Con l'inquadratura di una bottiglietta di vetro con la scritta Heroin, messa in commercio dall'affidabile Bayer, "quella delle aspirine" si concludeva la prima stagione di The Knick, la serie diretta e prodotta da Steven Soderbergh e creata da Jack Amiel e Michael Begler per la rete via cavo Cinemax, presentata durante la nona edizione di quello che era ancora in Festival Internazionale del Film di Roma, recentemente tornato alla dimensione di Festa del Cinema. Un farmaco, ai tempi, utilizzato come cura dalla dipendenza da cocaina, droga dalla quale John Thackery (Clive Owen), primario del reparto di chirurgia del Knickerbocker Hospital, il famoso "The Knick" del titolo, è totalmente assuefatto. Una dipendenza, parallela a quella dell'oppio, scandagliata nel corso della prima stagione fino al triste epilogo che ha portato l'arrogante quanto brillante chirurgo a non agire più con la lucidità necessaria per operare, tanto da condurlo alla morte una giovane paziente con la quale ha tentato di dimostrare una sua teoria medica rivelatasi però erronea. Una leggerezza dettata sia dagli effetti collaterali di una droga sempre più abusata ma anche dalla voglia di primeggiare nei confronti dell'equipe medica con la quale lavorava, competitivamente, ogni giorno. Un'insieme di fattori portati al limite la cui diretta conseguenza è stata il confinamento del chirurgo alla clinica Cromartie Hospital, una sorta di rehab di inizio secolo nella quale trovavano aiuto uomini e donne con problemi di dipendenza da sostanze che proprio in quegli stessi anni facevano il loro ingresso nel mondo medico, tanto da venir utilizzati in procedure chirurgiche o come energizzanti per gli schiavi nei campi di cotone. La season premiere della seconda stagione si apre invece con un'allucinazione proprio del volto di quell'adolescente morta sul tavolo operatorio alla quale Thackery aveva promesso una completa guarigione per poi inquadrare il medico sdraiato nella sua camera del Cromartie, sconvolto da quell'immagine persecutoria.
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Ad un anno di distanza dall'inizio della prima stagione, avvolti in un altro freddo inverno newyorchese, che Soderbergh esalta grazie ad una fotografia attenta al virare delle tonalità, dalle più asettiche e luminose alle più calde e avvolgenti sfumature cromatiche, i personaggi che gravitavano attorno a Thackery e al Knickerbocker Hospital ci vengono mostrati nelle loro nuove dimensioni umane e professionali, degenerate progressivamente nel corso della stagione precedente. E se si guarda da vicino ai temi toccati dalla serie forse diventa più chiaro il motivo che ha spinto il regista a tornare sui suoi passi dopo la decisione di abbandonare il mondo del cinema. Ciò che viene indagato in The Knick non è solo l'America di inizio secolo caratterizzata da quel passaggio epocale della medicina in una scienza sempre più sofisticata e ricercata e da un'insieme di realtà culturali differenti che si ritrovavano a convivere tra difficoltà, razzismo, povertà e lotte sociali. Alla base della serie c'è la dipendenza, non intesa solo come l'assuefazione di Thackery da cocaina, oppio ed eroina, ma nel suo termine più ampio. Un tema che tocca tutti i personaggi e che riaffiora continuamente nella filmografia del regista statunitense declinato nei modi più svariati da Sesso, bugie e videotape a Dietro i candelabri.
"Il bisogno non svanirà mai"
Al centro della storia c'è lui, il Dottor John Thackery, primario egocentrico e carismatico del Knickerbocker Hospital, ispirato alla figura del vero chirurgo William Stewart Halsted e al libro dedicato alla sua memoria, Genius On The Edge, anch'egli dipendente da sostanze all'epoca sperimentate in medicina per venir poi bandite e riaffiorare come droghe nel corso degli anni successivi. Un uomo, Thackery, spinto dalla voglia di conoscenza, dal desiderio di diventare protagonista della storia, presente e futura, grazie alle sue importanti e rivoluzionarie scoperte mediche. Un cammino verso la gloria reso impervio dall'uso sempre più indigente di sostanze stupefacenti che ne hanno progressivamente annebbiato l'operato. E nonostante nella prima puntata di questa seconda stagione la sua presenza sia relativamente confinata ai bordi della narrazione, il suo "spirito" aleggia costantemente all'interno della sceneggiatura, a dimostrazione di come la sua figura sia fortemente incisiva e centrale. Quello che il regista ci mostra è un uomo molto meno audace, molto meno spavaldo di quello che abbiamo imparato a conoscere all'inizio della prima stagione. Questo perché la sceneggiatura ne sta mostrando le debolezze, gli effetti che quella dipendenza hanno sul suo corpo e la sua mente. Un bisogno di ricevere la propria dose ai limiti del maniacale che porta Thackery a contrattare un'operazione clandestina in cambio di qualche fialetta di eroina passata di nascosto da un'infermiere compiacente.
