The Seed of the Sacred Fig, recensione: la voce irregolare di Rasoulof per un grande film militante

The Seed of the Sacred Fig di Mohammad Rasoulof è un thriller domestico che scava nel profondo di una resistenza artistica e sociale, in netta opposizione al regime teocratico iraniano. Presentato in concorso a Cannes 77.

Mahsa Rostami al centro, e poi Soheila Golestani e Setareh Maleki

L'inciso in apertura è doveroso, perché The Seed of the Sacred Fig (in italiano la traduzione letterale è Il seme del fico sacro) non si può raccontare senza tenere in considerazione il suo status sociale e politico, in netta opposizione al regime teocratico iraniano, opprimente e medievale. Prima di entrare in sala, in occasione della première del film a Cannes 77 (presentato in concorso), il regista Mohammad Rasoulof ha mostrato le foto di Missagh Zareh e Soheila Golestani, i due interpreti protagonisti, che non hanno potuto lasciare l'Iran. Lo stesso Rasoulof, tra l'altro, è un rifugiato: dopo essere stato condannato ad otto anni e alla fustigazione (per la "sua collusione contro la sicurezza nazionale"), è scappato (a piedi) arrivando in Europa, subendo tra l'altro pressioni dal parte del regime, forzandolo a ritirare il film dal concorso del festival.

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Missagh Zareh e Soheila Golestani in The Seed of the Sacred Fig

Il potere gravoso e dittatoriale teme, più di ogni altra cosa, la libertà d'espressione. Il pensiero individuale, riflettuto su una collettività che sempre di più guarda agli ideali, sembra allora essere la potente (potentissima) chiave di The Seed of the Sacred Fig. Coeso e mai sbaffato nei suoi rigidi (e infine esplosivi) 168 minuti, Mohammad Rasoulof osserva dall'interno i tumulti umani dell'Iran, per una messa in scena asfissiante che, inevitabilmente, mescola la realtà con la finzione. Del resto, Mohammad Rasoulof, voce irregolare rispetto ai dogmi del regime, ha girato il film in modo clandestino (tanto che c'è una scena in esterna nella quale il protagonista gira con una mascherina sanitaria), organizzando gli spazi in modo tale che la sceneggiatura potesse riflettere in modo preciso l'umore rabbioso di un verbo che si coniuga al meglio con la rivoluzione artistica e politica.

Il seme del fico sacro: un cinema di resistenza

A proposito di parole, The Seed of the Sacred Fig (acquisito per la distribuzione italiana da Lucky Red e Bim) è una pellicola ovviamente verbosa e compatta, che non lascia ossigeno e, anzi, si concentra proprio sulle parole, mosse e rimpallate da Rasoulof, costantemente agganciato alle persone (e non personaggi) al centro di un film pronto ad implodere da un momento all'altro (cambiando, nella seconda metà, migliore della prima, i colori e gli umori). E se ogni metamorfosi parte dall'interno, il regista sceglie un nucleo famigliare per raccontare la storia: Iman (Missagh Zare) viene nominato giudice istruttore (un buon grado all'interno della gerarchia giudiziaria iraniana), con l'approvazione di sua moglie, Najmeh (Soheila Golestani), e delle sue due giovani figlie, Rezvan (Mahsa Rostami) e Sana (Setareh Maleki).

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Una delle scene più forti del film

Il ruolo, però, lo costringe a portare con sé una pistola (una sorta di McGuffin, sapientemente inserito nella sceneggiatura), che farà aumentare l'ansia e la tensione di Iman quando l'arma sembra sparire nel nulla. Sotto, tra le strade, scrutate dalla finestra di Rezvan, il moto riottoso scoppiato alla fine del 2022, quando Mahsa Amini venne brutalmente uccisa dalle guardie rivoluzionarie per essersi rifiutata di indossare la hijab. Qualcosa si sta muovendo, e Iman non riesce più a controllare la situazione: i video delle rivolte, spesso strozzate con il sangue, girano sui telefoni di Sana e Rezvan, chiaramente testimoni di un'alterazione di cui sono le prime a volerne far parte.

Rigore, minimalismo, coraggio

Lo si capisce subito che Iman non si una figura affabile né progressista (bensì è l'emblema del patriarca), ma Rasoulof ha la capacità di trasformarlo un poco alla volta, smorfia dopo smorfia. Una deformazione che risulterà poi definitiva, a tratti violenta, come è violenta la repressione del regime di Tehran. Per quanto contestuale e senza mai essere direttamente nominata, l'uccisione di Mahsa Amini (lei sì, una martire) sembra spingere il regista ad una comprensiva e sostenibile presa di posizione, facendo delle figure femminili i veri punti di svolta di un thriller che aumenta la pressione, e di conseguenza amplia l'interesse del pubblico, rapito e volutamente confuso dalla verità e dalla menzogna con cui il regista pare voler giocare.

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Mahsa Rostami al centro, e poi Soheila Golestani e Setareh Maleki

Un gioco padronato in modo rigoroso, minimalista e naturalmente in modo coraggioso: se abbiamo parlato di quanto The Seed of the Sacred Fig sia un film carbonaro, Rasoulof ha l'ardimento di scavare sotto la superficie, (ri)partendo da una famiglia che si scoprirà essere in netta contrapposizione (ed è meraviglioso che Rasoulof ritragga le donne, in casa, senza il velo), e in qualche modo risolutiva nelle tonalità di un thriller domestico che non sbaglia un battito. Un cuore famigliare scritto in modo discreto e mai urlato, tuttavia rivelatorio nel taglio nerissimo di un finale concitato e metaforico. Per certi versi, un finale profetico (speriamo) di quella lotta portata avanti dal regista, e dai tanti come lui che credono nella possibilità di un cambiamento.

Conclusioni

L'opposizione ad ogni dittature inizia con la presa di coscienza, sociale e perché no anche artistica. I regimi, teocratici come quello iraniano, temono il dissenso, l'opposizione, la verità, e per questo un film come The Seed of the Sacred Fig (Il seme del fico sacro) di Mohammad Rasoulof risulta esplosivo nel suo linguaggio, che si sposta dal thriller umano fino a toccare le migliori corde di un cinema di forte abnegazione politica.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.0/5

Perché ci piace

  • Il coraggio del regista.
  • Gli interpreti.
  • La seconda metà del film.
  • Un'opera di spessore politico e sociale.

Cosa non va

  • La parte iniziale è più debole.
  • Potrebbe risultare troppo lungo.