The Boogeyman, la recensione del nuovo film horror tratto da Stephen King

La recensione di The Boogeyman, horror jump scare dai marcati tratti psicologici che spreca la potenzialità di genere del concept kingiano sconfinando in un "more of the same" di tanti altri titoli cinematografici.

The Boogeyman, la recensione del nuovo film horror tratto da Stephen King

C'è un po' di Stephen King ovunque, anche nei film in cui non sembra esserci. Normale, considerando le sue opere seminali per il genere, eppure questo nuovo The Boogeyman di Rob Savage è in effetti tratto da un suo "minore" racconto breve, il che è davvero paradossale. In italiano è possibile leggerlo nell'antologia A volte ritornano insieme ad altre 19 storie più o meno cult e famose (pensiamo ad esempio Jerusalem's Lot), ma di fatto non è né mai stata tra queste ultime nonostante un certo oscuro e accattivante fascino di fondo. Si intitola Il Baubau, perché nel 1981 appellarlo con l'inglesissimo e originale The Boogeyman non era ancora possibile, ma il senso è più che mai chiaro.

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The Boogeyman: una scena del film

Per come è stato letteralmente concepito, il racconto funziona in maniera discreta e sa avvincere e incuriosire il lettore, soprattutto per quella innata capacità di King di creare personaggi con cui empatizzare e atmosfere terrorizzanti pure nella loro semplicità. In questo senso il Re dell'orrore è ben riconoscibile nella storia, meno nell'adattamento cinematografico scompare quasi totalmente, più ispirata che trasposta, rinunciando alla firma del maestro per produrre un horror jump scare immediato e senza troppi guizzi.

I ripostigli americani

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The Boogeyman: una scena del film

Qualcuno le chiama cabine armadio, altri stanze guardaroba, ma in verità sono dei veri e propri ripostigli adibiti a molteplici funzioni. Nelle periferie americane, dalla working all'upper class, è quasi impossibile non imbattersi in questi ripostigli, ricavati in molte stanze della casa, soprattutto nelle camere da letto o negli studi. Possiamo quasi definirla una peculiarità tutta americana, abituati come siamo a vederli nel cinema made in USA, ma è in realtà dalla letteratura di genere degli anni '70 che questi "sgabuzzini" hanno cominciato a terrorizzare grandi e piccini. Tutto nasce dal buio e torna al buio, paura atavica e umana, ma quello semi-scoperto dei ripostigli in cameretta, con le porte socchiuse e ad altezza bambino, è molto più spaventoso del buio sotto il letto, che resta più nascosto, a un livello inferiore.

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The Boogeyman: una scena del film

È in quell'oscurità che si annida l'Uomo Nero o Boogeyman, termine anglofono che deriva da Bogman, riferito a tutti quegli uomini cacciati dalle loro comunità, non reclamati da nessuno e costretti e rifugiarsi in zone torbide e paludose, riviste poi in tetre e spettrali. Così i ripostigli sono diventati nel corso dei secoli e soprattutto grazie alla letteratura e al cinema quelle "bogs" inglesi, oscure e misteriose, da sfruttare in chiave urbana e artistica per impaurire i piccoli che la sera non vogliono dormire. Nel film di Rob Savage, quando un uomo di nome Lester Billings (David Dastmalchian) si reca nello studio casalingo dello psicoterapeuta Will Harper (Chris Messina), il paziente comincia a raccontare la storia di come un'entità "a cui inizialmente lui e sua moglie non credevano" ha ucciso tutti e tre i suoi figli, uscendo dalle loro cabine armadio e divorando nella notte la loro energia vitale.

