"Forse questa è la volta buona". Lo dice incrociando tutte le dita delle mani e forse anche quelle dei piedi Terry Gilliam: "Sono molto nervoso e superstizioso, sto lavorando al progetto di Don Quixote da oltre vent'anni e per me è molto pericoloso anche solo parlarne, ma questa volta forse chissà...". Si é aperta col botto domenica sera l'undicesima edizione del Lucca Film Festival, che da quest'anno si unisce al Festival Europa Cinema di Viareggio, con la consegna del Premio alla Carriera al grande autore statunitense naturalizzato britannico.
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"E' un grande onore essere qui, sono passati più di trent'anni da quando venni la prima volta per Lucca Comics, quando ancora non si chiamava così, e tornare in questa città è come ritrovare un vecchio amico". E la città di Lucca quest'anno ha deciso di ricambiare l'affetto e omaggerà il maestro, oltre che con il premio alla carriera, con la realizzazione del Terry Gilliam's Movie Circus, il main event della serata di Lucca Effetto Cinema Notte del 21 Marzo, dove la Piazza Anfiteatro si trasformerà in una gigantesca installazione dedicata al cinema del visionario regista che farà rivivere e volare a cielo aperto la sua immaginazione. "Mi piace pensare che Lucca in un'ideale cosmogonia rappresenti una sorta di paradiso tra cielo e terra: al centro è una città molto antica e spera che questa mura che l'hanno protetta per tanto tempo possano continuare a farlo".
Il regista del teorema zero
Accolto sul palco del cinema Moderno dal direttore del Festival Nicola Borrelli, Gilliam ha ritirato il premio alla carriera accompagnato dal suo storico direttore della fotografia Nicola Pecorini. "Dopo diciassette anni di collaborazione siamo diventati come Don Chisciotte e Sancho Panza", dice Gilliam. "Io amo le sfide e cose difficili, e Nicola è un tipo imprevedibile e pericoloso e a me piace il pericolo". Insieme hanno introdotto la proiezione di The Zero Theorem, suo ultimo film presentato in concorso a Venezia nel 2013, idealmente la conclusione della trilogia distopica iniziata con Brazil nel 1985 e proseguita dieci anni dopo con L'esercito delle dodici scimmie. E The Zero Theorem è sicuramente Gilliam allo stato puro e racchiude praticamente tutti i connotati che caratterizzano il suo cinema: fantasia visiva che tracima fuori dallo schermo, eclettismo figurativo che mescola antico e moderno, ultracitazionista e zeppo di riferimenti tra riflessioni filosofiche e cultura pop, sublime, raffinato, materico, barocco e kitsch allo stesso tempo. E chi più ne ha più ne metta. "Quando ho letto questa sceneggiatura - dice il regista - era chiaro che chi l'aveva scritta conosceva alla perfezione me e il mio mondo. Il cast è la chiave, penso che sia il miglior ruolo mai interpretato da Christoph Waltz".
Un film che ha tutte le caratteristiche per diventare il Brazil del nuovo millennio: "In effetti era da un paio d'anni che io e Tom Stoppard (lo sceneggiatore di Brazil, ndr) stavamo parlando di come rendere contemporaneo Brazil. Un'altra cosa che accomuna i due film è anche per The Zero Theorem ho visto molta gente andarsene a metà proiezione, come succedeva con Brazil, che poi con gli anni è diventato un classico e un cult. Vediamo se succede la stessa cosa, vediamo quanta gente se ne va stasera!". Perché Gilliam è questo, prendere o lasciare, e soprattutto niente compromessi. Leggendario come il suo carattere, istrionico, folle e problematico come le imprese in cui si getta in nome della sua idea di cinema. "Ma no - dice Pecorini - questa del punk problematico è una pura favola. Terry non è così, non si impunta, non è capriccioso, non é un accentratore. Anzi è uno che ama la collaborazione: forse é anche pigrizia, se trova qualcuno capace lo lascia fare e si riposa".
