopo averne anche steso lo script assieme alla coppia Age & Scarpelli, affiderà la direzione per pura necessità (la produzione andava realizzata in fretta e non c'era tempo per individuare un regista).

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Per la realizzazione, Steno e Monicelli si ispirarono alla commedia Il custode di Alfredo Moscariello e alla storia a fumetti La famiglia Sfollatini, disegnata da Attalo, un disegnatore umoristico apprezzato anche da Fellini. I due dichiararono di voler fornire, col pretesto della commedia, "il ritratto di un'epoca e di una società in ebollizione". La loro folgorante carriera parte da qui. Mario Monicelli in seguito diverrà il Padre Fondatore della commedia all'italiana col grande classico I soliti ignoti, proseguendo con una linea di titoli leggendari da La grande guerra ad Amici miei. Steno continuerà a dedicarsi ad una commedia più "leggera" e disimpegnata, ma non meno vitale per i gusti del pubblico, da capolavori totoisti come Totò a colori" e Totò Diabolicus a pellicole altrettanto celebrate come Un Americano a Roma o Febbre da cavallo.

Articolo a cura di Giuseppe Cozzolino: Scrittore, saggista, produttore web, docente di Storia del Cinema e Storia delle Comunicazioni di Massa presso l'Università di Napoli