La cultura degli afroamericani, la loro identità e il loro posto negli Stati Uniti di un tempo come in quelli di oggi. La Festa del Cinema di Roma ha trovato uno dei suoi temi conduttori. Sabato 20 Michael Moore, nel suo Fahrenheit 11/9, ci aveva raccontato della comunità nera di Flint, Michigan, avvelenata da una speculazione e abbandonata dall'amministrazione, sia repubblicana che democratica. Domenica 21 Barry Jenkins, con Se la strada potesse parlare, ci ha parlato d'amore ma anche dei soprusi che i neri, da anni, subiscono da parte di chi detiene il potere, i bianchi e soprattutto la polizia. Ieri è stato il turno di George Tillman Jr., che ha presentato il suo The Hate U Give, un'altra storia di soprusi sulle persone di colore.
Come il film di Jenkins, anche questo è tratto da un libro, di Angie Thomas, ma prende una via molto più decisa rispetto all'intimismo del regista di Moonlight. Le parole del titolo sono prese dal rapper Tupac: "The Hate U Give Little Infants Fucks Everybody (È l'odio che diamo ai bambini a fotterci)". Il film racconta la storia di Starr (Amandla Stenberg), un'adolescente che vive in una famiglia unita, va in un'ottima scuola (frequentata dai bianchi, uno di questi è il suo ragazzo), ma una sera è testimone di un omicidio: un suo amico viene ucciso a sangue freddo da un poliziotto. Da lì in poi la sua vita cambia. Si tratta di trovare la giustizia. Ma anche la propria identità. "Mi piace l'idea del titolo The Hate U Give, presa da un discorso del '93 di Tupac, dopo un suo incontro con la polizia ad Atlanta" spiega il regista. "L'odio che dai ai bambini arriva dal potere, dal fatto che non ci siano i posti di lavoro. L'odio viene diffuso e ritorna, perché i bambini vedono tutto questo e lo assorbono. Come fanno a dare amore? Come possiamo ricominciare da capo? Tupac si chiedeva anche come mai abbiamo tanti soldi per la guerra e pochi per nutrire i poveri?"
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Barry Jenkins e George Tillman Jr. a confronto
Inevitabile, per tutti, fare un confronto con Se la strada potesse parlare, il film di Barry Jenkins visto da tutti un giorno prima di The Hate U Give. Il suo messaggio è che l'amore sia una sorta di resistenza, e, nonostante le offese subite, il popolo afroamericano abbia tanta bellezza e tanta dignità. Ma quella bellezza e quella dignità bastano? "È una delle cose più importanti per me" risponde George Tillman Jr.. "Ricordo quello che era successo a me agli inizi degli Anni Settanta: mio padre era un operaio ed era stato licenziato. Un giovane era stato ucciso, e mio padre disse: "dopo il mio licenziamento il Natale sarà duro". E io mi ricordo la connessione tra queste due cose. E la mia famiglia che era comunque decisa a rimanere felice, a ridere e a piangere. Ricordo tantissima bellezza e risate ma anche tante lacrime. Nella famiglia Carter, anche se le cose sono molto dure, si riesce a trovare la gioia. Che altro modo abbiamo altrimenti?" Tutto questo si sente nel film, che alterna momenti altamente drammatici e carichi di tensione a momenti più leggeri, rilassati. Guardarlo è una continua doccia scozzese.
