E' lui la star del giorno, anzi forse dell'intero festival. Sylvester Stallone non trattiene il suo entusiasmo per questa breve visita romana dichiarandosi felicissimo per la visita di ieri al quartiere di Tor Bella Monaca e schierandosi contro la chiusura di Cinecittà e di tutti i lavoratori del cinema che rischiano il posto di lavoro. Sly è arrivato al Festival di Roma per presentare fuori concorso il suo nuovo film da protagonista Bullet to the Head, un thriller mozzafiato diretto dal maestro californiano Walter Hill, che lo vede nei panni di Jimmy Bobo, un sicario di professione che accetta di allearsi in maniera non proprio ortodossa con un poliziotto di origini coreane per dare la caccia all'assassino che ha ucciso il suo amico e partner 'professionale'. Un film anche un po' italiano per via delle origini di Stallone e della sceneggiatura, liberamente ispirata alla celebre graphic novel francese Du plomb dans la tête dell'autore Matz, scritta dal nostro Alessandro Camon, vincitore dell'Orso d'Argento per Oltre le regole - The Messenger che ha ottenuto anche una candidatura all'Oscar. Prodotto dalla Dark Castle Entertainment di Joel Silver e Robert Zemeckis, Bullet to the Head vede impegnati oltre a Sly anche l'attore di origini coreane Sung Kang e Jason Momoa, lo statuario attore protagonista della serie Il trono di spade e del remake del Conan il barbaro che nel 1982 lanciò la carriera del vecchio rivale cinematografico di Sly Arnold Schwarzenegger.
Co-produttore della saga di Alien, regista di action di culto come 48 ore e I guerrieri della notte ma anche dei western I cavalieri dalle lunghe ombre, Geronimo e Wild Bill, Walter Hill riceverà stasera alle 19:30, prima della proiezione pubblica del film, il Maverick Director Award. Bullet to the Head è stato presentato stamattina alla stampa dal regista insieme all'attore protagonista ed arriverà nelle sale il prossimo aprile grazie alla Buena Vista International.
Sylvester Stallone: Ho provato molta emozione nel chiacchierare con i ragazzi della periferia romana che, come me tanti anni fa, hanno un sogno e vogliono realizzarlo con tutte le loro forze. Anch'io sono cresciuto in un quartiere come quello che ho visitato ieri e capisco perfettamente la loro disperazione. E' stata un'idea fantastica quella del sindaco che ha voluto accompagnarmi a questo incontro e mi piace pensare che la mia carriera possa essere per loro di incoraggiamento.
Cos'ha detto ai ragazzi?
Sylvester Stallone: Li ho messi in guardia sul fatto che nella vita il fallimento sarà sempre dietro l'angolo ma dopo mille fallimenti diventeranno talmente saggi che il successo non potrà non arrivare. Voglio approfittare di questa occasione per dire che qui a Roma avete uno dei luoghi più magici e belli in cui si può 'fare' il cinema, e parlo di Cinecittà, un posto che per chi ama i film è come un museo. Mi auguro che il governo italiano contribuisca a salvaguardare questo luogo storico che ha contribuito a fare la storia del cinema, non solo quello italiano.
Walter Hill: Col mio film non intendo mandare alcun messaggio a Hollywood, quella scritta da Alessandro Camon e suggeritami da Sly mi è sembrata subito una buona storia, quella giusta per riuscire finalmente a lavorare insieme dopo tanti anni. Il mio è più che altro un omaggio ad un certo tipo di film d'azione degli anni '70 e '80 ma al contempo è anche un film moderno, una combinazione difficile da trovare oggi. Bullet to the Head lo abbiamo forgiato tutti e tre insieme strada facendo lavorando fianco a fianco. Il fatto di lavorare con un grande attore che ha anche una grande personalità è stato per me un grosso vantaggio, senza considerare che è la prima volta che dirigo una star che fa anche il regista. Mi piace pensare che i film non dipendano mai dagli effetti speciali ma che rispecchino le personalità dei cineasti che li dirigono.
La sua lunga esperienza a Hollywood cosa le ha insegnato?
