L'aspetto che più ci ha colpito e che in questa recensione di The Cave, il nuovo documentario di Feras Fayyad nominato nella cinquina degli Oscar 2020, sottolineiamo subito è l'assenza di filtri imposti dal film. Nel raccontare la vita quotidiana in un ospedale sotterraneo della città di Ghouta, assistiamo a uno spettacolo respingente e allo stesso tempo molto emotivo: il caos della guerra portatrice di morte e il desiderio di mantenere viva la fiamma della vita.
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Vivere e guarire sottoterra
Non c'è una vera e propria trama in The Cave, ma il racconto di una situazione. A causa della guerra in Siria, la cittadina di Ghouta, nella periferia di Damasco, è costantemente bombardata da attacchi aerei che causano distruzione e morte. Per far fronte all'emergenza e curare i feriti, alcuni dottori - tra cui la dottoressa responsabile Amani Ballour - hanno deciso di spostarsi nei sotterranei dell'ospedale per poter lavorare in condizioni (paradossalmente) migliori. Il documentario segue la vita quotidiana della dottoressa Amani alternando il racconto delle problematiche quotidiane, come la carenza di cibo e medicinali, a momenti più rilassati in cui si cerca di trovare una parvenza di normalità. Nei rari momenti in cui le riprese si spostano in superficie il panorama è desolante e tragico: gli edifici che rappresenterebbero l'esistenza umana e la normalità lasciano posto a detriti e macerie lungo le strade sabbiose, polverose e spettrali. Ecco che il luogo di The Cave, stando sottoterra, sembra essere il seme di un germoglio che potrebbe sbocciare e ridare la vita, se solo la guerra finisse.
Una visione cruda e senza filtri
Raccontando il lavoro dei dottori all'interno di un ospedale di fortuna in una città costantemente bombardata, The Cave non si risparmia nel mostrare corpi sanguinanti e operazioni chirurgie, ovviamente senza mai scadere nella gratuità. Questo potrà allontanare e rendere la visione un po' più ostica del previsto allo spettatore più sensibile che forse sentirà il peso della durata, ma la forza del film sta proprio nel non nascondere gli eventi ed edulcorare i fatti. Trovandoci di fronte alla realtà senza filtri, alle urla di dolore e all'atrocità della guerra, non si può fare a meno di notare l'enorme forza e il coraggio dei dottori. Non tutto il film assume un tono tragico: sono presenti molti momenti di distensione, leggeri, che rilassano la visione (come il chirurgo che prova a far ascoltare la musica classica a un'infermiera) e fanno tirare il fiato. Scelta quanto mai azzeccata perché non si perde mai di vista il lato umano del racconto.
Altre tematiche, altri stili
Il merito di The Cave, però, è anche quello di trattare tematiche che esulano dal contesto bellico. Seguendo come figura centrale la dottoressa Amani, Fayyad riesce a catturare anche uno scontro tra il sentimento di emancipazione femminile e i rigidi dogmi della società del posto. Sono tra i momenti migliori del film perché si percepisce come il desiderio di Amani di essere riconosciuta come un essere umano professionale e non come una semplice donna sia sincero. Meno fortunati i brevi momenti di raccordo nel racconto che sembrano meno istintivi e più "fiction", con riprese aeree, voice over e un certo virtuosismo di regia che stona leggermente con lo stile e il tono scelto per il resto dell'opera. Sono quei momenti che rischiano di scivolare un po' troppo nella retorica interrompendo il patto di sincerità del documentario che si propone di narrare il tutto in maniera trasparente.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di The Cave con un invito sincero. In uno dei momenti finali viene pronunciata una frase che, nonostante possa sembrare di scarsa importanza, merita di essere citata: “Nessuno può immaginare quello che abbiamo visto”. Invece esiste un film che ci permette di non immaginare, di vedere la dura e cruda realtà di una guerra che tendiamo a dimenticare o sottovalutare. Il cinema di The Cave ha il pregio di essere violento, duro, di non essere accomodante e, di conseguenza, di farci cambiare prospettiva, di metterci al corrente di realtà che non conosciamo, stimolando riflessioni che altrimenti rimarrebbero sepolte sottoterra.
Perché ci piace
- La storia della dottoressa Amani è una storia potente di coraggio e speranza.
- Alla fine della visione lo spettatore è consapevole di altre realtà.
- Non è accomodante e racconta la guerra senza filtri.
Cosa non va
- A uno spettatore più sensibile potrebbe risultare di difficile visione.
- Qualche sequenza più “sceneggiata” spezza un po’ il patto di trasparenza.