Vincitore della Palma d'Oro al Festival di Cannes 2021. Questa è davvero l'unica etichetta che si potrebbe incollare sopra Titane, opera seconda di Julia Ducournau, la giovane regista francese, classe 1983, già autrice del clamoroso esordio Raw - Una cruda verità. Un'opera più provocante che provocatoria, sicuramente incapace di lasciare lo spettatore indifferente. Una perla di cinema stratificata, capace di raccontare una storia con una messa in scena a cui il pubblico si era disabituato, ma anche, fuori dalle vicende narrative, il cinema del futuro. Un cinema di tra(n)sformazione, fluido, carnale, erotico, anche eccessivo forse, ma caldo, sorprendente, indefinibile. Quello che andremo ad analizzare è il significato del film, cosa vuole raccontare al suo interno e cosa significa la vittoria del maggior premio in uno dei festival mondiali più importanti e storici della settima arte. Attenzione, i seguenti paragrafi contengono spoiler.
Gloria e vita alla nuova carne sullo schermo
Sin troppo facile, dopo aver visto Titane, richiamare alla memoria il nome di David Cronenberg e, in particolar modo, il suo film Crash (che con quello di Ducournau non ha così tanti legami). Forse il paragone appare naturale per il modo in cui in Titane si mette in mostra con un corpo ibrido, tra uomo e macchina, sfociando, soprattutto nel finale, nel body horror. Eppure, evitando confronti diretti, ci viene in mente una frase diventata cult in uno dei film più celebri del regista canadese, Videodrome: "Gloria e vita alla nuova carne". Perché quello che il film francese mette in scena è una storia carnale e corporale. Titane indugia più volte, attraverso primissimi piani e dettagli anche scabrosi, sulla pelle e sulla carne, sul rivestimento biologico della protagonista. Un involucro che muta, per più volte nel corso del film: prima quello di una donna, poi di una figura androgina, successivamente di un ragazzo, infine di una madre. Alexia, poi Adrien, infine somma di entrambe le identità. Corpo mutevole e mutante, tra natura (Alexia) e artificiosità (Adrien, il titanio), incapace di essere definito, come l'appartenenza del film a un vero e proprio genere. La prima lezione che Titane e Ducournau ci ricordano è il ritorno della predominanza della carne sullo schermo. Inserendosi perfettamente nel clima sociale e identitario del 2021.
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Genere di fluidi
Carne, sangue, muscoli, saliva, muco. Ma anche olio, grasso, fuoco e motore. La donna e la macchina che flirtano e fanno l'amore, generando l'ibrido e trasformando protagonista e film stesso. Perché la mutazione di Alexia si specchia (e non usiamo il termine a caso, visto quanto è presente l'immagine riflessa nel corso del film, quanto sono importanti gli specchi e lo specchiarsi) nella mutazione del film: da horror slasher a body horror, da dramma a commedia, da film freddo e respingente a film caldo e accogliente, da storia di una donna incapace di legarsi a qualcuno se non alle auto a storia di due anime solitarie e sofferenti che costruiscono non solo un rapporto d'amore, ma generano un figlio. In definitiva, Titane passa dall'esaltazione della morte (le radiografie del teschio sono inserite all'interno del titolo su fondo nero la prima volta che compare) all'esaltazione della vita (stavolta le radiografie di un neonato sul titolo su fondo bianco). Né donna né uomo, né totalmente umana né totalmente bionica, Alexia/Adrien rappresenta un'identità fluida, definita solo attraverso l'amore. In questo caso è quello di Vincent, un padre non biologico ma putativo ("Sei mio figlio", le dirà, e tanto basta), ma non facciamo fatica a ritrovare nell'esperienza di visione di Titane il nostro stesso mutamento. Nonostante i forti contenuti che, specie nella prima parte, possono mettere a dura prova lo spettatore, alla fine del film siamo interessanti alla vicenda, incuranti se la protagonista sia Alexia o Adrien. Anzi, è proprio in questo che ci sfida Titane. A partire dalle prime inquadrature che si concentrano sul motore dell'auto in corsa, sulle gocce di olio che cadono prima dai tubi e poi dai seni di Alexia, soffermandosi sul corpo gocciolante della protagonista prima dell'amplesso con la Cadillac, indugiando sulla bava delle vittime o sul sangue che sgorga: perché la fluidità dovrebbe essere un problema?
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Nascere e rinascere
Arrivando al cuore del film, potremmo dire che Titane è una storia d'amore. Alexia e Vincent sono due persone che non hanno alcun tipo di legame umano (la prima soffre l'assenza di un affetto famigliare; il secondo, divorziato, non accetta il tempo che passa e soffre la mancanza del figlio scomparso), a loro modo costrette a mutarsi: la prima cambiando i connotati fisici diventando figura androgina, il secondo attraverso l'iniezione di steroidi che gli rendono il corpo muscoloso, anche se solo in maniera apparente. Il loro incontro provocherà vari cambiamenti in entrambi. Il primo: da persone solitarie e anafettive sentiranno entrambi il bisogno dell'uno per l'altro. Il secondo: la consapevolezza che non importano le etichette predefinite per volersi bene. Il terzo, e più importante: l'accettazione di sé stessi. Spesso i due personaggi si riflettono negli specchi, cercando di ritrovare nell'immagine che osservano la loro vera essenza. Si tratta di un percorso identitario che procede per alti e bassi. Le quattro scene di danza del film si specchiano a loro volta: danza singola per Alexia/Adrien, erotica, padrona del proprio corpo; danza in coppia tra Adrien e Vincent, prima come sfida e risveglio, poi come sigillo di un legame affettivo. La definitiva chiusura corrisponde a una vera e propria rinascita. Per Vincent avviene proprio negli ultimi minuti del film, poco dopo essersi salvato dal fuoco, accogliendo il figlio di Alexia come proprio. Per Alexia, l'epifania avviene poco prima, quando vedendo il suo corpo martoriato e trasformato dalla gravidanza finalmente accetta il suo essere madre. La nascita del figlio, dall'estetica quasi futuristica, con l'accompagnamento di una musica sacrale, corrisponde alla nascita della nuova generazione, più fluida, più ibrida, indefinibile, divina. Impossibile non volerle bene. Lasciamoci travolgere: è questo il cinema delle forti emozioni di cui abbiamo bisogno e che ci sommergerà.