Sylvester Stallone: Il periodo subito successivo all'uscita di Rocky fu quello più importante, mi dovevano pagare per il mio ruolo e quando andai a bussare dai produttori mi risposero che dovevo immediatamente tornare a lavorare, che mi avrebbero pagato quando era giunta l'ora di farlo, "non ci importa nulla di te ma solo del tuo lavoro" mi dissero. Imparai in quel momento che il cinema non era solo una passione tutta rose e fiori, il cinema è soprattutto un business. Ho sempre cercato di fare film che avevano come tematica il superamento degli ostacoli e l'essere sinceri con se stessi, forse proprio grazie alle parole di quelle persone oggi sono arrivato qui, è stata una lezione importante quella che ho imparato: nella vita puoi dipendere e fare affidamento solo su te stesso.
Alessandro Camon: La storia a fumetti che ho adattato aveva molti pregi accattivanti che hanno attirato la mia attenzione, l'abbiamo cambiata molto e completata a nostro gusto, ma l'ambientazione a New Orleans era quella originale ideata dall'autore francese. Per quel che riguarda i dialoghi del film un contributo molto forte è venuto sia da Sly che da Walter, c'è molto del loro lavoro nelle parole dei personaggi e nei loro modi di fare, ma sicuramente il film che più mi ha ispirato durante la scrittura è stato 48 ore, quello che a mio avviso ha dato il via al genere dei buddy-movie, una formula deteriorata nel tempo che noi abbiamo cercato di rivitalizzare ispirandoci ai due protagonisti di quella storia.
Questo film sembra essere figlio del vostro passato cinematografico, è frutto di un discorso di entrambi lasciato in sospeso?
Walter Hill: Hollywood, lo sanno tutti, è sinonimo di opportunità. Per come sono andate le cose negli ultimi anni non c'è stata occasione di poter produrre un film di questo tipo poi succede qualcosa, arriva una telefonata e tutto si sblocca in altro modo. Mi piace pensare a Bullet to the Head come un film d'azione con dei confini non delimitati, ho raccontato queste storie in passato e anche Sly, e seppur non ci piaccia molto pensare a noi stessi come uomini del passato alla fine dei conti un passato lo abbiamo (ride).
Sylvester Stallone: Come le scarpe, esistono quelle industriali e quelle artigianali, questo film è decisamente un film fatto a mano, una proiezione ironica di quelle che sono le nostre personalità.
Sylvester Stallone: La verità è che si impara sempre dai propri errori, ho fatto film d'azione in cui c'era troppo poco spazio per esprimere appieno le potenzialità psicologiche di un personaggio e ne ho fatti altri in cui mi è sembrato di perdere un'occasione importante per far agire il mio personaggio troppo statico. Credo che Jimmy Bobo sia una combinazione interessante tra Rocky e Rambo, un personaggio in cui è possibile trovare sia movimento che introspezione. Sono contento di essere riuscito a trovare questo equilibrio in questo momento della mia carriera. La scena finale del combattimento con le asce ricorda molto i duelli del genere western, è stata una sua invenzione oppure era già nella graphic novel?
Walter Hill: Il trucco quando giri un film sta nel creare un mondo che somiglia molto ad un western, inventato ma plausibile nella sua follia. A mio avviso l'elemento di fiction non deve allontanare lo spettatore dal realismo della storia ma il pericolo deve diventare credibile in ogni sua sfaccettatura. Quella che mettono in scena Sylvester e Jason è una danza macabra che accettiamo facilmente in un western ma che troviamo più difficile da digerire in un film come questo. Penso di essere riuscito insieme ad Alessandro a rendere credibile il combattimento finale che alla fin fine non risulta poi tanto assurdo per come sono costruiti i protagonisti.
Sylvester Stallone: Posso dire che dal mio punto di vista non è stato affatto divertente (ride) è stata un'idea di Walter quella delle asce ma la battuta sui vichinghi è mia! Non avevo mai combattuto contro Conan, ora ho fatto anche questo (ride). Jason Momoa si muove come una pantera alta due metri e in quella scena mette in atto una danza violenta davvero spettacolare, non ci sono molti attori in giro che sono in grado di farlo. In conclusione, può dirci che fine farà Rambo?
Sylvester Stallone: Non voglio chiudere con Rambo, non ho voglia di mandarlo in pensione e di andarci io a mia volta. Lui ha mentito a se stesso per tutta la vita e combatterebbe a prescindere perché in fondo ha bisogno della guerra, non ha altro a parte questo, non ha una casa in cui tornare e cerca di finire i suoi giorni in maniera dignitosa. C'è in cantiere un'idea su cui sto lavorando che io giudico abbastanza buona e con qualche possibilità di concretizzazione. Se il mio fisico non mi abbandona prima vedrete ancora Rambo combattere contro l'artrite (ride) e tornare di nuovo sul campo di battaglia.