Il teatro nel suo cinema
Ritroviamo i due il giorno dopo nella splendida cornice del Teatro del Giglio, per una lezione di cinema, in compagnia anche del critico Francesco Alò autore dell'unica monografia italiana dei Monty Python, lo storico gruppo comico autore della mitica serie Monty Python's Flying Circus col quale Terry Gilliam si è ritrovato su un palco di Londra la scorsa estate dopo oltre trent'anni per il nuovo spettacolo Monty Python Live (mostly). Una reunion dal successo talmente clamoroso da far pensare magari a un ritorno tutti insieme anche sullo schermo. "Per carità, siamo troppo vecchi - dice Gilliam - largo ai giovani. Se ci provano a propormelo dovrò far finta che sto per morire".
Nel pieno centro di Lucca, con le sue origini borboniche seicentesche, quello del Giglio é uno dei teatri più antichi d'Italia: un teatro prestigioso per un regista che il teatro lo ama e lo ha messo in tanti suoi film. Palchi, sipari, scenografie materiche sempre fatte squisitamente alla vecchia maniera, basti pensare a Le avventure del barone di Munchausen o a Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo. "Non è vero - precisa Gilliam - in realtà io non amo il teatro, amo il cinema. Ma nei miei film scelgo di metterci il teatro per sottolinearne la matrice di finzione e il senso di messa in scena, per ricordare che si tratta di artificio e non si pensi che è reale".
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La storia e la lezione di chi non ha mai preso lezioni
Una lezione di cinema che è più un modo di raccontare e condividere con un pubblico adorante ed entusiasta le storie, gli aneddoti e le sfaccettature di un personaggio senza compromessi che di lezioni invece non è mai stato incline a prenderne da nessuno. "Non sono andato a scuola di cinema, l'ho imparato guardando i film. Mai stato all'accademia, la lezione che ho imparato alla fine è che per fare film ci vogliono soldi, finanziamenti per trasformare i propri sogni in realtà. Adesso è facile fare film con il proprio iPhone: è fantastico per provare, per imparare, ma io parlo di grandi film, il cinema è un'altra cosa". Gilliam racconta la sua storia, di come ha iniziato: "Volevo essere un regista ma non sapevo come fare, mi sono trasferito vicino a Hollywood ma non la amavo, quindi sono andato a New York dove ho fatto un po' di soldi con i cartoon. Volevo da subito avere il controllo su quello che creavo e con i cartoon potevo". Poi l'incontro con John Cleese, subito all'insegna della follia, con i due che realizzano un fotoromanzo surrealista che è la storia di un tizio che si innamora della Barbie della figlia... se il buongiorno si vede dal mattino.
"Sono un visionario, che volete che vi dica", commenta Gilliam ridendo di gusto. "In questo fotoromanzo John si innamora della bambola della figlia: anche ora dopo quattro mogli (tutte bionde come barbie) è ancora confuso, ma felice come il suo personaggio. Due anni dopo quando mi sono trasferito in Inghilterra correndo dietro ad una ragazza, Cleese aveva iniziato con i Monthy Python e io mi sono unito a loro: John lavorava già in televisione e io ero ancora un cartoonist, lui mi presentò un produttore che era anch'egli fumettista e mi diede un lavoro come animatore per programmi TV. La pazienza è molto importante se volete fare questa carriera. Non è che sono piombato a Londra ho avuto subito un lavoro. Ho impiegato molto tempo per arrivarci.
