Tolkien, la recensione: il potere della lingua

La recensione di Tolkien, biopic dedicato agli anni accademici del grande filologo e linguista che reinventò la letteratura fantasy.

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Tolkien: Nicholas Hoult e Lily Collins durante una scena del film

Scrivere la recensione di Tolkien non è impresa del tutto facile, principalmente perché, al netto dell'impressione che tale operazione arrivi un po' fuori tempo massimo (in termini di marketing, avrebbe avuto più senso sfruttare la popolarità di una delle due trilogie cinematografiche basate sull'opera dello scrittore), c'è la presenza ingombrante di quei sei film che hanno ridefinito l'iconografia della Terra di Mezzo a rendere quasi futile ogni tentativo di portare sullo schermo, con la stessa magnificenza, la vita di J.R.R. Tolkien. Un elemento di cui gli autori del film sono pienamente consapevoli, e per questo hanno optato per una via di mezzo che ha diversi punti di forza ma anche qualche debolezza legata al genere.

J.R.R. Tolkien, na vita letteraria

Tolkien non cerca di raccontare tutta la vita del soggetto, nato nel 1892 e morto nel 1973, né vuole farlo. Sceglie un periodo molto preciso, quello dei primi studi a Oxford (dove fu poi uno dei più illustri professori) e della Prima Guerra Mondiale, focalizzandosi su un percorso tripartito: quello accademico, quello bellico e quello sentimentale, raccontando l'amore non sempre facile tra J.R.R. Tolkien (Nicholas Hoult) e Edith Bratt (Lily Collins). Tre strade che si incrociano fin dall'inizio ma non sempre generano una miscela particolarmente potente: la love story è il classico ostacolo narrativo da biopic, che trasforma il vero corteggiamento in materiale trito e ritrito, mentre la battaglia, per quanto ammirevole nella sua ambizione visiva e dotata di una certa carica viscerale, soffre per l'accostamento con l'operato di Peter Jackson, un accostamento che lo stesso film riconosce con la scelta più infelice di tutto il lungometraggio, quella di mostrare come le visioni orrorifiche durante il conflitto mondiale abbiano dato vita a draghi e cavalieri (ma resi in modo sufficientemente generico da evitare problemi di diritti, essendo il biopic prodotto da Fox Searchlight e non dalla Warner).

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Tolkien: Nicholas Hoult, Lily Collins in una scena del film

In compenso c'è tutta la parte accademica, dove si cela il vero interesse del film e la logica nell'affidare il progetto al regista finlandese Dome Karukoski, che per l'occasione firma il suo primo film interamente in inglese. Come ben saprà infatti chi è appassionato della vita e delle opere di Tolkien, la lingua finnica ebbe un'importanza primordiale per il suo percorso: la studiò abbastanza da poter leggere in originale il Kalevala, poema epico in cui Elias Lönnrot raccolse vari miti nazionali, e trasse ispirazione da essa per il Quenya, una delle principali lingue elfiche parlate nella Terra di Mezzo.

Assistiamo proprio all'evoluzione delle parlate fittizie ideate da Tolkien, supportate dalla sua passione per le lingue reali (era talmente poliglotta che in alcune occasioni, stando alle biografia ufficiali, si lamentò della traduzione dei suoi libri in determinati paesi), e lì si accende la passione di Karukoski, che rende appassionante la semplice discussione del significato di un determinato vocabolo, creando un ponte tra il proprio paese e l'Inghilterra di allora, il che a sua volta influenzerà la cultura popolare del mondo intero.

Un'interpretazione dal sapore classico

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Tolkien: un momento del film

Il vero fascino del film sta tutto nella componente filologica e linguistica, che trasmette alla perfezione l'idea di quanto le parole di Tolkien avessero una potenza che anche le due trilogie di Jackson non hanno saputo replicare in toto. E da quel punto di vista scegliere Hoult, al suo secondo biopic di questo tipo dopo aver vestito i panni di J.D. Salinger, è assolutamente giusto perché l'attore inglese, quando si allontana da produzioni gigantesche dallo stampo hollywoodiano, ha una qualità recitativa molto britannica, molto classica, che ben si presta a un progetto in costume dove al centro c'è proprio la lingua, espressa con una dizione elegante ma mai artificiosa, che merita di essere apprezzata in versione originale. La magia dei testi classici rimarrà forse per sempre inarrivabile, ma in questo caso, nei momenti giusti, la potenza degli idiomi tolkieniani si fa sentire discretamente, evocando immagini mentali di grandi avventure, seconde colazioni e indovinelli nell'oscurità.

Conclusioni

Arrivati al termine della nostra recensione di Tolkien, l'impressione è quella di una parziale occasione mancata, dovuta al fatto che l'elemento veramente interessante e unico del film - l'amore di J.R.R. Tolkien per le lingue e l'impatto che questo ebbe sulla sua vita e la sua carriera - è in parte soffocato dalle concessioni alle convenzioni più smaccatamente americane del genere biografico. Nota di merito per Nicholas Hoult, scelta ideale per dare la giusta vita e potenza alle parole del Professore.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.1/5

Perché ci piace

  • La storyline accademica è ricca di spunti interessanti.
  • Nicholas Hoult dà la giusta aura classica alla figura di Tolkien.
  • Le scene di battaglia sono impressionanti a loro modo...

Cosa non va

  • ... ma l'accostamento visivo con le trilogie di Peter Jackson non funziona.
  • La storia d'amore, per quanto vera, risulta banale sullo schermo.