La sua apparizione sul piccolo schermo divide in tre la narrazione, da quell'iniziale inquadratura del suo volto sconvolto, all'incontro/scontro con l'ex collega Everett Gallinger (Eric Johnson) al quale confida, disperato, come a spaventarlo sia quel pensiero costante della dose da combattere fino alla sequenza finale nella quale un Thackery finalmente lucido apre formalmente alla narrazione che lo vedrà protagonista nel corso dei successivi episodi della seconda stagione, ovvero l'epifania di come la sua dipendenza sia una malattia vera e propria alla quale può trovare una cura. Verosimilmente, dunque, questo secondo capitolo, apre ad un racconto più dettagliato della lotta del chirurgo contro le sue debolezze, declinate ad una nuova sfida medica che lo vedrà protagonista nella duplice veste di terapeuta e paziente.
Non solo Thackery
The Knick, attraverso la figura del suo protagonista principale, non si limita a seguire la storia privata e singola del medico innovatore, attraverso raffinate quanto sanguinolente sequenze di operazioni chirurgiche, ma scandaglia una serie di temi attraverso altrettanti personaggi che fanno da cornice viva e attiva alla storia. La New York di inizio secolo, resa attuale dalle musiche elettroniche di Cliff Martinez, il compositore di quasi tutti i lavori di Soderbergh, è una creatura brulicante di culture ed etnie differenti che portano con loro razzismo, immigrazione clandestina, corruzione e traffici illeciti all'interno di una società fortemente ancorata ad una visione rigida dei ruoli e dei confini entro i quali muoversi. Un terreno ricco di realtà contrastanti che finiscono inevitabilmente per entrare in collisione tra di loro, tra il progresso tecnico e scientifico (macchine, cinepresa, strumenti medici) ed uno sguardo limitato (discriminazione, pregiudizio sociale). A rappresentare questi temi sono proprio gli altri personaggi che compongo l'affollato entourage del The Knick. Basti pensare alla diffidenza e l'ostracismo del quale è stato, ed in parte continua ad essere vittima Algernon Edwards (Andre Holland), il preparato chirurgo afroamericano che vede costantemente messo in secondo piano il suo lavoro e la sua professionalità in virtù di un colore della pelle considerato con sospetto e limitatezza da una società profondamente razzista.
Lo stesso discorso vale per Cornelia Robertson (Juliet Rylance), la figlia del maggiore finanziatore dell'ospedale a capo della gestione dello stesso, che deve combattere con un'ambiente sessista nel quale opera, o suor Harriet (Cara Seymour), l'ostetrica che gestisce l'orfanotrofio del The Knick, arrestata per praticare aborti clandestini, illegali al tempo. Tutte figure di rottura rispetto all'epoca e al suo recente passato che faticano a trovare l'equilibrio necessario per vivere in un contesto sociale, nonostante i fermenti culturali e scientifici, ancora circoscritto. The Kick, quindi, nonostante s'inserisca nei filoni del medical e period drama, da E.R. - Medici in prima linea a Dr House fino a Downton Abbey, grazie alle storie collegate dei suoi protagonisti racconta l'inizio del secolo scorso. Un secolo pregno di avvenimenti sensazionali che hanno scosso il mondo accademico e la società, grazie ad invenzioni capaci di cambiare il corso della storia in nome di un progresso fortemente inseguito ma anche caratterizzato da ombre e povertà.
Steven Soderbergh si conferma ancora una volta narratore sopraffino, capace di usare tutti i mezzi a sua disposizione, dalle luci alle musiche, passando per i costumi e le scenografie, per rendere il suo racconto, la sua visione, ancor più incisivi. Una sfida vinta già nel primo episodio di questa seconda stagione più che promettente.
Movieplayer.it
3.5/5