Sono i The Pills che conosciamo: Luigi, Matteo e Luca, perennemente attorno al tavolo della cucina a bere caffè e fumare, in crisi con i loro (quasi) trent'anni e con le responsabilità che li inseguono. L'ozio li tiene uniti, e rifuggire sistematicamente il lavoro li fa sentire ancora adolescenti e protetti. Finché in Luca non scatta qualcosa: l'imbarazzante e disdicevole voglia di lavorare.
Alla conferenza che segue l'anteprima di The Pills - Sempre meglio che lavorare, il loro esordio cinematografico, Luca Vecchi, Matteo Corradini e Luigi Di Capua sono identici nell'atteggiamento a come li vediamo, il più delle volte in bianco e nero, sullo schermo: scanzonati, buffi, un po' goffi. Come un genitore che li accompagni per mano, accanto a loro è seduto il produttore Pietro Valsecchi, che spiega com'è nato il progetto.
La genesi del film e l'approdo al cinema
Come è nata l'idea del film?
Pietro Valsecchi: È passato pochissimo tempo dall'anteprima del film con Checco Zalone, che in un certo senso rappresenta l'altra faccia della stessa medaglia. Quo vado? parla dell'inseguimento disperato del posto fisso, mentre questo film racconta di giovani che non vogliono lavorare. I The Pills mi furono segnalati da persone più giovani di me: io appartengo a un'altra generazione e a un'altra realtà, ma dico sempre che un produttore ha il compito di cercare nuovi talenti. Questo è un film piccolo, realizzato da ragazzi che vengono dal web, e i loro riferimenti (prevalentemente tratti dal cinema americano) sono diversi dai miei. Ma sono persone fresche, e la regia di Luca è sobria e accattivante. Non è semplice far debuttare dei giovani: devi accompagnarli; ma è stata una bella avventura, e spero che continuino su questa strada. Tutti mi chiedono come voglio impiegare i settanta milioni incassati con Quo vado?, e la mia risposta è: nel cinema. Seguiranno Frank Matano e altre sorprese. Dobbiamo guardare con attenzione a queste realtà, e io voglio sempre mettermi in gioco.
Luca, Matteo, e Luigi: questo è stato un passo importante. Raccontateci delle vostre speranze, paure, difficoltà.
Matteo Corradini: Il passaggio al cinema è stato abbastanza tranquillo, anche se come esperienza è senz'altro diversa, e mi ha insegnato molto. Spero che il film trovi un riconoscimento e una sua fetta di pubblico.
Luigi Di Capua: Abbiamo cercato di portare il nostro linguaggio al cinema, quindi c'è una mescolanza di registri. E tu, Luca, che dici: hai trovato quest'esperienza più faticosa che girare i video in cucina "con gli amichetti tua"?
Luca Vecchi: È stato un bel battesimo del fuoco, senz'altro formativo, come dice il mio collega. Perché non è più un amico ma un collega, ricordiamolo (sorride ironico). Spero che il film sia un tentativo riuscito.
Meglio l'ozio che lavorare
Per il film si sono usati litri di caffè e birrette. Quanto avete speso per questo?
Matteo Corradini: Un numero che ancora non è stato scoperto e di cui stiamo calcolando le potenze. Il caffè è stato davvero essenziale, perché ci siamo fatti un bel... si potrà dire in tv?
Da dove siete partiti per la trama?
Luigi Di Capua: Volevamo realizzare il film più onesto possibile. Infatti in parte è autobiografico, perché rispecchia il nostro approccio al mondo del lavoro. Appena laureati, intorno al 2010-2011, non riuscivamo a trovare lavoro e così ci siamo detti: "Proviamo a fare le cose che ci divertono!". Luca voleva fare il regista, io lo sceneggiatore, Matteo il rapper. Abbiamo affrontato un paio d'anni di miseria, ma era importante rimanere compatti, altrimenti avremmo dovuto smettere con i The Pills e, per dirla in modo più retorico, smettere di fare ciò in cui si crede. Quindi abbiamo attraversato quest'immobilismo, che è stato il punto di partenza del film.
Pietro Valsecchi: Il film uscirà il 21 gennaio in 350 sale, che sono tante per un debutto. Stamattina mi ha fatto piacere sentire molta gente ridere; del resto abbiamo fatto diversi test, e i ragazzi ridono tanto. Certo, i The Pills rispecchiano una certa romanità; speriamo che il film piaccia anche nel Nord Est.
Alla fine com'è stato dover lavorare realmente? E che ci dite del teaser con Gianni Morandi?
