Nel 1928 René Magritte disegnava una pipa e, in bella grafia, vi scriveva sotto "Ceci n'est pas une pipe". Ovvio che "questa non è una pipa": ne è solo l'immagine. E l'immagine non è la cosa in sé. Eppure dice ugualmente qualcosa della cosa in sé. L'immagine tradisce, è vero. Ma il tradimento è tinto di sfumature di significato che possono sorprendere. L'etimologia del tradimento ci offre una pista di riflessione a riguardo. Alla radice del tradire c'è il tradere, il tramandare, il trasmettere.
Ogni tradimento è un tramite, un attraversamento, una trasmissione. Del resto, senza il tradimento di Giuda non ci sarebbero state la Croce e la Risurrezione di Cristo. Nel tradimento, rinnegando qualcosa (o qualcuno) innanzitutto la si afferma, ne si attesta l'esistenza e, al contempo, ne si prende la distanza. Ogni distanza è relazione, ha bisogno di due punti: non si può essere distante da un qualcosa che non è. Dunque, ciò che tradisce in un certo modo tramanda, andando sempre al di là delle intenzioni meschine del traditore e rivelando una trama più grande delle nostre piccole storie. Quella di Pio XIII, il papa giovane, è la piccola storia di un tradimento (che sia un caso che il nome di battesimo del suo interprete sia "Jude"?). Ma qual è la sua trama più grande?
L'artista e il pontefice
Torniamo all'immagine della pipa. Essa non potrà mai appagare il desiderio di un fumatore, eppure è ugualmente capace di sollevare un fumo denso e impenetrabile: la cortina che separa la percezione dalla conoscenza, la nube della rottura irrimediabile tra soggetto e oggetto. Giocando un po' con le parole, potremmo ar-dire che Paolo Sorrentino, mentre racconta la storia di Pio XIII, scrive contemporaneamente in filigrana che "Ceci n'est pas un pape", che "Questo non è un papa". Lo fa con la sua inconfondibile calligrafia delle immagini, la 'bella scrittura' che ne contraddistingue lo stile e che non è semplice forma, ma al contrario è la vera sostanza del suo pontificato cinematografico.
Possiamo dirlo, Paolo Sorrentino è il papa regnante del cinema italiano. Surrealista, onirico, contraddittorio, provocatorio, filosofico, introspettivo, psicologico, terapeutico, sentimentale. E a volte - non molte, per fortuna - anche un po' populista. Nella desolazione del piccolo schermo all'italiana, della televisione del low-entertainment - basso costo, bassa qualità e basse pretese - papa Paolo offre un racconto che apre prospettive visive. In The Young Pope vista e visione si mescolano fino a confondersi e il pensiero, insieme alla macchina da presa, spazia dall'infinitamente piccolo all'infinitamente grande, dalle pupille alle stelle, osando sfidare la dimensione del trascendente.
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L'uomo, da sempre, fa i conti con la domanda su Dio. Una domanda tremenda, cioè davanti alla quale si trema, si vacilla, si cercano punti d'appoggio per non crollare. Mentre l'universo segue le leggi della sopravvivenza, l'uomo è l'unico essere che si pone l'enigma sulla 'vivenza'. A carico di chi vive l'uomo? Di se stesso, degli altri, di un Altro? Il problema dell'uomo è che non sa abitare nelle domande. Ha un bisogno disperato di risposte. Da questa prospettiva, la fatica di Sorrentino somiglia molto di più a un'opera filosofico-antropologica che a un trattato di teologia o - peggio - a un'indagine fanta-giornalistica sulle miserie della Chiesa. Chi vuole smontarla da questi punti di vista si pone su un pulpito sterile, dall'alto di un atteggiamento campanilistico e un po' cattedratico, lontano dall'accoglienza che dovrebbe contraddistinguere ogni cristiano. Certamente in The Young Pope ci sono delle inesattezze teologiche, degli anacronismi legati alla dottrina e alla prassi attuale della Chiesa cattolica, e soprattutto si percepisce un appiattimento delle miserie del Vaticano sul piano delle trasgressioni sessuali.
Una ricerca antropologica
Il segretario di Stato concupiscente verso una venere preistorica, l'omosessualità dilagante, la pedofilia, cardinali con figli segreti, escort di lusso, adulteri, tresche... C'è tutto il campionario della genitalità. Sotto questo aspetto, è Sorrentino a peccare di originalità, pagando un dazio eccessivo a Freud, un pioniere ormai superato sotto molti aspetti. È vero, il male è banale, ma non fino a questo punto. La domanda fondamentale dell'uomo è qualcosa di più di 'Con chi va a letto?'. Il suo dilemma di fondo riguarda la visione di Dio. Ma Dio, lo si può vedere? Trasposto sullo schermo, questo interrogativo diventa un paradosso inquietante, che cioè mette in movimento: Dio, lo si può riprendere? Si può immortalare l'Immortale? Sorrentino pone la domanda su Dio sull'unico piano valido per tutti, credenti e non, cristiani e non: il piano antropologico. A prescindere dal dio in cui si crede - e anche il non Dio è un dio - tutti siamo uomini. La domanda su Dio è, in fondo, la domanda dell'uomo su se stesso: "Ma l'uomo, lo si può vedere?".
