Con un budget stimato di oltre ottanta milioni di dollari, una produzione imponente e sfarzosissima, una colonna sonora con brani originali firmati dal team dei compositori di La La Land e un protagonista del calibro di Hugh Jackman, The Greatest Showman è senz'altro una delle grandi scommesse di fine anno. In uscita il 20 dicembre negli Stati Uniti e il giorno di Natale in Italia, distribuito da Fox, The Greatest Showman, opera prima del regista Michael Gracey, ripercorre la giovinezza, la scalata verso il successo e i trionfi professionali di Phineas Taylor Barnum, una figura ormai iconica dell'America del diciannovesimo secolo: un personaggio estroso e controverso, impresario di un gigantesco show circense definito "il più grande spettacolo del mondo".
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Mercoledì mattina a Roma, dopo l'anteprima stampa del film, abbiamo avuto l'occasione di parlare in videoconferenza con Michael Gracey, con Hugh Jackman, qui in uno dei suoi ruoli più carismatici (e sempre più a suo agio nei numeri musicali), e con altri due interpreti del film, Zac Efron e la giovanissima Zendaya Coleman, i quali ci hanno raccontato la loro fascinazione nei confronti del mondo di Barnum e la loro esperienza sul set di questo attesissimo musical...
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P.T. Barnum, lo Steve Jobs dell'intrattenimento
Michael, questo è il tuo primo film: come sei approdato a un progetto così importante?
Michael Gracey: Otto anni fa ho diretto uno spot pubblicitario con Hugh Jackman. Ci siamo divertiti, e durante la festa per la fine delle riprese lui mi ha proposto di realizzare un film insieme, ma non gli ho creduto: ho pensato che le star di Hollywood dicessero sempre così dopo aver lavorato con qualcuno! Tempo dopo invece ho ricevuto direttamente da lui il soggetto per The Greatest Showman: per il ruolo da protagonista Hugh quindi è stato la mia prima scelta... anche perché non avevo scelta! Da quel momento ha avuto inizio un lungo processo per avere il copione giusto e la giusta colonna sonora: la musica ha richiesto un sacco di tempo, e alle canzoni hanno lavorato per ben tre anni Benj Pasek e Justin Paul, che all'epoca non erano ancora diventati famosi.
Hugh Jackman, ti sei rispecchiato nella doppia dimensione di P.T. Barnum, pubblica e privata?
Hugh Jackman: È importante ricordare che Barnum era nato e cresciuto in condizioni di estrema povertà, è stato costretto a lottare per la propria sopravvivenza e poi per mantenere la sua famiglia. Oltre a questo, però, era dotato di grande immaginazione e di grande coraggio: era come lo Steve Jobs dell'epoca, aveva una nuova visione del mondo, una visione che avrebbe trasformato per sempre il concetto di intrattenimento. Riguardo al rapporto fra carriera e vita privata, penso che per chiunque, nella vita moderna, sia difficile trovare abbastanza tempo per la propria famiglia, a prescindere dal tipo di lavoro svolto. Recitare è sempre stato il mio sogno, ma sono stato fortunato a incontrare una moglie magnifica prima di diventare famoso: lei è sempre stata al mio fianco per incoraggiarmi, ma era anche pronta a correggermi quando rischiavo di esagerare con il lavoro.
Per The Greatest Showman avete tenuto presente anche il modello di Freaks di Tod Browning?
Michael Gracey: All'inizio Freaks è stato ovviamente un riferimento, ma da subito nel film si smette di chiamare i personaggi freaks, si usa invece il termine oddities: infatti non volevamo stigmatizzare il loro aspetto, ma celebrare il valore della loro diversità. Abbiamo cercato di sottolineare l'umanità di persone che appaiono differenti rispetto agli altri, mentre Freaks offriva una rappresentazione molto più dura.
