È Thomas Cailley, ma sembra piuttosto Stephen King. Un complimento. Certo che sì. Perché Le règne animal potrebbe essere uno dei titoli più sorprendenti di questo strampalato mondo postmoderno. Del resto, se tutto è stato detto e tutto è stato fatto, bisogna prendere in considerazione le digressioni, le nomenclature e gli svarioni, che girano attorno ai concetti cardine di una società in crisi: eredità, identità, inquietudini, emarginazione. Quattro spunti, per una riflessione cinematografica che non rinuncia alle ipotesi fantasiose, e quindi tirando dentro un pubblico potenzialmente ampio. È un film di sorprese, quello di Thomas Cailley, ma anche di trasformazioni, di pulsioni, di istinti selvaggi, di immagini esplosive e dirompenti.
The Animal Kingdom, titolo francese Le règne animal, nella sua struttura di storia padre-e-figlio, sfrutta l'elemento weird per traslare nella sceneggiatura il più classico percorso del coming-of-age, tradotto però in un cinema che rischia, o che almeno prova a prendersi (finalmente) una responsabilità: se il postmodernismo è la rivisitazione di ogni archetipo narrativo, allora Cailley afferra gli stilemi e si cimenta in una revisione impossibile eppure lampante, nonché vicina nelle sue dinamiche da romanzo soft-horror. Come? Partendo dalla cornice: un mondo in cui gli uomini iniziano a trasformarsi in animali.
The Animal Kingdom e le metamorfosi umane
Sì, ecco che nella sceneggiatura di Cailley, scritta precedentemente al Covid (lo specifichiamo, dato che il film parla di contagi e malattie), si mischiano infatti le sfumature care a Stephen King: la famiglia, la maturazione, la diversità come valore e mai come vergogna. A fare il resto, come detto, il mostruoso e preponderante contesto: una misteriosa malattia sta sbloccando la genetica delle persone, trasformandole in creature ibride. Le mutazioni sono lente, e imprevedibili: qualcuno si trasforma in un uccello oppure in un polipo, altri ancora in camaleonti, serpenti, orsi e via discorrendo con la fauna terrestre e marina.
La popolazione sembra non preoccuparsi più di tanto, e anzi pare averci fatto quasi l'abitudine pur dandogli inesorabilmente la caccia, mentre le autorità catturano i mutanti (chiamati critters) per studiarli. Sì, esatto: una sorta di epidemia zombie, declinata però sotto forma animale. Questo, però, nell'economia cinematografia di Cailley è un pretesto, e il film si accende quando François (Romain Duris), insieme al sedicenne Émile (Paul Kircher), decide di mettersi sulle tracce di sua moglie, mutata e scappata da un'ambulanza. La cercano trasferendosi vicino ad un fitto bosco, o meglio quello che pare essere il rifugio (o il ghetto?) dei mutanti. Ad aiutarli una poliziotta (Adèle Exarchopoulos, che vediamo poco) Almeno fino a quando anche Émile non verrà contagiato, iniziando l'inesorabile trasformazione. In cosa? Vi lasciamo un indizio: è un animale con gli artigli.
La deriva moderna inghiottita dalle paure
Il tema, o almeno la sintassi narrativa, illumina la diversità, e la diversità che viene intesa come diretta minaccia. Del resto, la domanda è una sola: i mutanti, pur perdendo ogni freno conscio, sono davvero pericolosi? Appunto. Da qui, e oltre il romanzo di formazione, su cui Cailley sembra più volte insistere, portando in parallelo l'adolescenza e relativo cambiamento (anche) fisiologico del corpo (oltre che le eredità ingombranti dei propri genitori), Le règne animal - che ha aperto la Un Certain Regard di Cannes 2023 - si sofferma su quanto l'ignoto sia potenzialmente la cosa più spaventosa che subiscono gli uomini. Si teme ciò che non si conosce, e ciò che non si conosce viene tenuto a distanza, bollato come una minaccia da estirpare.
Per questo, e tuttavia considerando la durata eccessiva e il finale sfilacciato (che sembra davvero uscito da un libro di King), il film di Cailley (è la sua opera seconda, dopo Les combattants), gioca con la singolare atmosfera (indirettamente creata dalle nuvole di cenere scaturite dagli incendi che hanno bloccato le riprese, rendendo così l'idea della più tipica favola dark) e con l'approccio volutamente weirdo, sfruttando poi diverse sferzate umoristiche che, per linguaggio, assomigliano alla scrittura classica delle graphic novel. Un insieme di trovate, e l'occhio attento di un regista talentuoso, per quello che diventerà un alternativo sguardo sul nostro mondo, e sulla deriva moderna sempre più individualista, che non prevede nessun tipo di comprensione per ciò che viene (a torto) reputato pericoloso.
Conclusioni
Atmosfere thriller, sfumature weird, svolte (quasi) orrorifiche: come detto nella nostra recensione, The Animal Kingdom di Thomas Cailley, sembra uscito direttamente da un romanzo di Stephen King. Del resto, i temi sono quelli: la crescita, il rapporto con l'eredità famigliare, il concetto di paura che ruota attorno ad una mutazione scientificamente inspiegabile. Sorprende e funziona.
Perché ci piace
- Romain Duris, che grande attore!
- Lo sguardo alternativo.
- L'atmosfera in stile Stephen King.
Cosa non va
- La durata.
- Avremmo voluto vedere di più Adèle Exarchopoulos.