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Dal libro di Angie Thomas al film
Come quello di Jenkins, anche questo film nasce da un libro, di Angie Thomas. "Nel gennaio 2016 lavoravo a un programma per la Disney e ho letto il libro prima che uscisse" ricorda Tillman Jr. "Il problema dell'identità è importante. Sei un afroamericano nella tua comunità, poi vai in mezzo ai bianchi e diventi un compromesso. Va bene essere chi siamo, essere noi stessi. È da qui che ho sentito il contatto con la storia di Starr. il fatto che ritrovi la sua vita e rinunci ai compromessi per me è molto importante". Il legame del regista con la sua eroina, Starr, è evidente. Anche lui, infatti, ha avuto qualche problema con la sua identità. "Volevo mostrare la quanto tu possa cambiare completamente a seconda di dove ti trovi" ci racconta il regista. "Io sono andato sempre in scuole pubbliche afroamericane. Poi i miei mi hanno portato in una scuola bianca: tutto era diverso, più spazio, più soldi, più formazione. E così tu cambi, non puoi più usare lo slang della tua comunità. Quando ho iniziato a lavorare nel cinema ricordo di essere andato alla festa della scuola, eravamo quattro o cinque afroamericani, hanno messo la musica hip-hop e mia moglie voleva ballare. Io non volevo, perché non volevo mostrare lo stereotipo dei neri che ballano. Mia moglie mi ha detto sii te stesso. Avevo trent'anni e non avevo ancora trovato la mia identità".
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Abuso di potere
L'altro tema del film, accanto a quello dell'identità, è quello dell'abuso di potere. Qualche giornalista, per esperienza personale, non ha potuto fare a meno di notare certi comportamenti a volte troppo aggressivi della polizia americana. "È per questo che ho deciso di fare questo film, perché voglio che le cose cambino" concorda il regista. "Cambiare il sistema, le scuole, il modo in cui si insegna, in cui ci guardiamo gli uni con gli altri. Il personaggio di Carlos, un poliziotto e zio di Starr, nel film anche da afroamericano ha un pregiudizio verso le persone di colore. Anche lui impara dal sistema. Quando vengo in Europa vedo una differenza nel come i poliziotti trattano le persone" L'abuso di potere, poi, va di pari passo con la facilità con cui in America le persone possono detenere armi: se un poliziotto, appena ferma qualcuno, sa che questo potrebbe avere un'arma, vive in uno stato di tensione che lo porta magari a sparare a bruciapelo. "Una delle cose nella storia che mi ha interessato è proprio il controllo sulle armi in America" spiega il regista. "Sekani, il fratellino di Starr, ha la possibilità di prendere una pistola con troppa facilità. Perché la questione della razza è così importante? Una volta c'erano le guardie anti schiavi, le slave patrol, che andavano a recuperare gli schiavi che fuggivano, ed è da qui che è nata la polizia". Proprio per stare in guardia contro gli abusi di potere, ognuno dovrebbe avere una lista dei propri diritti di cittadino: nella prima scena del film vediamo Maverick, il padre di Starr, istruire i propri figli in questo senso. "C''è un grande divisione nel paese oggi, ma la maggior parte dei genitori ne parlano" ci racconta Tillman Jr. "I bambini bianchi sono privilegiati, in casa loro si parla di uccellini, di api, o si fa educazione sessuale. Solo in alcune comunità, come quella afroamericana, si trovano a dover fare i conti con la brutalità della polizia. È fondamentale sapere queste cose, perché devono sopravvivere così. In alcune parti d'America ci sono persone che non sanno nulla di tutto questo, sono privilegiati, non devono preoccuparsi di cosa fare se vengono fermati dalla polizia. I diritti che sentiamo nel film sono stati scritti dalle Black Panthers. Se tutti i genitori insegnassero ai bambini qual è la situazione delle persone di altre culture e altre comunità, a rispettarsi gli uni con gli altri, le cose sarebbero diverse".
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Non è il solito film Young Adult...
Insegnare, una parola che ricorre più volte nell'incontro con George Tillman Jr. Perché The Hate U Give è un film che andrebbe proiettato nelle scuole. "Io vorrei che i ragazzi vedessero questo film" afferma con convinzione il regista. "I social media hanno un potere enorme. Una delle cose che facciamo coi ragazzi è dire loro di usare la loro voce e poi criticarli. Invece io dico: dite tutto quello che sentite, dite la cosa giusta, dite quello che è importante per voi. È questo il messaggio che vorrei dare ai giovani. Non ho voluto fare il solito film Young Adult. Perché i ragazzi sono intelligenti e scoprono subito se una cosa è falsa".