Emotivamente ricattatorio, si diceva un tempo con un'accezione prettamente negativa. Ma emozionare manipolando i fatti in chiave romanzata non è sempre deplorevole, soprattutto quando è al servizio di una buona causa. Quando si allontana dalle commedie en travesti che hanno fatto la sua fortuna, Tyler Perry rivela la sua crescita come autore e regista, ma stavolta la materia su cui si concentra è davvero importante. Nel war movie The Six Triple Eight, il cineasta sfrutta un pezzo di storia della Seconda Guerra Mondiale poco nota, quella del battaglione 6888, unica brigata interamente composta da donne di colore inviata in Europa, come monumento alla lotta al razzismo e alle discriminazioni.
Per offrire al pubblico un gancio emotivo sufficientemente forte, Tyler Perry si concentra sulla storia di Lena Derriecott King, ausiliaria centenaria scomparsa a inizio 2024, ma che vediamo e sentiamo nel commovente finale che, appena 18enne, abbandonò la famiglia e la sua casa in Pennsylvania per arruolarsi in seguito alla morte in guerra del fidanzato. Apparentemente inadatta alle fatiche del fronte, Lena supererà con fatica l'addestramento per poi essere inviata con le compagne in Europa, su richiesta di Eleanor Roosevelt, per smaltire tre anni di posta inevasa facendo pervenire diciassette milioni di lettere alle truppe e alle loro famiglie per "tenere alto il morale al fronte".
The Six Triple Eight: due protagoniste agli antipodi
La Lena Derriecott di Tyler Perry sembra un personaggio da fotoromanzo. Interpretata dalla bellissima Ebony Obsidian, ciglia lunghissime e fisico da fotomodella, si barcamena tra tormenti amorosi e angherie da parte delle compagne per aver stretto un legame con un giovane bianco, ebreo e benestante, lo studente Abram David (Gregg Sulkin). La loro favola si trasforma in un incubo quando l'aereo del giovane, arruolatosi "per combattere Hitler", viene abbattuto. Ed è qui che la storia film decolla: quando Lena, che sceglie a sua volta la via dell'esercito, incontra un gruppo di ragazze nere determinate, come lei, ad arruolarsi.
A far da contraltare al personaggio di Ebony Obsidian è la comandante del battaglione, il maggiore Charity Adams, interpretata da una volitiva Kerry Washington. Tanto Lena sembra uscita da una versione all black di Piccole donne quanto il personaggio della Washington, a confronto, appare moderno e lungimirante. Coraggiosa, determinata, pienamente cosciente del giudizio degli altri, soprattutto degli uomini, sul suo operato, Adams riesce a essere una guida e una confidente per le sue soldatesse arrivando a sfidare il superiore bianco che le vuol togliere l'incarico rispondendogli: "Dovrà passare sul mio corpo" (episodio realmente accaduto, a quanto pare). Prevedibile che, intorno al personaggio di Kerry Washington, Tyler Perry costruisca i momenti più emozionanti del film facendone un simbolo dell'orgoglio black.
Troppo piacevole per essere un film di guerra
L'intento di Tyler Perry in The Six Triple Eight è rendere giustizia alle coraggiose soldatesse nere che la storia, e il loro paese, hanno dimenticato. Per farlo, il regista mette in piedi una struttura narrativa che oscilla tra il punto di vista di Lena, a cui il pubblico aderisce con maggior facilità, e quello del maggiore Adams. Questa alternanza crea una certa indecisione nella struttura narrativa, a cui si aggiunge uno stile patinato adottato dal regista, poco appropriato a un film di guerra. Stile che si riflette anche sulle protagoniste. Nonostante la raccomandazione del maggiore Adams alle sue soldatesse di truccarsi con discrezione, nessuna è poco meno che perfetta, perfino nei momenti più drammatici o nel faticoso addestramento.
In questo war movie assai poco polveroso, la guerra vera e propria si intravedere a malapena in poche sequenze create con una CGI artefatta e innaturale. La scelta fatta dal regista di concentrare il grosso del racconto all'interno del quartier generale del battaglione 6888 (per esigenze di budget?) ha ragion d'essere. Ma se le attrici che interpretano le soldatesse fanno del loro meglio lasciando trapelare personalità intriganti e carismatiche, lo stesso non può dirsi delle star a cui Tyler Perry decide di affidare alcuni importanti cameo. Una Susan Sarandon coi lineamenti stravolti dal trucco nei panni di Eleanor Roosevelt, Oprah Winfrey in quelli della campionessa dei diritti civili dei neri Mary McLeod Bethune e Sam Waterston nel ruolo del Presidente Roosevelt adottano un registro affettato e innaturale che rischia di sfociare nella macchietta.
Una storia che merita di essere raccontata
Quanto a Kerry Washington, la sua presenza costante in scena la spinge a strafare. La sua recitazione è quasi sempre sopra le righe, la vediamo fremere di rabbia, la sentiamo urlare spesso e volentieri mentre si aggira per il quartier generale con gli occhi lucidi e la voce rotta. Senza dubbio, una performance più misurata avrebbe giovato alla credibilità del personaggio, che così sembra programmato per emozionare a comando (e magari conquistare qualche premio).
Ma è tutto il film a essere organizzato intorno a scene madri, costruite appositamente per celebrare l'eroismo delle soldatesse del battaglione 6888, concetto che il regista ripete allo sfinimento favorendone l'assimilazione negli spettatori grazie a un film "facile" e scorrevole, dove i momenti drammatici vengono digeriti grazie al tono umoristico generale che aleggia. La confezione di Tyler Perry non è priva di difetti, ma stavolta lo perdoniamo perché una storia così bella e avvincente meritava di essere raccontata e lui è riuscito nell'impresa onorando le vere protagoniste in una emozionante coda.
Conclusioni
Come svela la nostra recensione di The Six Triple Eight, Tyler Perry scova una storia edificante a cui rendere giustizia per rivendicare l'orgoglio black. Quella del battaglio 6888 è una storia edificante e poco nota che celebra l'abnegazione delle ausiliarie afroamericane per ripristinare il sistema postale al fronte durante la Seconda Guerra Mondiale. Un fatto storico che merita di essere raccontato nonostante i difetti strutturali, le sbavature nella recitazione a tratti sopra le righe di alcuni personaggi, in primis Kerry Washington, e uno stile patinato e scorrevole che stempera il dramma del conflitto con i suoi toni mondani.
Perché ci piace
- La storia che Tyler Perry sceglie di raccontare.
- La scelta di concentrarsi su un racconto di donne forti.
- La performance delle giovani protagoniste.
Cosa non va
- Problemi di recitazione, camei delle star poco credibili e toni sopra le righe per Kerry Washington.
- Lo stile patinato con cui viene raccontata al guerra.
- Tutto è costruito apposta per emozionare, lasciando poco spazio a realismo e naturalezza.