Recensione Witness: Libya (2012)

Il primo di quattro film TV prodotti dalla HBO, l'opera di Abdallah Omeish documenta il ritorno in Libia del fotografo Michael Christopher Brown dopo un anno dalla morte di Gheddafi e poco tempo dopo l'attacco a Misurata.

Testimoni a rischio

Primo capitolo di una serie di quattro film televisivi che debutterà sulla HBO il prossimo novembre, Witness: Libya, evento speciale fuori concorso della 69° Mostra del Cinema di Venezia, documenta il coraggioso e significativo lavoro dei fotografi di guerra in alcune delle zone più pericolose del pianeta. Si parte appunto con la Libia - ma seguiranno Messico, Brasile e Sudan - con il ritorno nella zona di guerra da parte del fotografo Michael Christopher Brown a meno di un anno dall'uccisione di Gheddafi e a pochi mesi dal grave attacco subito il 20 aprile 2011 a Misurata.

Un attacco in cui Brown stesso rimase seriamente ferito e che fece enorme scalpore a livello internazionale a causa dell'uccisione di due due colleghi, l'americano Chris Hondros e il britannico Tim Hetherington, che solo poche settimane prima era stato nominato al premio Oscar per il bel documentario Restrepo. Brown ricorda con commozione i colleghi defunti e con shock i tragici avvenimenti di quel giorno, ma è lucidissimo nell'illustrare il cambiamento di un paese che pur avendo eliminato un tiranno è ancora molto lontano da potersi definire libero. Un paese che è passato dall'essere spaccato in due fazioni, ribelli e supporter del Rais, al vivere una situazione politica e sociale ben più complessa e sfaccettata ma non per questo meno pericolosa.

Prodotto da David Frankham e Michael Mann (qui alla seconda collaborazione con la rete via cavo dopo la sfortunata serie Luck), diretto dal documentarista libico Abdallah Omeish, il film sceglie di mostrare questo ritorno alternando le immagini scattate direttamente da Brown a quelle catturate con la macchina da presa, adottando però lo stesso stile dei fotografi, ovvero mescolandoli alla folla, spingendoli nel pieno dell'azione, rischiando quindi prima persona; non un documentario quindi fatto di interviste o dichiazioni, ma un vero e proprio viaggio all'interno della zona di guerra, nelle stesse condizioni di coloro che questo conflitto lo documentano ogni giorno.

Si tratta di una scelta vincente in primis perché permette così allo spettatore di capire davvero quanto sia rischioso, ma anche eccitante, il lavoro di questi coraggiosi fotografi; al tempo stesso è uno stile che, coadiuvato da un superbo lavoro di montaggio che non può non far pensare allo zampino del celebre produttore del film, trasforma un semplice documentario in un vero e proprio film di guerra, ricco di azione e pathos. E anche commozione nel ricordare coloro che hanno pagato con la vita la scelta di testimoniare gli orrori della guerra.

Movieplayer.it

3.0/5