Hugh Jackman: Il film racconta una storia vera: nell'Ottocento queste persone erano ritenute maledette, e la loro sorte era quella di vivere sempre nascoste oppure di essere esibite come fenomeni da baraccone. Se avete visto The Elephant Man sapete cosa accadeva loro e cosa dovevano subire. Dopo Barnum, persone come queste iniziarono invece ad avere successo, diventando perfino ricche e famose. Sono orgoglioso del film perché in qualche modo parla a tutti noi: in fondo non esiste un adolescente che non si sia sentito strano e diverso... ma ricordatevi che ciò che vi rende diversi è anche ciò che vi rende speciali.
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Il ritorno al musical, le canzoni strappalacrime e... Zucchero
Zac e Zendaya, come vi siete avvicinati ai vostri personaggi?
Zac Efron: Considero Phillip come un ragazzo che aveva percorso ogni casella del successo: aveva la fama, il denaro, tutto ciò che si potesse desiderare, ma incredibilmente si sentiva comunque infelice e solo. Quando incontra Barnum, Phillip realizza che la vita può riservargli molto di più; e infatti, nel suo primo giorno al circo, scopre subito l'amore, iniziando un rapporto che era tabù per l'epoca.
Zendaya: Mi sono identificata molto nel mio personaggio: sentirsi dire dal resto del mondo chi si dovrebbe amare è molto triste, ma spesso è ancora così. The Greatest Showman ci insegna ad ascoltare sempre il cuore, anche quando amare può costituire un rischio: è una battaglia costante fra la mente e il cuore.
Zac, girare un nuovo musical per te è stato come un "ritorno a casa"?
Zac Efron: Amo i musical, ci sono cresciuto, ne ho visti tantissimi. Fin da piccolo sono stato abituato a fare tante cose su un palcoscenico, alcune delle quali sono ancora conservate su vecchie videocassette, e forse preferirei non rivederle! Sì, è stato un "ritorno a casa", molto divertente.
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Hugh, secondo te qual è il valore più importante espresso dal film?
Hugh Jackman: Nel film sono trattati molti temi, fra cui la nascita dell'America moderna e la celebrazione dello spirito umano. C'è una canzone in particolare, This Is Me, che mi ha fatto piangere: un autentico inno dotato di un potere liberatorio, una canzone che celebra la forza di volontà e che penso ricorderemo a lungo. Commuoverà tutti e vi assicuro che farà piangere anche voi.
Quali consideri essere gli aspetti più interessanti della figura di Barnum?
Hugh Jackman: Sono affascinato dai personaggi determinati, e The Greatest Showman è una storia sull'importanza di fare ciò che si desidera. Barnum sosteneva che le persone siano più interessate all'idea di vincere che non dalla vittoria stessa, ed ebbe questa intuizione a soli sedici anni, quando campava di piccole truffe. Inoltre capì che la cattiva pubblicità è un tipo di pubblicità eccezionale. Era sempre ottimista, ma anche ruvido, imperfetto, un po' arrabbiato con il mondo: mi è sembrato che la sua vita fosse il soggetto ideale per un film. Ma The Greatest Showman non esisterebbe senza Michael: lui ci ha creduto fino in fondo!
Ci sono state delle scene particolarmente complesse da realizzare?
Michael Gracey: È stata fantastica la scena di ballo fra Zac e Zendaya, anche se girarla è stata difficile e stancante. Un'altra scena bellissima è quella al bar fra Hugh e Zac, con il "lancio dei bicchieri": era un numero molto complesso, lo hanno provato per due mesi...
Hugh Jackman: ...e nel farlo avremo bevuto centoquaranta bicchieri!
Michael Gracey: Ma è stata una grande soddisfazione!
L'atmosfera del circo vi ha riportato alla mente il cinema di Federico Fellini?
Michael Gracey: Ovviamente: per me Fellini è uno dei più grandi di sempre e il suo lavoro mi ha influenzato molto, così come ha influenzato altri cineasti. A proposito di circo, Fellini non si può aggirare!
Hugh Jackman: A questo proposito, per me nessuno sa celebrare la vita meglio di voi italiani! Una mia amica di Bologna mi ha spedito un disco di Zucchero, e l'ho consumato a forza di ascoltarlo...