Final cut sempre e comunque
Pazienza, costanza, fede incrollabile nei suoi progetti e nelle sue idee, a costo di andare contro tutto e tutti e di imbarcarsi in percorsi produttivi spesso a dir poco travagliati, con il destino che a volte ci si è messo di suo e si è accanito quasi a volerlo sfidare a rilanciare nella sua ostinazione. Il controllo e la totale libertà creativa, il final cut come condizione sine qua non ("A volte ce l'ho nel contratto, ma anche quando non c'è come succede sempre ad Hollywood, conosco molti modi per averlo"), contro le volontà dei produttori e infischiandosene del sistema e del mercato. Nicola Pecorini ricorda ad esempio le battaglie sul set de I fratelli Grimm e l'incantevole strega: "Mi ricordo quanto Terry era spompato dopo aver passato la notte a litigare con i Weinstein via Skype. Cose che ti smontano e ti tolgono l'energia. I Weinstein erano entrati in campo solo perché c'era Matt Damon: noi eravamo già partiti e volevamo fare un film di paura, loro arrivarono dopo e volevano un film romantico. Era un testa a testa, si illudevano di poter controllare Terry allontanando un collaboratore stretto come me... come darsi la zappa sui piedi!". Aggiunge Gilliam : "Volevano controllare qualcosa che è incontrollabile come me. Penso ci sia una scelta per un regista: fare il film che vuoi fare, o quello che gli altri vogliono che tu faccia per arrivare al successo... per fare poi quello che avresti voluto sempre fare. Conosco registi che hanno intrapreso la seconda linea, ma a volte questo non funziona, perché ottieni un successo che poi ti impedisce di realizzare quello volevi fare all'inizio. Si può scegliere di esser un regista di successo o uno che lavorando duro e sodo arriva a realizzare quello che veramente vuole".
Contro i produttori, dalla parte della troupe
Produttori contro dunque, ma mai una troupe contro, per un regista che ha fatto invece della democrazia, della condivisione e dell'improvvisazione la sua filosofia di lavoro: "Il gruppo è importante - dice Gilliam - e tutti devono lavorare insieme. Il film è Dio è nessuno si deve mettere in mezzo, neanche il regista, specialmente quando questo ad un certo punto comincia crearsi da solo. Le cose vengono da se, nascono dal processo, come la canzone dei Radiohead in The Zero Theorem... 'I'm a creep, I'm a weirdo, I don't belong here...' perfetta per il film, ma io non la conoscevo neanche, ma quando l'ho sentita sul set è diventata il tema musicale portante, con il protagonista che si rende conto che ha il controllo sul mondo virtuale perché può far tramontate il sole. Questo intendo quando dico che il film si fa da solo". E aggiunge Pecorini sul lavorare con Gilliam: "Per Terry una buona idea è una buona idea, non importa da chi viene, lui la prende, la fa sua e la sviluppa: in Paura e delirio a Las Vegas vi assicuro che ci sono idee che sono venute anche da quelli del craft service che portavano le bibite. Dote rarissima, in media i registi hanno tutti un ego smisurato: lui lo lascia a casa la mattina e questa è la sua grande fortuna.
Le fonti d'ispirazione
E allora quali sono le fonti di ispirazione che possono condizionare un immaginario talmente vasto e nutrito come quello di Gilliam, capace di creare mondi cosi pregni di riferimenti, tra favole classiche e distopie moderne, dove passato e futuro si fondono insieme in una perenne indagine che mette sempre comunque al centro l'individuo e la sua identità? "Cosa mi ispira? Il sole, le nuvole, i fiori" , dice il regista, "sono ispirato dal mondo: la bellezza mi ispira, anche il fascino che hanno le cose brutte. Belle o brutte, l'importante che non siano mediocri".
