Le fiabe classiche sono quelle con cui tutti siamo cresciuti, che ci hanno accompagnato sin da bambini, che ci hanno raccontato prima a voce, leggendole da ogni sorta di libri, o attraverso vari adattamenti cinematografici a cominciare dai Classici Disney. Per questo un titolo come The Ugly Stepsister, al cinema con I Wonder Pictures, è ancor più interessante e spiazzante, perché parte da qualcosa di noto e sedimentato nell'immaginario collettivo per ribaltarne i presupposti e sfruttarli per comunicare un messaggio importante e preponderante oggi, nell'era dell'immagine, in un'epoca in cui il mito della bellezza è portato all'estremo e le pressioni sociali che ne derivano sono sempre più opprimenti.
La riscrittura di Cenerentola
Sono tante le varianti di Cenerentola che sono state raccontate nel corso del tempo, dalle prime fonti greche passando per Charles Perrault, i fratelli Grimm e Giambattista Basile, fino ad arrivare a quella forse più nota a tutti, targata Disney.
In questa la protagonista è una giovane gentile e buona che viene maltrattata sia dalla matrigna che dalle sorellastre. Da lì il sotterfugio per partecipare al ballo con la rigida scadenza della mezzanotte, l'incontro con il principe e, ovviamente, la celebre scarpetta di cristallo che permetterà ai due di ritrovarsi.
La Elvira di The Ugly Stepsister è invece una giovane di 18 anni che sogna l'amore della sua vita, il principe Julian, e si sente minacciata nella sua opera di conquista dell'uomo dall'entrata in scena della bella sorellastra Agnes. Sentendo in pericolo le proprie mire nei confronti dell'uomo dei sogni, Elvira è spinta, quasi costretta per le pressioni che riceve, a sottoporsi a una serie di interventi e procedure chirurgiche per migliorare il proprio aspetto.
La deformità come verità in The Ugly Stepsister
Questo spostamento di prospettiva e di presupposti fa sì che cambino anche motivazioni e colpe, che l'umanità dei personaggi venga costruita in maniera differente e approfondita, spiegata e sfruttata per un racconto in cui il cattivo è il sistema sociale - familiare in primis - con le sue pressioni.
La bruttezza non è una condanna, ma una forma di verità e autenticità che il mondo non permette: Elvira sente il bisogno di migliorarsi, e quindi di tradire se stessa, per poter arrivare ai propri scopi, perché il contesto in cui si trova non le consente di essere accettata per quello che è.
È la metafora della pressione sociale sempre più forte oggi, che la stessa madre di Elvira, Rebekka, opera sulla ragazza e che The Ugly Stepsister rende alla perfezione ricorrendo al body horror come genere di riferimento. Un espediente narrativo che funziona alla perfezione, perché permette di far arrivare con potenza il messaggio ed enfatizzare i sacrifici e gli sforzi che Elvira è disposta a compiere per arrivare al proprio scopo.
La ricerca dell'identità e l'importanza di "essere viste"
Se, come detto anche in un'altra nostra analisi di The Ugly Stepsister, "la bellezza è dolore", Elvira sa di dover sopportare sacrifici e disagi per raggiungerla, per ottenere il proprio scopo di essere vista.
Un concetto chiave del mondo che ci circonda, in cui l'ansia di visibilità e successo, ma soprattutto di validazione sociale nel contesto digitale dei social è ormai preponderante e asfissiante. La regista Emilie Blichfeldt è abile a mettere in scena tutto questo, facendo sentire allo spettatore quel peso dello sguardo altrui che la stessa Elvira percepisce e che l'interprete Lea Myren è bravissima a trasmettere.
La sorellastra Agnes diventa lo specchio in cui vedere questa ossessione estetica, quel traguardo idealizzato, sempre presente e irraggiungibile, che ci martella quotidianamente attraverso gli schermi. Qualcosa di presente, moderno e attuale che viene veicolato in modo magistrale ribaltando i presupposti e cambiando prospettiva a qualcosa di antico e consolidato come è la favola di Cenerentola.