È da giorni agli onori della cronaca per la sfida alle elezioni presidenziali americane, da cui è uscito sconfitto contro Joe Biden. Ma, come vi raccontiamo nella recensione di The Fall, Donald Trump in qualche modo è legato anche al cortometraggio di Jonathan Glazer che è stato presentato il 7 novembre al Ravenna Nightmare Film Festival, in streaming su mymovies.it. Per la stessa ammissione di Glazer, l'idea di The Fall è nata da una foto in cui i due figli di Donald Trump sorridono orgogliosi con una loro preda di caccia, un bellissimo esemplare di leopardo. Da questa immagine è partita una riflessione sulla violenza, sull'orrore. The Fall è un corto fulmineo e fulminante, di quattro minuti o poco più, una sorta di haiku in pellicola, una metafora della paura storica dell'uomo, come causa di una cecità irrazionale. Una paura che incoraggia la folla all'abdicazione della responsabilità personale verso una violenza senza senso e disumana. È il sonno della ragione che genera i mostri, come nel famoso dipinto di Goya. The Fall è un corto potente, duro, simbolico e criptico. Una successione di immagini malate, disturbanti, come spesso è capitato nella videografia e nella filmografia di Glazer.
La trama: la cattura e poi il selfie
Vediamo un bosco in campo lunghissimo. Le fronde di un albero sono scosse. Ma, man mano che l'inquadratura stringe, capiamo che non è il vento a scuoterle. Sono un gruppo di uomini che hanno deciso di catturare un altro uomo, diverso da loro, che si è rifugiato su un albero. Una volta catturato, si scattano una foto, una sorta di selfie per immortalare la loro conquista e si preparano ad impiccarlo. Una volta comparso sullo schermo il titolo, The Fall, il corto continua in modo ipnotico, e sorprendente.
Jonathan Glazer: dai Massive Attack ai Radiohead
Se il nome Jonathan Glazer non dovesse suggerivi niente, il regista inglese è stato uno dei più originali artisti di videoclip negli anni Novanta. Da Karmacoma dei Massive Attack a The Universal dei Blur, che citava Arancia meccanica, da Virtual Insanity di Jamiroquai agli inquietanti Karma Police dei Radiohead e Rabbit In Your Headlights degli U.N.C.L.E, dove le immagini inquietanti di un uomo che veniva continuamente investito da delle auto scorrevano ancora una volta sulla voce di Thom Yorke. Al cinema ha diretto Sexy beast - L'ultimo colpo della bestia, Birth - Io sono Sean e Under the Skin.
Come nel teatro greco
Tutti i suoi lavori trasmettono un senso di spiazzamento, di inquietudine, di malessere. Lasciano interdetti, sospesi, una volta che si finisce la visione. Tutto questo accade anche con The Fall. A iniziare da quelle maschere inquietanti che coprono il volto di tutti i personaggi in scena, sia gli aggressori che l'aggredito. La maschera di quest'ultimo è diversa, per farci capire che è la minoranza, il diverso, il capro espiatorio. Ma a cosa servono queste maschere? Probabilmente ad astrarre, a stilizzare, a non caratterizzare il racconto come un racconto di cronaca - la storia dell'odio di un'etnia verso un'altra, di una maggioranza verso una minoranza - ma ad elevarlo ad archetipico, a simbolico. Avvicina i personaggi a quelli del teatro greco per mostrarci una storia che potrebbe avvenire in qualsiasi tempo e luogo, nell'antichità come oggi. Perché questa è, ed è sempre stata l'umanità: odio, violenza, follia.
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La folla e l'America di Donald Trump
The Fall, il corto di Jonathan Glazer, è un horror nel senso più intimo e letterale del termine: racconta l'orrore reale che, a cicli, si ripresenta presso il genere umano. È la rabbia collettiva, è quella della folla dell'assalto ai forni delle Grucce cantata dal Manzoni ne I promessi sposi, quella folla che si muove come un unico soggetto impazzito, che è in grado di far perdere la ragione anche a un uomo che la possiede. The Fall, in questo senso, è una metafora del clima instaurato in America da Donald Trump, un mondo fatto di muri, di caccia alle streghe, di esclusione del diverso.
Il selfie
La prima parte, sul ritmo tribale e incalzante della colonna sonora di Mica Levi (sono sue le musiche di Under The Skin, ma anche quelle di Jackiee della recente serie tv Small Axe), si chiude proprio nel momento in cui arriva al punto in cui si ricollega al momento della sua ispirazione. Tutto era nato da quella foto dei figli di Donald Trump con la loro preda, il loro trofeo di caccia. E anche la folla inferocita di The Fall, una volta catturato il loro capro espiatorio, fissa il momento in una foto, forse in un selfie. La loro impresa, infatti, per esistere, deve essere documentata. Con una foto da esporre in qualche sala, se dovessimo trovarci in un tempo passato. Con un selfie da postare sui social media, se la storia fosse nella contemporaneità. Ogni impresa, oggi, deve apparire: altrimenti, il rischio è scomparire, cioè non esistere.
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Un finale criptico e aperto
E se fosse proprio la documentazione della cattura essa stessa la cattura? Se il fine della cattura fosse la sua ostentazione e non l'esecuzione vera e propria? Vi lasciamo con un dubbio, che poi è anche il nostro. Perché, se la metafora e il significato della prima parte di The Fall sono evidenti, è molto più criptico, sfumato, quello della seconda. Vediamo una sedia vuota, un filo che scorre, a lungo (il movimento verticale, dall'alto verso, il basso, caratterizza tutto il corto), un'immagine e un suono ipnotici. L'impiccagione è effettivamente avvenuta? Non vogliamo raccontarvi di più, per non svelarvi il finale del corto, ma anche per lasciare a voi l'interpretazione di quello che è un finale aperto. Quella che si è chiusa, proprio in queste ore, è invece l'era Trump.
Conclusioni
Nella recensione di The Fall vi abbiamo parlato di un corto fulmineo e fulminante, una metafora della paura storica dell'uomo come causa di una cecità irrazionale. The Fall è un corto potente, duro, simbolico e criptico. Una successione di immagini malate, disturbanti, come spesso è capitato nella videografia e nella filmografia di Glazer.
Perché ci piace
- La metafora dell'odio nell'America di Donald Trump.
- La scelta di usare delle maschere, in modo da creare astrazione e rendere il racconto anche qualcosa di universale.
- La musica ossessiva di Mica Levi.
Cosa non va
- Le immagini disturbanti non sono per tutti.
- La scelta di un finale criptico e aperto potrebbe anche deludere.