Matteo Corradini: Abbiamo trattato il lavoro con questa cattiveria perché in piena crisi ci chiedevamo davvero se valesse la pena di svegliarsi ogni giorno alle sette e mezza. Poi nel film io vado a mangiare dai miei, perché non nascondiamo assolutamente gli sforzi dei nostri genitori per permetterci questa vita. Fra l'altro, l'attore che nel film interpreta mio padre è veramente mio padre.
Luigi Di Capua: Riguardo a Gianni Morandi, lui ha questa tecnica incredibile per cui ai commenti d'odio risponde con banalità assolute. Sembra sempre che ti prenda per il culo, ma in realtà è sincero, e questo l'ha fatto diventare un eroe.
Ispirazioni artistiche e scelte musicali
Qual è la vostra ispirazione comica: più nostrana o internazionale? E come avete mischiato Hollywood al Pigneto?
Luca Vecchi: Noi siamo figli degli anni Ottanta e Novanta, e per noi la tv era una sorta di babysitter. Su questo siamo onnivori, e siamo passati dalla commedia all'italiana alle commedie di Hollywood, e anche ai videoclip di Mtv. Da ogni cosa abbiamo tratto ciò che pensavamo valesse, e ci faceva ridere parlare dei "bangla" [minimarket gestiti spesso da bengalesi, N.d.R.] con le atmosfere alla Fight club. Poi fra di noi abbiamo gusti diversi; Matteo, per dire, è l'unica persona a cui fanno ridere i film di David Lynch, che fanno una paura tremenda.
Matteo Corradini: Sì, io li trovo divertenti. Senza volerci assolutamente paragonare, comunque, un'ispirazione per me sono stati i Monty Python. E i libri di Terry Pratchett, così come l'umorismo inglese in generale.
Luigi Di Capua: Io sono molto influenzato dalla commedia all'italiana, che ho scoperto negli anni. Prima ero più esterofilo, con Larry David e Jerry Seinfeld. Adesso apprezzo molto tutto quel cinema comico, con Nuti e Verdone, che è pure un po' malinconico. Anche il nostro film ha tinte malinconiche.
Sono interessanti le scelte musicali: I Cani, Calcutta, Thegiornalisti. Chi l'ha scelta la colonna sonora?
Luigi Di Capua: Tutti e tre. Avremmo potuto scegliere dei classici, come Vasco, ma poi ci è sembrato più giusto portare al cinema l'immaginario attuale, con artisti che hanno la nostra età, molti dei quali sono nostri amici, in grado di raccontare la nostra generazione, e peraltro bravissimi.
C'è un omaggio a Clerks - Commessi?
Luca Vecchi: Sì, nel linguaggio sporco, documentaristico, nel bianco e nero.
Velleità e periferia romana
Secondo voi, per riprendere una metafora del film, la "cicorietta" [una cosa buona e desiderabile, N.d.R.] della nostra generazione è la velleità artistica? E la cicorietta della generazione precedente?
Luigi Di Capua: Riguardo alla nostra generazione, forse la cicorietta è quello che abbiamo fatto: planare verso i trent'anni in modo più tranquillo. O, boh, forse fatturare (ride). La cicorietta delle generazioni precedenti, invece, sono stati i figli.
Luca Vecchi: La cicoria non ti uccide, ma le velleità sì.
Pietro Valsecchi: Questo film è uno spaccato realistico delle nuove generazioni. Fa ridere, ma se ci si pensa è anche molto preoccupante.
Colpisce la frase del film "una vita in cui ci si alza alle 7.30 del mattino non vale la pena di essere vissuta". E se invece di 300 euro ti danno migliaia di euro, ne vale la pena?
Luigi Di Capua: Non è una questione di soldi, ma mentale. I trent'anni sembrano un salto nell'iperspazio, perché senti che le scelte di adesso ti segneranno per tutta la vita. Ecco perché riemergono velleità sopite. Poi se, come nel film, tuo padre o una persona a cui ti appoggi coltiva le stesse velleità, il sistema crolla.
Il cinema italiano ci ha abituati a vedere storie di precari che vivono intorno a piazza Navona, piazza di Spagna. In questo film invece vi spingete anche oltre il Pigneto, verso la Prenestina, viale Palmiro Togliatti.
Matteo Corradini: Per me quello è centro (ride).
Luigi Di Capua: Noi volevamo portare un certo linguaggio e un certo mondo al cinema. Ogni città ha il suo Pigneto; noi abbiamo raccontato il nostro quartiere: né la periferia triste, né i loft fichissimi in cui vivono gli studenti bellissimi dei film italiani. Ma chi l'ha mai visto un loft? E noi siamo brutti a modo nostro.
Movieplayer.it
3.0/5