La musica è fondamentale per una serie come The Eddy ed è stato naturale e interessante parlarne con uno dei compositori che hanno creato le tante canzoni che ne costituiscono la struttura e l'anima, un nome come Glen Ballard che è nel mondo della musica da quarant'anni e ha collaborato con i più grandi artisti del settore, da Quincy Jones a Michael Jackson, scrivendo anche per la televisione e il cinema. Lo abbiamo incontrato a Berlino lo scorso febbraio, quando la serie è stata presentata alla kermesse tedesca nella sezione Berlinale Series, insieme allo sceneggiatore Jack Thorne e il regista degli ultimi episodi, Alan Poul. Vediamo cosa ci hanno raccontato.
Parigi, rifugio per il jazz
Glen, hai vissuto a Parigi per 15 anni, giusto?
Glen Ballard: In realtà ci sono stato a fasi alterne per gli ultimi 25 anni e per quel periodo il jazz non mi ha mai abbandonato. Parigi è uno di quei pochi posti in cui puoi andare in un club jazz ovunque ti trovi e trovare persone che seguono quel mondo con passione. Ho cercato a lungo un modo per mettere a frutto le mie competenze jazz. Sai, ho iniziato la mia carriera lavorando con Quincy Jones e uno dei primi dischi che ho fatto è con un grande artista jazz come George Benson. Ed era il 1980! Io e Quincy abbiamo parlato molto di quanto sarebbe stato bello poter riportare un po' di jazz alla ribalta, ma ci ho messo 40 anni per arrivarci ed eccoci qua. Abbiamo scritto una cinquantina di canzoni per prepararci alla serie, ma non parliamo del vecchio jazz, non ci interessa guardarci alle spalle, ma realizzare qualcosa che possa interessare anche i giovani. L'idea era di avere grandi musicisti a suonare dal vivo, senza macchine ed elettronica, perché negli ultimi vent'anni tutto quello che ascoltiamo è controllato da macchine. Va bene, ma è un'altra forma d'arte. Qui parliamo di musica dal vivo, di musica suonata in ambienti intimi e di come ogni performance finisca per essere leggermente diversa e per questo è importante essere lì ad ascoltare. The Eddy ci porta lì, in questo ristretto circolo di persone che suona questa musica, perché Damien Chazelle e Jack Thorne hanno capito alla perfezione questo concetto. È una serie sulle persone che suonano il jazz, non sul jazz, e quindi se non ne sapete nulla va bene lo stesso.
Alan Poul: Tutto è iniziato quando Glen è venuto nel mio ufficio quasi sette anni fa con un CD pieno di canzoni jazz che ora sono nella serie. Erano una trentina di canzoni e pensava di farci una serie che parlasse di un club di Parigi. Gli dissi "OK, le canzoni sono fantastiche, ma perché Parigi?" e mi spiegò che quella città era stata più ospitale per il jazz e i musicisti jazz di qualunque altra capitale del mondo. E allora gli chiesi "Perché adesso?" Era un po' di tempo fa, il ricordo di Charlie Hebdo era ancora fresco per tutti noi e lui mi disse "perché Parigi sta esplodendo". Tutto è iniziato da lì. Poi abbiamo iniziato a mettere insieme un team, è arrivato Damien Chazelle, poi Jack Thorne che ha assimilato gli elementi che avevamo in mente e ci ha portati dove siamo ora.
Damien Chazelle e l'uso della musica nei suoi film
E come si imposta una serie che parla di persone che fanno un tipo di musica che viene percepito come elitario?
Glen Ballard: La cosa importante è che si tratta di una serie su degli individui. Degli individui che sono anche musicisti jazz. Per questo è necessario essere il più realistici possibile e raccontare com'è inseguire questa cosa chiamata jazz e quanto sia difficile trovare il tuo pubblico nel 2020 se è questo che fai nella vita. E penso che ci siamo riusciti grazie a Damien, a Jack e tutte le persone coinvolte nella serie. Damien è uno che sa tirar fuori le emozioni dalla musica e dalle vicende che circondano la musica. È una serie su persone che si sforzano di ottenere qualcosa di cui nessuno se ne frega niente. Non lo fanno per diventare ricchi e famosi, non è il jazz il modo per diventarlo oggi e per avere dieci milioni di follower su instagram, lo fanno perché è la loro vita e bisogna studiare per anni per suonare questo tipo di musica. E la ricompensa è la musica stessa. Poco pubblico, club intimi. Non è musica da stadio ma è quello che la rende speciale. È una musica che ti può conquistare se entri in un club nelle giuste circostanze, anche se non sai niente di jazz, perché parliamo di quello che può essere questa musica nel 2020 e andando avanti, a suo modo ribelle e diversa da quello che si ascolta alla radio.
Sarebbe stata diversa se non fosse stata scritta per Netflix?
Jack Thorne: Penso che sarei stato più spaventato dal personaggio di Elliot se non fossero stati disponibili tutti gli otto episodi insieme. La sua storia è molto complicata, è una persona molto chiusa e interessante da esplorare, ma penso che se si fosse trattato di una serie tradizionale avrei cercato un modo per aprirlo maggiormente.
Alan Poul: La cosa interessante della serie è che ogni episodio è incentrato su un personaggio, così si ha l'episodio di Elliot, il due su Julie e così via, così anche i membri della band riescono ad avere il loro spazio, come gli assolo di un concerto jazz. Siamo andati contro la tendenza di Netflix di chiudere ogni episodio con un cliffhanger per spingere al binge-watching, ma penso che la serie sia bingiabile in ogni caso, perché coinvolge emotivamente anche se la struttura è più simile a una serie tradizionale trasmessa una volta a settimana.
