C'è vita nell'universo? A tale quesito hanno cercato di rispondere autori illustri, da Robert Wise a Steven Spielberg, passando per Robert Zemeckis e Denis Villeneuve. Paola Randi trae spunto dai misteri celati nell'Area 51 per costruire un excursus divertente e commovente sul tema declinato in salsa partenopea. Cosa succede se uno scienziato napoletano trapiantato nel Nevada, intento a lavorare a stretto contatto con i militari per testare la possibile esistenza di segnali provenienti dall'universo, perde la moglie?
Il taciturno Professore (Valerio Mastandrea), rimasto solo, sprofonda in una crisi che paralizza non solo la sua ricerca, ma anche la sua stessa esistenza spingendolo a trascorrere le giornate sdraiato su un divano nel bel mezzo del deserto. A scuoterlo dal suo torpore sarà l'arrivo imprevisto dei nipoti Tito e Anita, figli del defunto fratello Fidel.
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Con lo sguardo rivolto alle stelle
Dopo l'esordio col divertente Into Paradiso, Paola Randi ci ha fatto attendere sette anni prima di dare alla luce la sua opera seconda. Una lunga gestazione per quella che si rivela una sorpresa bella e spiazzante. Tito e gli alieni, primo film italiano del 35° Torino Film Festival, porta una ventata d'aria fresca nel panorama asfittico della commedia italiana allargando - letteralmente - gli orizzonti con un viaggio negli immensi panorami del deserto del Nevada. Fin dai suggestivi titoli di testa, che capovolgono la visione e, con essa, la prospettiva dello spettatore, intuiamo che quella che stiamo vedendo è un'opera fuori dal comune.
Tito e gli alieni si delinea come un eccentrico mix, uno sguardo alla frontiera americana, dove la colonizzazione stavolta espande lo sguardo non verso altre nazioni bensì verso altri mondi, intriso, però, di un pragmatismo tutto europeo, anzi partenopeo. Il film è attraversato da un duplice movimento: da Napoli approdiamo verso le mille luci di Las Vegas per poi addentrarci nel deserto, a ridosso dell'Area 51, e dal Pianeta Terra espandiamo lo sguardo verso il cosmo. Questa indagine alla ricerca di altri mondi, di altre civiltà con cui entrare in contatto, perde completamente la connotazione scientifica originaria per trasformarsi in una necessità puramente personale, disperata e ossessiva. Metafora, questa, del percorso creativo della regista che punta lo sguardo su altri mondi e su altre industrie per raccontare una storia intima.
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Gli ingredienti al servizio della storia
Il Professore è un uomo solo e taciturno, incapace di comunicare e annichilito dalla perdita della compagna che lentamente ritorna alla vita dopo l'arrivo dei vivaci nipoti. Pur attingendo a temi fantascientifico-filosofici, Paola Randi usa questa dimensione come sfondo per innestarvi una commedia vivace e arguta, ricca di battute irresistibili che strappano risate a più riprese. Più passano gli anni e più Valerio Mastandrea si rivela l'interprete perfetto, dotato di invidiabili tempi comici, ma anche capace di una miriade di sfumature con una semplice espressione del volto. Il suo aspetto stropicciato funziona alla perfezione sul personaggio del professore perduto nel deserto, solo con se stesso, incapace di articolare un discorso. Stavolta, però, Mastandrea si trova agevolato dalla presenza di due comprimari di tutto rispetto. Il casting di Paola Randi si rivela vincente nella scelta degli interpreti giovani, Chiara Stella Riccio che interpreta l'adolescente Anita, aspirante veterinaria dalla vis polemica che nutre una propensione per i militari americani, e il piccolo Luca Esposito che incarna il piccolo Tito, vero motore del film. Il tutto con la complicità di Clémence Poésy, americanizzata per l'occasione.
Paola Randi dimostra di non nutrire timori reverenziali verso i modelli alti - Incontri ravvicinati del terzo tipo in primis - piegando ai propri scopi suggestioni stellari come droidi parlanti e semoventi, escursioni in location proibite e misteriose apparizioni aliene. La regista non si lascia spaventare dai limiti di budget, ma ne fa un punto di forza giustificando diegeticamente gli effetti speciali più cheap e trasformandone l'aspetto artigianale in un valore aggiunto. Il risultato è un curioso mash-up che strappa risate e anche qualche lacrima, andando a toccare corde imprevedibilmente profonde. Ciliegina sulla torta la fotografia limpida e le musiche del compianto Fausto Mesolella. Una nuova conferma della capacità di Paola Randi di piegare ogni ingrediente al servizio della storia. Ci auguriamo di non dover attendere altri sette anni prima del suo prossimo film.
Movieplayer.it
4.0/5