Lena Dunham torna a parlare di 'ragazze' con la nuova serie Too much, prodotta per Netflix, non trovando però quasi mai l'approccio giusto al racconto, scivolando troppe volte negli stereotipi che dovrebbero essere usati a proprio favore in modo sarcastico, senza riuscirci, e in spunti che vorrebbero risultare incisivi e provocatori, rimanendo tuttavia troppo distante dall'obiettivo.
Quella che poteva diventare una versione adulta e realistica di Emily in Paris diventa così una storia che poteva convincere in novanta minuti, venendo invece diluita in dieci puntate che divertono, emozionano e convincono solo in pochi momenti.
Cosa racconta Too Much

Jessica (Megan Stalter) decide di lasciare New York dopo essere stata lasciata dal suo fidanzato Zev (Michael Zegen), che ha iniziato una relazione con la bellissima Wendy Jones (Emily Ratajkowski), una star dei social.
La protagonista, che lavora come produttrice nel campo della pubblicità, parte quindi con destinazione Londra insieme al suo cane, dove incontra l'affascinante cantante Felix (Will Sharpe), e inizia a far parte del complicato team guidato da Jonno Ratigan (Richard E. Grant), ritrovandosi alle prese con colleghi alle prese con relazioni e situazioni personali problematiche e complesse.
Jessica, per affrontare la situazione, realizza dei video social privati in cui condivide la sua rabbia e frustrazione rivolgendosi a Wendy, e cerca il conforto e i consigli di sua madre Lois (Rita Wilson), sua nonna Dottie (Rhea Perlman), e sua sorella Nora (Lena Dunham), a sua volta alle prese con la fine della relazione con il marito Jameson (Andrew Rannells).
Negli episodi di Too Much il tentativo di iniziare un nuovo capitolo della propria vita, come prevedibile, sarà ostacolato da dubbi, incomprensioni e traumi del passato.
I problemi dei protagonisti della serie
Girls, che ha reso popolare Lena Dunham in tutto il mondo, era in grado di offrire un ritratto piuttosto accurato di una generazione e della vita a Brooklyn all'inizio degli anni 2000. Too Much, al contrario, risulta fin troppo superficiale e poco incisivo mettendo al centro due personaggi per cui è difficile provare empatia e comprensione.

Megan Stalter, apprezzata protagonista di Hacks, non ha a disposizione il materiale giusto per dimostrare il proprio talento, ritrovandosi con una comicità poco efficace e delle scene drammatiche che non riesce a interpretare in modo naturale, risultando davvero 'too much', al punto da allontanare gli spettatori dal punto di vista emotivo anche nei momenti chiave. L'ossessione di Jessica per Wendy, le sue reazioni sopra le righe, una sessualità onnipresente e dominante nella sua vita, e un presunto talento, che viene continuamente messo in secondo piano mentre la giovane pensa ai suoi problemi sentimentali, non aiutano a interessarsi al personaggio che, in dieci episodi, rimane privo di spessore, di interessi culturali che vadano oltre i prevedibili riferimenti ai reality show o ai classici come Orgoglio e pregiudizio o alle commedie romantiche britanniche, e della reale capacità di concentrarsi sui problemi e sui bisogni di chi la circonda.
Il motivo per cui Felix, a sue volte alle prese con una famiglia complicata, si innamori e decida di rimanere accanto a una persona così narcisista e quasi sempre insensibile rimane uno dei grandi misteri dello script firmato da Lena Dunham, considerando in particolare la scelta di porre al centro la storia d'amore cercando di trasmettere un messaggio, che manca totalmente il suo bersaglio, all'insegna dell'accettazione e della capacità di rialzarsi dopo una sconfitta.
Diverse occasioni sprecate
I personaggi secondari, ironicamente, risultano gli elementi più interessanti dell'intera narrazione, avendo però uno spazio davvero limitato in scena. Durante la visione ci si trova a pensare che la storia dei vicini di casa di Jessica, nonostante i pochi minuti di presenza, sembra più interessante di quella della protagonista e i cameo di star come Naomi Watts, Adèle Exarchopoulos e Andrew Scott suscitano non poco disappunto, lasciando intravedere il potenziale purtroppo inespresso del racconto.
Alcuni passaggi della storia, come i ricordi legati al padre di Jessica o le difficoltà affrontate da Felix durante l'infanzia, potevano gettare le basi per una rappresentazione maggiormente realistica e coinvolgente dei problemi individuali e di come affrontare i traumi ereditati dalle generazioni precedenti. Too Much, invece, si limita ad accennare alle tematiche che avrebbero realmente reso speciale il progetto, spingendo naturalmente a chiedersi quanto più rapidamente si sarebbero risolti i problemi della protagonista se, invece che trasferirsi a Londra, avesse trovato un bravo terapista.