Coscienti che ogni punto di vista offre una diversa prospettiva sulla realtà, l'indagine di Sorrentino si sofferma su un uomo molto particolare, anzi così particolare da essere terribilmente unico: il Papa. Non c'è rischio di confonderlo tra la massa perché lui è chiamato a starle di fronte, non c'è rischio di confonderlo nel grigiore indistinto dell'umanità perché lui veste di bianco. E qui comincia la prima operazione di Sorrentino: la demitizzazione di un ruolo. Operazione molto ambiziosa quella di mostrare le sfumature del bianco. Tutti i colori hanno una scala cromatica, ma il bianco non è un colore, bensì la compresenza di tutti i colori. E papa Pio XIII fin dalle prime battute si racconta come una contraddizione. Come Dio, dice. E qui si cammina su un crinale molto pericoloso, in bilico tra la divinità e l'idolatria dell'io. Attenzione: in Dio non c'è la contraddizione, ma la coincidenza degli opposti. Una bella differenza, anzi una differenza bella.
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Sotto il bianco della Groenlandia
La seconda operazione va di pari passo con la prima e ne inverte la tendenza. Se la prima demitizza il papa, rivelandone l'umanità piena di contraddizioni, quest'ultima tende a mitizzare l'uomo, facendone un santo. Nel dialogo con la delegazione governativa della Groenlandia, Pio XIII, bianchissimo sul suo trono bianco, chiede cosa ci sia sotto l'immensa distesa di ghiaccio che ricopre il Paese. Il primo ministro groenlandese, splendida donna, risponde che gli esperti sostengono che non sia un'unica grande isola, bensì un arcipelago di isole. Ma si tratta solo di una supposizione, perché la Groenlandia non disgela mai. Cosa c'è dunque sotto la coltre bianca del papa che non disgela mai? L'arcipelago dell'uomo postmoderno: frammentario e immobilizzato? Pio XIII allora spiazza l'uditorio con una risposta che sembra venuta fuori dai peggiori evi della storia della Chiesa, quando Dio era un laccio per tenere il pensiero a freno e conservare il proprio potere e l'ignoranza altrui: "Io credo che gli esperti si sbaglino. Sotto tutto quel ghiaccio può esserci Dio".
Una risposta inaccettabile nella nostra epoca, per noi che esaltiamo l'onnipotenza scientifica e issiamo le verità tecniche a verità assolute. Eppure la scienza è anch'essa una prospettiva, un sistema che deve aiutare l'uomo a schiudere la verità, ma che non può essere esso stesso la Verità. La Verità è sempre un'Altra. Quando proviamo ad afferrarla essa ci sfugge, quando proviamo ad affermarla essa ci tradisce. La Verità non si può comprendere, si può solo contemplare nelle storie degli uomini e nel vuoto delle enormi distanze che ci separano gli uni dagli altri. Emblematico il cannocchiale. Pio XIII, il santo che parla direttamente con Dio e le cose accadono, il papa che guarda a occhio nudo verso il cielo e descrive la dimora di Dio, per guardare l'umanità ha bisogno di un cannocchiale. La storia del papa giovane è un inno allo scioglimento, a quel passaggio di stato dal solido all'etereo che i fisici chiamano 'sublimazione' e i mistici 'ascesi', l'epopea di un uomo che si crede Dio e che, incontro dopo incontro, dialogo dopo dialogo, preghiera dopo preghiera, diventa uomo. Se vuoi vedere Dio, dunque, cerca in te stesso, senza però fare di te un dio. Uomo come te, terreno di ricerca come te, è anche chi ti è accanto. Ogni ferita può diventare una feritoia da cui intravedere Dio.
Apparentemente marginale nell'universo - la scena finale è un violento zoom inverso con la telecamera che si allarga dagli occhi chiusi del papa, al suo entourage che lo circonda, all'abbraccio di piazza san Marco, alla città di Venezia, all'Italia, all'Europa, al mondo per giungere all'oscurità che tutto circonda - l'uomo ne è il centro perché ha in sé la consapevolezza di essere margine. Cos'è dunque la fede? Il salto oltre, nel buio, dove non c'è certezza, né logica, ma solo quello che si chiama Amore. È ovvio affermare di Pio XIII che 'Questo non è un papa': sotto questa maschera bianca c'è l'uomo. E sotto la maschera dell'uomo, forse, c'è Dio.
Grazie all'autore Francesco Misceo, seminarista al secondo anno di formazione presso il Pontificio Seminario Regionale Pugliese "Pio XI" di Molfetta. Che ci auguriamo continui a scrivere anche con l'abito talare!