È stato uno dei film più apprezzati al Sundance 2019, lo scorso gennaio, e dal 18 al 20 novembre sarà nei cinema italiani come evento speciale, per approdare in seguito nel catalogo di Amazon Video: si tratta di The Report, primo lungometraggio cinematografico diretto da Scott Z. Burns, con Steven Soderbergh in veste di produttore. Accolto dalla critica americana come una delle punte di diamante dell'annata, The Report ricostruisce la vera storia dell'indagine condotta da Daniel Jones, membro dello staff della senatrice Dianne Feinstein, a proposito dei metodi di tortura adottati in segreto dalla CIA dopo l'11 settembre 2001, fino alla stesura del controverso rapporto che dà il titolo alla pellicola.
Scott Z. Burns, cinquantasette anni, aveva già collaborato con Soderbergh in qualità di sceneggiatore per titoli quali The Informant!, Contagion, Effetti collaterali e il recentissimo Panama Papers, ma ha firmato anche i copioni di The Bourne Ultimatum e dell'imminente 007: No Time to Die. Il mese scorso lo abbiamo incontrato a Roma in occasione dell'anteprima nazionale del film (qui potete leggere la nostra recensione di The Report), interpretato da Adam Driver e Annette Bening, e subito prima della proiezione ci ha raccontato un breve aneddoto: "Nel periodo in cui svolgevo delle ricerche per il film mi trovavo a un evento d'arte a New York, e dietro di me qualcuno ha citato una frase di uno psicologo: 'Ogni violenza è il tentativo di trasformare la vergogna in autostima'".
La CIA, la tortura e la battaglia di Daniel Jones
In un film in cui le parole sono la base del racconto, c'è un'immagine in particolare che l'ha ispirata?
Quando ho parlato con Daniel, lui mi ha raccontato di aver lavorato in una specie di scantinato, in una stanza priva di finestre. Sono partito da qui: l'idea di un uomo costretto a stare in una stanza senza finestre, come una prigione. Abbiamo cercato a lungo un ambiente totalmente opposto: mi piaceva il contrasto tra una stanza senza finestre a una piena di finestre. Ormai avevamo quasi esaurito il budget, ma alla fine abbiamo trovato l'ambiente adatto... e per la cronaca, era lo studio di un avvocato di Manhattan.
Da cosa è dipesa la scelta di concentrarvi totalmente sul lavoro di Daniel Jones, tralasciando la sua vita privata?
All'inizio stavamo sviluppando il film per la HBO, e un produttore ci ha chiesto di mostrare anche alcune scene di Daniel Jones nel privato. Queste scene erano già presenti nella sceneggiatura, ma ad un'ulteriore analisi ho pensato che in fondo si trattava di situazioni già viste in altri film. The Report invece doveva esprimere un senso di claustrofobia, con Daniel sempre confinato in ufficio. Se avessimo mostrato la vita privata di Daniel, questo avrebbe tolto tensione al racconto; abbiamo tenuto solo un rapido accenno a una sua passata relazione. C'è una lunga inquadratura di Daniel che guarda un albero, e questa scena mostra come fosse prigioniero del proprio lavoro, al punto da entrare in trance perfino per qualcosa di semplice come un albero.
Per The Report, vi siete ispirati anche al grande cinema americano d'impegno sociale degli anni Settanta?
Io amo i film di Alan J. Pakula e Sidney Lumet, hanno avuto un'enorme influenza su di me. Inoltre sono stati film importanti per l'America dell'epoca del Watergate, una fase di crisi politica e di paranoia. A proposito dell'America, vorrei citarvi una frase significativa di Sergio Leone: "Ho iniziato a capire che l'America, in realtà, appartiene al mondo intero, non solo agli americani".
Dato che gli studi sull'inefficacia della tortura sono stati condotti per decenni, com'è stato possibile che dopo l'11 settembre la CIA abbia comunque scelto di aderire a questo programma di torture?
La CIA è organizzata in una serie di compartimenti stagni, fra cui le informazioni non sono condivise spesso; lo stesso vale per questi studi. Molti funzionari non erano d'accordo con i metodi legati alla tortura, ma la CIA è stata a tal punto coinvolta in questo programma da presentarlo in maniera falsata, tanto alla Casa Bianca quanto al popolo. Durante le mie ricerche, tutti gli esperti con cui ho parlato mi hanno confermato che l'unica tecnica efficace per ottenere informazioni dai detenuti è instaurare con loro un rapporto, affascinarli, ingannarli. Se invece li torturi ottieni delle confessioni inutili, rilasciate solo per farti smettere.
Nel film si ascoltano le canzoni di alcune band hard rock, impiegate come sottofondo durante gli atti di tortura: come hanno reagito queste band al riguardo?
Volete sapere la differenza fra me e la CIA? Io ho chiesto i diritti musicali alle band, la CIA invece no. Tutte le band consultate erano oltraggiate dall'uso che era stato fatto della loro musica da parte della CIA.
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The Report: come aggiustare un sistema corrotto
In The Report ci sono riferimenti espliciti alla serie 24 e al film Zero Dark Thirty: come mai?
The Report mostra le difficoltà incontrate da Daniel Jones, derivanti anche dal sistema politico degli Stati Uniti. Nel film ho inserito questi riferimenti perché le persone si aggrappano a una certa narrazione, dopodiché non la abbandonano più; e Daniel ha combattuto proprio contro tale narrazione. 24 ha creato una narrazione sull'efficacia della tortura, mentre Zero Dark Thirty ci ha mostrato che grazie ad essa è stato possibile rintracciare Osama bin Laden. La battaglia di Daniel è stata dimostrare come ciò non fosse vero.
Nell'America contemporanea, così come nel resto del mondo, è così difficile far emergere la verità riguardante i segreti di Stato?
Giusto a questo proposito, alcuni anni fa ho visto a teatro Morte accidentale di un anarchico di Dario Fo. Oggi in America confidiamo molto nei whistleblower per capire cosa accade veramente, ed esistono delle leggi apposta per proteggerli. Ma bisogna fare una distinzione importante: Daniel non era un whistleblower.
Oltre alle responsabilità di George W. Bush, nel film si parla anche di quelle di Barack Obama: da cosa è dipesa questa scelta?
Ho votato per Barack Obama due volte, e ne sono orgoglioso: sono felice di vivere in un'epoca in cui l'America ha eletto un Presidente come lui. Ma si può eleggere un leader ed essere anche critici nei suoi confronti. Obama ha fatto cose meravigliose e ha commesso degli errori: al suo terzo giorno di presidenza ha bloccato il programma di tortura, ma non si è impegnato abbastanza per inchiodare le persone alle proprie responsabilità.
Qual è la sua considerazione complessiva sulla questione della tortura descritta nel rapporto di Daniel Jones?
Sono molto legato alle storie con finali aperti e ai film con una certa ambiguità, in cui l'interpretazione è lasciata agli spettatori. The Report comunque contiene un profondo senso di speranza: descrive un sistema corrotto, ma che riesce a cambiare e può tornare a funzionare. Al tempo stesso, provo disperazione al pensiero che il mio paese abbia compiuto azioni così orribili, ed è scoraggiante che Daniel Jones sia stato tanto ostacolato nel suo lavoro. Il nostro è un bellissimo sistema politico, ma richiede che ci si assuma le proprie responsabilità.
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