Come davanti alle opere di un artista concettuale, c'è davvero sempre e necessariamente bisogno di chiedersi se c'è e quale sia il significato più profondo che si cela dietro le sue visioni? "Il mondo si sposta in direzioni che noi non conosciamo, bisogna seguire la direzione che sta prendendo e accettarlo, non importa capire o dare un significato". Un mondo spesso visto anche attraverso gli occhi di un bambino, come ne I banditi del tempo in Tideland, e non è un caso: "Perché i bambini e i pazzi sono coloro che vedono il mondo liberamente senza le costrizioni della coscienza imposte dai media e dall'età adulta, per cui il loro è il modo più vero e libero di guardarlo. I bambini sono anche più forti di quanto sembrano nei confronti della crudeltà del mondo, se cadono a terra non si rompono ma rimbalzano". E poi libri, romanzi, letteratura e altro cinema: ma sempre e solo a livello di ispirazione, perché tutto quello che entra in contatto con il folle genio di Gilliam diventa un prodotto assolutamente inedito e difficilmente ascrivibile ad un genere preciso. "Anche con La jetée (un cortometraggio di Chris Marker del 1962, ndr) è successa la stessa cosa: l'ho visto quattro anni prima de L'esercito delle dodici scimmie, era una memoria, un ricordo vago, niente più di un'ispirazione. Non trovavo neanche la formula giusta da inserire come incipit - basato su, tratto da, ispirato a - nessuna andava bene per cui non ho messo niente". E a chi gli chiede se Romanticismo e Nichilismo siano le correnti filosofiche che lo hanno maggiormente influenzato risponde: "Non saprei, scelgo volontariamente di non prendere un modello. Non ho una vera e propria formazione filosofica, ma piuttosto un mio modo di vedere il mondo: potrei dire che essendo cresciuto nel midwest degli Stati Uniti ho sviluppato la filosofia del poter essere quello che vuoi se lavori duro. Poi vivere in Europa mi ha dato un'impronta più cattolica ma sempre ottimista: non so bene dire come sono, mi piace imparare, crescere, sono curioso... sicuramente so di essere fucked up!".
L'uomo che ucciderà Don Quixote
Non manca durante l'incontro un ricordo dello scomparso Robin Williams: "Poche persone uniche ho incontrato nella vita e Robin Williams era una di quelle: grande immaginazione, prendeva spunto da tutto quello che lo circondava e lo trasformava in un divertimento straordinario. Una persona magnifica, penso che La leggenda del re pescatore sia il film che racchiuda perfettamente la sua personalità e racconti meglio chi era veramente Robin Williams". Per The Fisher King Gilliam ebbe la nomination come miglior regista ai Golden Globes nonché il Leone d'Argento a Venezia, rari esempi di riconoscimenti di una carriera controcorrente che evidentemente lo ha visto sempre ai margini se non inviso alla grande industria e ai suoi dettami. Prendere o lasciare dicevamo, e noi ce lo prendiamo e ce lo teniamo stretto, con tutta la dote e il retaggio di production difficulties che si porta dietro.
Dalle leggendarie lotte con la casa di produzione per riuscire a concludere Le avventure del Barone di Munchausen, fino alla tragica e drammatica beffa di Parnassus: "La tragedia di Heath Ledger è stata terribile e devo dire grazie alle persone che mi hanno spronato e hanno saputo farmi finire il film, per questo è molto importante circondarsi di persone che sappiano scuoterti e anche mandarti a quel paese se necessario". Della magnifica ossessione di The Man Who Killed Don Quixote e degli inutili sforzi per portarlo a termine è stato detto e scritto di tutto, al punto di diventare oggetto del documentario Lost in La Mancha. "Sono stato fortunato che qualcuno abbia voluto fare un film o un documentario sui problemi di realizzazione che ho avuto, ma anche tanti altri registi li hanno avuti e non hanno avuto modo di raccontarli". Quando qualcuno gli ricorda di come l'anno scorso a Lucca David Lynch parlò di quanto della propria vita avesse sacrificato per dare alla luce Eraserhead - La mente che cancella, Gilliam sorride tra il sarcastico e il divertito, ma si vede che l'argomento va sempre trattato con tutta scaramanzia possibile. "Quanti anni ho già sacrificato per Don Quixote? Oltre venti. Vi sembrano abbastanza?". Ride. Con quella sua risata stridula e contagiosa. "Non mi rimangono molti anni ma spero di finirlo, tra undici o dodici anni massimo...".
E ce la farà. Terry Gilliam alla fine sarà l'uomo che ucciderà Don Quixote. Ne siamo sicuri. Ma incrociamo le dita lo stesso.