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The Boogeyman: una scena del film

Spaventato dalla stabilità mentale dell'uomo e dalla paura che possa far del male a lui e alla sue due figlie, Sadie (Sophie Thatcher) e Sawyer (Vivien Lyra Blair), Will chiama la polizia, ma nel mentre Lester viene trovato da Sadie impiccato in uno dei ripostigli della casa, inficiando non poco sulla sua già precaria saluta psicofisica già messa a dura prova dalla morte improvvisa della madre. La situazione comincia a farsi preoccupante quando la piccola Sawyer giura che nel suo ripostiglio si nasconda un mostro spaventoso, incontrando la perplessità del padre e della sorella, finché quest'ultima non decide di indagare sulla questione, ritrovandosi immersa suo malgrado in un terrificante incubo ad occhi aperti.

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Paura senza stupore

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The Boogeyman: una scena del film

La scrittura di Scott Back e Bryan Woods (A Quiet Place) prende il racconto di King e lo estende, portandolo in un territorio differente. Le sfumature psicologiche permangono nell'analogia del dolore della perdita, capace d'infestare l'anima di chi lo affronta come un fantasma affamato di vita infesta una casa. È però tutto chiaro ed esplicito e The Boogeyman non si muove mai al di fuori di questo pattern, con l'ambizione di un elevetad horror ma le capacità di uno jump scare di caratura mainstream. C'è da dire che l'interpretazione della giovane Thatcher, già apprezzata in Yellowjackets, e della Blair riescono a sintetizzare alla perfezione le mire concettuali più intimiste e drammatiche del progetto, che però sembra snaturato rispetto alla storia brave del Re, fisiologicamente più dilatato e pensato per abbracciare un pubblico che vuole essere spaventato ma non sorpreso.

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The Boogeyman: una scena del film

Per questo spreca un concept originale terapeuta-paziente andando oltre lo studio e il dialogo al suo interno, cercando uno sviluppo in grado di muoversi tra un hunted house movie e un creature-feature, guardando un po' a Intruders di Juan Carlos Fresnadillo, al ben più strutturato Babadook di Jennifer Kent e un po' all'opera di James Wan, soprattutto nell'impostazione degli spazi e nella gestione del buio, vero e grande protagonista del titolo. A volte ci riesce e crea sequenze ragionate e d'impatto come quella d'apertura, altre è fin troppo prevedibile e prova a generare tensione con soluzione che si rivelano ripetitive e già viste.

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The Boogeyman: una scena del film

La regia di Rob Savage è anche meno brillante rispetto all'ottimo Dashcam (che vi consigliamo di recuperare), ma si nota la sua maestria nel concentrare l'attenzione sull'oscurità e ciò che nasconde, pure se la scrittura non riesce a mantenere saldo il gioco del credo/non credo relativo all'esistenza della creatura. Quest'ultima ha persino un design interessante che prende spunto dal folklore anglosassone e italiano, strizzando comunque l'occhio a qualche sfumatura weird horror. Alla fine intrattiene e fa il suo dovere a sufficienza, ma fosse rimasto più ancorato al concept kingiano a quest'ora avremmo avuto un film molto differente, sicuramente più piccolo ma gestito con più stile e teatralità.

Conclusioni

The Boogeyman si dimostra un horror estivo che guarda oltre l'adattamento del racconto di King per concentrarsi su un film d'estrazione jump scare con chiare intenzioni di approfondimento psicologico. In conclusione, pur gestendo bene spazi e utilizzo del buio, la trasposizione di Rob Savage non riesce a stupire lo spettatore, spaventandolo come un "more of the same" di Intruders o The Babadook ma con meno autorialità e un'ambizione eccessiva rispetto alle finalità effettive del progetto.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
3.1/5

Perché ci piace

  • Le interpretazioni di Dastmalchian e della Thatcher.
  • Ottima la gestione dell'oscurità e della luce in chiave registica.
  • Sequenza d'apertura d'impatto.

Cosa non va

  • La scrittura che vuole essere da "elevated horror" ma non va oltre una semplice analogia.
  • Un concept originale sprecato a favore di un semplice jump scare movie.
  • Spaventa il giusto senza mai sorprendere.