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Gente di jazz
Come si scrive musica per una serie pensata in questo modo?**
Glen Ballard: Abbiamo cinquanta nuove canzoni jazz, venti delle quali sono nella serie. Quasi ogni testo, direttamente o indirettamente, parla del jazz a Parigi, perché volevo che ci si trovasse lì. L'idea era che Eliott fosse un incredibile musicista di New York con un grande trauma nella propria vita personale, che è fuggito dalla propria esistenza e finisce a Parigi perché è dove vai se sei un musicista jazz. È il tuo rifugio definitivo. Credo ci sia un posto a Parigi per ogni musicista jazz. La differenza è che questa è anche la mia musica. Ho fatto musica per la televisione e il cinema per molto tempo, ma non mi era mai capitato di scrivere canzoni che sarebbero state suonate sul set e ringrazio il produttore Oliver Bibas che l'ha reso possibile, perché non è per niente facile realizzare qualcosa del genere. Non c'è musica in The Eddy che non sia dal vivo e quindi definisce il modo in cui la serie è girata e montata, ne detta il ritmo.
Treme è in qualche modo un'ispirazione per la serie?
Jack Thorne: Quel che hanno fatto con Treme è molto profondo e interessante riguardo New Orleans, ma il modo in cui musica e storia di fondevano in quella serie è molto diverso da quello che abbiamo fatto noi. David Simon è il mio eroe e quello che amo di quella serie è come sia la storia di una città, qualcosa che in qualche modo abbiamo cercato di riprodurre nel raccontare una storia complessa riguardo Parigi. Quel che sta accadendo in questa città non è molto diverso da quanto accade in tante grandi metropoli, come Londra, con un aumento di luoghi esclusivi, dai quali la gente è tenuta fuori, che mi spaventa.
Glen Ballard: Ma Treme è un'ispirazione solo in senso generale, perché le mie radici sono dalle parti di New Orleans e una delle prime persone per cui ho scritto musica è Christian Scott, un incredibile trombettista di quella zona. È una serie magnifica, ma non è un'ispirazione diretta per The Eddy. In questo caso mi interessava l'idea che Parigi fosse un rifugio per questo genere musicale e per le persone che lo fanno e che inseguono questo sogno con molta fatica. Chi lo farebbe se non ossessionato? Devi esercitarti anni per essere in un gruppo del genere che è composto di grandissimi esponenti del jazz mondiale.
Per questo avete scelto musicisti che iniziavano a recitare piuttosto che attori che imparassero a suonare?
Glen Ballard: Devo essere onesto: ci sono state delle persone che hanno fatto provini per essere nel cast ed erano buoni attori, ma non sapevano suonare e non c'è modo che si possa imparare a suonare questa musica dal vivo con un mese di esercizio. Ci vogliono dieci anni, ci vuole una vita intera. È musica molto complicata, ma spero che sia semplice da ascoltare.
Ed è bello vedere anche una batterista donna. È qualcosa di comune nel jazz?
Glen Ballard: Non necessariamente. Ma Jack Thorne l'ha scritta in quel modo e abbiamo faticato molto per trovare Lada Obradovic, che non si è rivelata solo un'incredibile batterista, ma anche una buona attrice e lo potete vedere nel settimo episodio. Trovarla è stata un sogno impossibile, ma ogni tanto si è fortunati.
Joanna ci ha raccontato che il suo personaggio è stato cambiato una volta scritturata lei. Quanto hanno influito gli interpreti sui personaggi?
Jack Thorne: Sono contrario al concetto di showrunner, all'idea di un unico autore che tiene le redini del racconto, che è troppo problematica per la direzione che la televisione ha preso. Mi piace l'idea di una creatività condivisa, mi piace avere tante penne all'opera. Il personaggio di Maja aveva molta personalità, ma voi avete incontrato Joanna, è una che va a un milione di chilometri all'ora e quando prendi una così devi trovare il modo di sfruttarlo. E lo stesso vale per altri: Jude non era previsto che fosse cubano, ma anche Andre e Amandla hanno contribuito alla storia con il loro modo di provocare e forzare il processo creativo. Hanno sollevato domande riguardo l'idea di identità che ci ha portati ad assumere un altro sceneggiatore perché mi sono reso contro che non ero in grado di rispondere ad alcune di quelle domande e mi serviva un'altra voce che sapesse farlo.
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Il mondo di oggi e il futuro di The Eddy
Il fatto che il jazz assorba elementi di diverse culture è qualcosa che continua a succedere oggi?
Glen Ballard: Assolutamente. Penso che sia il jazz tradizionale che tiene alla larga il pubblico giovane, ma non è così oggi. Abbiamo lavorato con un artista chiamato Sopico che non è jazz al 100%, ma ha influenze di questo tipo nella musica che crea e fa capire in che direzione può andare il jazz. Non bisogna guardarsi indietro, ma andare avanti. C'è il jazz cubano che ha una sua identità e qui abbiamo un bassista cubano, ma c'è anche il jazz nord africano ad avere dei suoi elementi caratteristici che qui abbiamo evocato in qualche modo. Si tratta di un jazz che sta evolvendo in qualcosa che non sia solo quello di New Orleans. Non è più soltanto americano, grazie a Dio, ma è di tutto il mondo. Riguarda la libertà che puoi trovare come musicista se sei in grado di suonarlo.
E quanto è probabile una seconda stagione?
Alan Poul: Ci piacerebbe che succedesse. Sappiamo che la serie è originale, che presenta dei rischi, e che Netflix non prende questo tipo di decisioni prima di quattro settimane dall'arrivo in catalogo, perché ha bisogno dei dati su cui basarle. Ma abbiamo già iniziato a parlarne e fare progetti e abbiamo speranza e abbiamo lasciato la stagione in modo che possa esserci altro da esplorare riguardo questi personaggi.