Ah, gli anni Duemila. Era tutto più facile? Forse. Sicuramente, era trasversale la scelta quando si entrava in videoteca. Il venerdì sera, per eccellenza, era la serata divano-e-filmetto. Un must, un punto di riferimento, la certezza dopo una settimana lavorativa. In totale relax, alla ricerca di un film alla buona che permettesse di passare novanta minuti in totale svago. Mentre le VHS stavano pian piano lasciano spazio ai DVD, sugli scaffali di un Blockbuster già in crisi, erano gli horror a dominare la scena, tanto al videonoleggio quanto in sala. Tra il 2000 e il 2010, di horror, ne sono usciti tantissimi. Un'infinità. Pensiamo ad Hostel, pensiamo a La casa del diavolo, pensiamo a Saw - L'enigmista. Un'epoca, quella, in cui i generi facevano da padrone, nella scelta del titolo perfetto.
Oggi i tempi sono cambiati, e di conseguenza sono cambiati i tempi dei generi stessi. Soprattutto, i film dell'orrore. Meno grezzi, meno istantanei, meno fisici, meno diretti. L'horror deve essere celebrale, raffinato, sfumato. L'horror arthouse, quello che punta alla qualità e all'autorevolezza, anche se poi sempre di paura si tratta, e sempre di emozioni si parla. E sempre oggi, mentre il modus operandi distributivo continua a subire scosse e scossoni, un certo horror da videocassetta continua a riscuotere successo. L'ultimo esempio? The Ruins - Rovine di Carter Smith, uscito nel 2008. Arrivato su Netflix, è entrato immediatamente tra i film più visti.
Piante rampicanti e final girl
La riscoperta di The Ruins (questo il titolo con cui è arrivato su Netflix), effettivamente, ne è un'ulteriore prova: immediatezza e velocità, una boccata di assurdità da bocca buona, dove lo spavento diventa il mezzo e il fine. Con una curiosità: è prodotto da Ben Stiller! Se Carter Smith, il regista, è finito nell'insieme degli "scomparsi" (almeno fino al 2022, quando è tornato con il body horror Swallowed), The Ruins è tratto dal romanzo di Scott B. Smith (incensato da Stephen King!), che ha firmato anche la sceneggiatura, pur modificandone il finale. Non ve lo riveliamo, ma il (nuovo) successo di The Ruins (Rovine, come era noto col titolo italiano all'uscita) forse lo si deve proprio alla trama che, senza artifici, va dritta al sodo: due coppie organizzano un viaggio in Messico, tra le rovine Maya. Luogo affascinante, ma pericoloso. Come per ogni horror dallo script volutamente sgangherato, decidono di aiutare un turista tedesco a ritrovare suo fratello scomparso (archetipo dell'horror: fare qualcosa di stupido). Loro malgrado, si rendono conto che le piante rampicanti attorcigliate intorno al remoto tempio hanno vita propria, impossessandosi di corpi umani. Per questo vengono minacciati dai Maya, che ben conoscono la natura assassina delle piante.
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The Ruins, se l'horror Anni Duemila è tornato
Tutto assurdo, tutto palese, tutto accelerato all'ennesima potenza. Niente sotterfugi, ma un survival horror di primo impatto, in cui sono le sensazioni e le grida del cast ad indirizzare la scena. A proposito di cast. Se di Smith se ne sono perse più o meno le tracce, il resto del cast ha avuto poi una carriera sicuramente più fruttuosa: la protagonista, tipica final girl, è Jena Malone, che non avrà vinto l'Oscar ma è tra i punti di riferimento di Nicolas Winding Refn (che l'ha voluta in The Neon Demon e nella sottovalutata Too Old To Die Young); con lei anche Jonathan Tucker, onesto mestierante dalla prolifica carriera, e poi anche Shawn Ashmore, ex Uomo Ghiaccio della saga Fox degli X-Men.
Questo per dire e per riassumere quanto le piattaforme come Netflix siano un'estensione diretta dei generi cinematografici: se una volta erano affilati sugli scaffali dei videonolo, oggi il genere stesso, ormai destrutturato sul grande schermo, torna forte e protagonista nei cataloghi streaming. Un bene? Un male? Non per forza: piuttosto una cartina al tornasole che dimostra quanto lo spettatore cerchi in tv ciò che al cinema, invece, quasi non si vede più. Un ribaltamento totale, anche in relazione al singolo titolo. Per questo l'esempio di The Ruins - Rovine è abbastanza sintomatico: un flob al botteghino del 2008 (appena 50 mila euro!), una nuova vita grazie allo streaming. Una sorta di direct-to-video versione 2.0, e la rivalutazione quasi postuma di un cinema di abbiamo finito per sentirne la mancanza. Perché è cambiata la fruizione, ma forse non è cambiato il pubblico. Il venerdì sera è ancora il giorno del divano-e-filmetto.