Mentre negli USA gli ascolti continuano a rimanere molto al di sotto della media degli ultimi cinque anni, andando pericolosamente a sfiorare addirittura quelli della stagione 2, The Walking Dead continua a far (s)parlare di se sui social. Che l'amore per questa serie sia evidentemente e drasticamente calato è cosa conclamata, ma si sa che la speranza è l'ultima a morire e chissà che lo show AMC non abbia ancora qualche asso nella manica da giocare.
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Uno di questi è chiaramente il personaggio di Negan, amatissimo dai lettori dei fumetti e dall'enorme potenziale anche per la serie televisiva. Il cattivissimo leader dei Salvatori interpretato da Jeffrey Dean Morgan ritorna protagonista con questo quinto episodio intitolato I peccati di Negan (The Big Scary U) e lo fa ripartendo esattamente dove l'avevamo lasciato, intrappolato e circondato dagli zombie insieme a Padre Gabriel. Anzi, prima ancora l'episodio fa un ulteriore passo indietro rispetto agli ultimi avvenimenti della serie e ci fa vedere cosa stava succedendo al Santuario subito prima dell'attacca da parte di Rick e i suoi alleati.
Uccidere o uccidere a fasi alterne, questo è il problema
Nonostante Negan sia nuovamente al centro della storia, gli autori dello show continuano a mantenere la promessa fatta questa estate: in The Walking Dead ormai gli episodi monografici non esistono più ed è per questo che contemporaneamente a quanto ci viene mostrato dalle parti del Santuario, continuiamo a seguire anche le vicende di Rick e Daryl che sono finalmente pronti a mettere le mani sulle tanto agognate mitragliatrici. Contemporaneamente per modo di dire, visto che ormai è impossibile distinguere chiaramente le timeline delle varie sottostorie, ma diamo per scontato che le vicende scorrano più o meno parallelamente.
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In ogni caso la (breve) storyline che riguarda il leader di Alexandria è questa volta la parte più debole dell'episodio, se non altro perché poco approfondita e gestita piuttosto male. Rick e Daryl si scontrano su come utilizzare le armi e gli esplosivi appena trovati e il risultato finale è un bel nulla di fatto che rende vano i tanti sacrifici visti nelle settimane precedenti. Poco male però visto che Rick sembra comunque convinto a proseguire con il suo fantomatico piano, ma, così come per la volta scorsa tra Jesus e Morgan, questi scontri tra "amici" continuano a sembrare un po' troppo forzati e frettolosi e un po' incoerenti con quello che sappiamo dei personaggi. È anche vero che Daryl da tempo sembra covare una sorta di tacito malcontento con tutta la situazione, ma proprio un evento di tale rilievo, come può essere una sorta di rottura tra due dei personaggi più amati e uniti, non dovrebbe essere gestito con meno fretta e più serietà?
La conoscete quella del prete e l'uomo con la mazza?
Le cose vanno molto meglio quando appunto c'è di mezzo Negan, soprattutto se accompagnato da un personaggio diametralmente opposto come quello di Padre Gabriel. Se alla fine del primo episodio della stagione Jeffrey Dean Morgan era più gigione che mai con una frase ad effetto ("I hope you have your shitting pants on") più ridicola che spaventosa, questa volta il Negan che vediamo è un personaggio molto più ricco e sfaccettato ed ovviamente ben più interessante. Il Negan televisivo, per assurdo, era stato finora più caricaturale che nel fumetto e solo in rare occasioni era stato sfruttato il tanto spazio a disposizione per renderlo davvero umano.
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I tanti dialoghi con Gabriel, ma anche quelli precedenti e successivi con i suoi scagnozzi, ci mostrano un lato diverso di questo carismatico e leggendario villain e ci fanno capire almeno parte delle motivazioni che lo guidano. Ci fanno anche scorgere, sebbene in modo molto rapido, aspetti del suo passato, raccontandoci del suo passato da educatore, della moglie defunta (Lucille?), della sua visione del mondo. Non è certo un caso che contemporaneamente in questo stesso periodo sia uscito un fumetto prequel tutto a lui dedicato (Negan è qui, edito da SaldaPress), ma d'altronde siamo tutti d'accordo nel dire che un personaggio del genere (con in più un'interprete del genere) sia una miniera d'oro. Ancor di più per una serie che sta trovando non poche difficoltà a ritrovare la giusta strada.
Quando non si spara, si parla. E forse è meglio.
Più che Negan stesso però, la soluzione per uscire da certe empasse è quella già auspicata la scorsa settimana, ovvero concentrarsi di più sui personaggi e sui loro conflitti e meno su scene d'azione che non riescono (finora) a convogliare alcuna tensione. In questo episodio forse anche il tempo dedicato agli altri Salvatori è un po' eccessivo, ma non ci sono dubbi nel vedere reali miglioramenti tra una qualsiasi scena dedicata a personaggi che abbiamo amato/odiato per mesi ed anni interi rispetto a lunghissime ed inutili sparatorie dove alla fine mai nessuno dei personaggi principali è veramente in pericolo.
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Molto meglio allora preoccuparsi per il sacrificio di padre Gabriel, del pericolo che sta correndo Dwight o della difficile situazione in cui si trova Eugene. Perché, ammettiamolo, The Waking Dead ha funzionato in passato proprio perché temevamo continuamente del destino di qualsiasi personaggi in qualsiasi momento. E, come ben sappiamo, per fare che questo avvenga non servono sparatorie, esplosioni o scene d'azione, basta ritornare al cuore di The Walking Dead e, forse, di qualsiasi serie di successo: i personaggi.
Movieplayer.it
3.5/5