Too Much, non solo nel titolo
Se Emily in Paris ha conquistato il pubblico con una versione zuccherosa, glamour e modaiola, Too Much prova a mantenere l'attenzione del suo pubblico con una sessualità esibita, parlata, discussa e onnipresente. Difficile capire in che dimensione sia accettabile e normale parlare delle proprie esperienze e di problemi fisici personali durante il primo incontro con la moglie del proprio capo, o quanto possa essere professionale accettare le avances sessuali delle persone con cui si deve lavorare, senza dimenticare il tempo trascorso in ufficio pensando ai propri problemi invece che dedicarsi ai propri compiti. La serie, tuttavia, normalizza situazioni e comportamenti realistici ma alquanto discutibili, senza dimenticare che il primo approccio tra Jessica e Felix, a ruoli invertiti, sarebbe risultato non poco controverso. Non c'è nulla di sbagliato nell'essere confusi e complicati come Jessica, ma diventa davvero difficile capire che esempio di emancipazione, autonomia e valorizzazione personale dovrebbe rappresentare la protagonista, in particolare considerando l'epilogo della storia.
I brevi accenni all'impatto dei social media nella vita quotidiana e alle potenziali conseguenze sulle persone e sulla loro credibilità, inoltre, avrebbero potuto essere sviluppati in modo più approfondito, rappresentando uno spunto interessante all'interno di un contesto romantico e di una storia sulla scoperta di se stessi.
Too Much ha comunque degli aspetti positivi, come l'ottimo uso della musica all'interno della narrazione e un montaggio che infonde agli episodi un buon ritmo. Pur non provando empatia nei confronti dei protagonisti, la visione risulta comunque scorrevole e ben ideata per il binge watching.
Alcune puntate, come quelle in cui si raccontano gli eventi di una notte o la visita di Felix alla sua famiglia, valorizzano poi il lavoro compiuto dietro la macchina da presa dimostrando la bravura di Lena Dunham in veste di regista, nonostante un season finale piuttosto affrettato che conduce a una sequenza molto suggestiva che chiude in modo un po' malinconico un progetto non all'altezza delle aspettative.
Conclusioni
Il talento del cast coinvolto nella serie Too Much e il lodevole messaggio alla base del progetto vengono purtroppo un po' sprecati in un contesto dalla qualità altalenante e al di sotto delle aspettative.
Chi riuscirà a identificarsi con i patemi dei protagonisti potrebbe apprezzare maggiormente la visione della serie che, purtroppo, potrebbe invece annoiare, o peggio ancora infastidire, gli altri utenti di Netflix.
Perché ci piace
- La storia cerca di proporre un messaggio positivo molto apprezzabile.
- La colonna sonora è davvero di ottimo livello e sostiene in modo intelligente la narrazione.
- I personaggi secondari sono interessanti e interpretati in modo brillante.
Cosa non va
- Megan Stalter non riesce a dimostrare il proprio talento dovendo gestire un personaggio a tratti persino odioso.
- L'attenzione data alla storia d'amore mette in eccessiva ombra altre tematiche rilevanti e ricche di spunti interessanti.
- L'ambientazione a Londra risulta totalmente irrilevante, non avendo un particolare impatto sugli eventi oltre a offrire un contesto generale.