The Blair Witch Project: quando l’orrore è invisibile agli occhi

25 anni fa l'esordio al cinema di The Blair Witch Project, opera seminale che avrebbe rilanciato il filone del found footage e proposto una nuova formula rispetto ai canoni dell'horror.

The Blair Witch Project: un'immagine del film

Praticamente portava nello scantinato i bambini a due a due e li metteva uno faccia al muro in un angolo... e intanto uccideva quell'altro; poi dopo prendeva quello nell'angolo e uccideva anche lui. In tribunale disse che non sopportava lo sguardo dei bambini, se lo sentiva addosso: per questo li metteva faccia al muro.

Nell'estate del 1999, in cima alla classifica dei film più visti negli Stati Uniti figurano due pellicole horror, entrambe destinate ad esercitare un notevole impatto sul proprio genere di appartenenza. Il sesto senso, terzo lungometraggio di M. Night Shyamalan, rinnova il filone delle ghost story facendo leva su un'efficacissima struttura narrativa, ma soprattutto su un twist conclusivo che entrerà negli annali; ma ancora più sorprendente e incisivo sarà il successo planetario di The Blair Witch Project, produzione a basso costo scritta, diretta e montata a quattro mani da una coppia di registi esordienti, Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez, e avviata a diventare l'ultimo, grande fenomeno virale di fine millennio, nonché un caso di marketing letteralmente da manuale. Presentata come "proiezione di mezzanotte" il precedente 23 gennaio al Sundance Film Festival, l'opera prima di Myrick e Sánchez viene acquistata dalla Artisan Entertainment e il 14 luglio 1999 fa il suo debutto negli Stati Uniti.

Blair Witch Directors
I registi Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez

Da lì in poi, la vicenda promozionale e distributiva di The Blair Witch Project avrebbe fatto la storia: dall'utilizzo di internet come pionieristico strumento pubblicitario all'aura di 'realtà' intessuta attorno agli eventi fittizi del film, compresa la messa in onda del mockumentary Curse of the Blair Witch due giorni prima dell'arrivo nelle sale. Il film di Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez si rivelerà dunque un fenomeno di proporzioni sempre più vaste, raggiungendo un incasso globale di duecentocinquanta milioni di dollari, corrispondenti a un totale di circa cinquanta milioni di spettatori. La popolarità della tecnica del found footage, rilanciata proprio da The Blair Witch Project, sarà all'origine di un filone che, per oltre un decennio, conoscerà un'ampia fortuna, in particolare grazie a titoli quali Paranormal Activity di Oran Peli e Cloverfield di Matt Reeves, senza dimenticare dalla Spagna REC di Jaume Balagueró e Paco Plaza.

The season of the witch

Joshua Leonard Blair Witch Project
The Blair Witch Project: un'immagine di Joshua Leonard

The Blair Witch Project è costituito infatti per intero dalle riprese pseudo-amatoriali di tre aspiranti cineasti, i cui nomi - Heather, Mike e Josh - riprendono quelli dei rispettivi interpreti (Heather Donahue, Michael C. Williams e Joshua Leonard). Dagli spezzoni delle interviste girate dai tre ragazzi a Burkittsville, una piccola comunità del Maryland, riguardo la leggenda della strega di Blair, alla loro esplorazione del bosco su cui sembra gravare questa antica maledizione, il film intreccia lo spunto del mockumentary con una narrazione in soggettiva, in cui la focalizzazione corrisponde in tutto e per tutto a quella delle telecamere dei giovani registi. E appunto in tal senso, Myrick e Sánchez scelgono di imperniare l'operazione su un sostanziale paradosso: il found footage, tecnica incentrata sull'idea di un racconto "senza filtri", qui non ci dà alcun accesso diretto all'oggetto dell'indagine dei tre protagonisti. Al contrario, l'orrore rimane permanentemente nascosto, o meglio invisibile agli occhi.

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The Blair Witch Project: un'immagine del film

È l'altra, grande scommessa di The Blair Witch Project: alle soglie del Duemila, in un'epoca in cui sembra essere stato ormai sdoganato ogni tabù in merito al cinema horror e in cui gli elementi splatter sconfinano a tal punto nel parossismo da trasformarsi in materiale da parodia (sono trascorsi appena due anni e mezzo dall'uscita di Scream di Wes Craven), Myrick e Sánchez adottano un approccio diametralmente opposto, in controtendenza con ritmi e convenzioni a cui è abituato il pubblico coevo. Nell'arco di neppure ottanta minuti di durata, The Blair Witch Project è un film in cui trascorre almeno mezz'ora prima che l'inquietudine cominci a prendere corpo, e tale inquietudine viene costruita in maniera molto lenta e graduale: rumori indistinti nel cuore della notte, attribuiti forse al passaggio di un cervo, e uno schermo quasi totalmente nero. L'angoscia dei personaggi non è legata ad avvenimenti clamorosi, ma a piccole stranezze che si accumulano a poco a poco, alimentando il loro nervosismo in parallelo a quello degli spettatori.

Il caso The Blair Witch Project: il grande bluff che ha fatto storia

Il mistero fuori campo e l'orrore dell'ignoto

The Blair Witch Project
Heather Donahue, tra i protagonisti del film

Ma dov'è realmente l'orrore? Nella quarta notte trascorsa nella foresta di Blair, poco oltre la metà del film, la tenda dei protagonisti viene scossa all'improvviso, inducendo Heather, Mike e Josh a uscire e correre fra gli alberi; ancora una volta non vediamo nulla, se non le sagome dei ragazzi a malapena distinguibili nel buio della ripresa. È uno dei tratti distintivi di The Blair Witch Project: il nostro sguardo viene costantemente offuscato, se non addirittura oscurato; le immagini risultano sgranate, spesso fuori fuoco, pressoché insignificanti. Se l'obiettivo del falso documentario era quello di snidare la mostruosità, il film fa leva sul fatto che non c'è niente da mostrare: l'attesa della strega è puntualmente frustrata e rimandata, e soltanto dopo un'ora, con il ritrovamento di un atroce 'pacchetto' avvolto in un fascio di ramoscelli, si avrà la certezza di una forza ostile che agisce all'interno del bosco. È l'inizio del crescendo di tensione che scandisce gli ultimi, fatidici quindici minuti, con l'arrivo alla casa abbandonata di Rustin Parr, il serial killer che nel 1941 aveva massacrato sette bambini.

The Blair Witch Project Ending
The Blair Witch Project: un fotogramma della scena finale

L'ingresso di Heather e Mike nella dimora, stadio conclusivo della loro ricerca, segna la climax di un film la cui autentica capacità di coinvolgimento risiede nella scelta di non far vedere quasi nulla. Se i protagonisti si proponevano di catturare il mistero mediante la telecamera, è l'immaginazione il vero mostro di The Blair Witch Project: per ottanta minuti siamo costretti a "riempire i vuoti", a interrogarci su ciò che si annida nel fuori campo, oppure al di là delle tenebre. Fino a quell'ultima inquadratura della sagoma di Mike in piedi, di spalle, in un angolo della cantina: di per sé non avrebbe nulla di spaventoso, se non fosse per la testimonianza del modo in cui Rustin Parr aveva ucciso le sue vittime, a due a due, costringendo la seconda a fissare il muro. Ancora una volta, siamo noi ad attribuire un significato mostruoso all'immagine, pur senza avere tutte le risposte (anzi, quasi nessuna): quale epilogo più coerente per un flm che, da venticinque anni, ci ricorda come l'orrore supremo risieda proprio nell'ignoto?