Era il lontano 1993 quando film del calibro di Jurassic Park, Schindler's List, Nightmare Before Christmas e Buon compleanno Mr. Grape arrivavano nei cinema del mondo facendo innamorare migliaia e migliaia di spettatori. Non tutti ricordano però, forse non casualmente, che nello stesso identico periodo uscì anche una pellicola considerata da moltissimi come uno dei peggiori adattamenti mai realizzati nella storia: Super Mario Bros. Ora che il nuovo adattamento animato, Super Mario Bros. - Il film, è arrivato in sala, abbiamo deciso di tornare indietro nel tempo ricordando questo primo esperimento cinematografico che, ad oggi, non gode affatto di buona memoria, affossata dalle troppe incertezze che hanno delineato il suo cammino sia in termini narrativi che produttivi.
Ma perché un'amarezza del genere intorno a una pellicola ormai dimenticata da anni? Neanche il passare del tempo è stato clemente con questo film che, fin dalla sua uscita, dimostrò di non rispettare il gusto del pubblico in sala per tantissime ragioni diverse (incassò 39 milioni di dollari partendo da un budget di circa 50), restando sepolto nell'ombra senza troppo interesse anche dalle generazioni successive. L'approccio narrativo costruito da Rocky Morton e Annabel Jankel, i registi, cercava d'ibridare insieme tantissimi elementi diversi che continuavano a scontrarsi fra loro in un connubio caotico e poco curato, alla cui base troviamo una serie di tira e molla produttivi, e una visione artistico-narrativa lontana da qualsiasi idea di adattamento dal celebre videogioco di appartenenza.
Non un lavoro strettamente connesso con il personaggio realizzato da Nintendo, quindi, ma una sorta di avventura parallela in un mondo in cui nessuno aveva mai visto Super Mario prima di allora, imbrigliato in una storia dalle tinte cupe e distopiche, che predilige uno stile comicamente cyberpunk con vezzi adulti e momenti mirati ai più piccoli. Cosa poteva andare storto?
La tanto sofferta e insicura produzione di Super Mario Bros.
Le origini produttive di Super Mario Bros. si rintracciano nella figura di Roland Joffé (regista francese conosciuto all'epoca per la regia di Urla del silenzio, del 1984 e di Mission, del 1986, con cui vinse la Palma d'oro al Festival di Cannes di quell'anno), il quale accennò all'idea di un adattamento durante una riunione con la Lightmotive (una società di produzione), per poi parlarne con l'allora presidente della Nintendo of America, Minoru Araka, che a sua volta presentò il progetto a Hiroshi Yamauchi, presidente di Nintendo.
La grande N, dopo averci attentamente riflettuto e aver visionato una primissima bozza di sceneggiatura accettò di cedere in toto, temporaneamente parlando, il suo amato idraulico per il film americano, siglando un accordo da 2 milioni di dollari che tratteneva in Giappone tutti i diritti derivanti del successivo merchandising del film. Un patto del genere si sposava con alcune certezze interne di Nintendo.
L'enorme e continuativo successo del personaggio baffuto aveva alimentato una forte sicurezza, al punto di cederne tranquillamente i diritti per un progetto che non aveva ancora neanche trovato la sua identità. La Lightmotive, quindi, si ritrovò per le mani potere e controllo totale sia su Mario che sul film, cosa che in seguito non è mai più successa a nessun altro. Da questo momento in poi cominciarono a lavorare sulla storia, abbozzando i primi tentativi di catturare l'essenza di Super Mario in un film dalle tonalità leggere e vicine a quelle dei suoi videogiochi.
Il primo a tentare di scrivere una sceneggiatura, o almeno una base narrativa connessa con il personaggio, fu Barry Morrow (conosciuto per il suo lavoro con The Rain Man). Il risultato, però, non convinse la produzione che definì quella prima bozza fin troppo seria e lontana dall'anima che Super Mario Bros. avrebbe dovuto avere. Vennero quindi assunti Jim Jennewein e Tom S. Parker che concentrarono i loro sforzi narrativi delineando una sorta di viaggio in stile Mago di OZ, in cui Mario e Luigi avrebbero dovuto inoltrarsi e confrontarsi a vicenda, richiamando a grandi linee il mondo dei videogame stessi.
Anche in ambito regia Super Mario Bros. ebbe un via vai non trascurabile. Prima di arrivare alla scelta che tutti conosciamo, pensarono di assumere Greg Beeman, per poi scartarlo in favore di Harold Ramis (che rifiutò poiché impegnato a girare Ricomincio da capo). L'idea di coinvolgere Rocky Morton e Annabel Jankel venne allo stesso Joffé mentre rifletteva sull'impatto che Max Headroom aveva avuto sul grande pubblico (si tratta di una serie televisiva fantascientifica andata in onda dal 1987 e il 1988, basata sul personaggio che le fa da titolo), al punto di spingerlo ad incontrarli il prima possibile così da proporgli il progetto, cercando di coinvolgerli nella sua regia. C'era solamente un problema: Morton e Jankel videro nel film la possibilità di creare qualcosa che si avvicinasse ai lavori di Tim Burton.
Dal loro punto di vista Super Mario Bros. avrebbe dovuto rappresentare un incontro fra film come Batman, le Tartarughe Ninja e Ghostbusters - Acchiappafantasmi. A questo va aggiunta la totale libertà creativa concessagli con il personaggio, al punto di teorizzare una storia che non andava in nessun modo intesa come un semplice adattamento, ma piuttosto come il prequel realistico di una storia che in seguito ha ispirato lo stesso videogioco giapponese. Un frammento narrativo al tempo stesso vicino e lontanissimo al Super Mario di radice nipponica, con l'obiettivo di porsi come sua origine da cui tutto è cominciato.
Durante il coinvolgimento dei registi alla sceneggiatura erano arrivati Parker Bennett e Terry Runte, perfettamente concordi con la loro visione, poi sostituiti da Dick Clement e Ian La Frenais, affiancati da Ed Solomon e Ryan Rowe (c'erano parecchie idee in ballo per il film e i cambiamenti, sia in termine di battute che concettuali, tormentarono l'intera produzione dal primo all'ultimo giorno). I problemi veri e propri si manifestarono durante le riprese, coi due registi che continuavano a riscrivere lo script alle spalle di tutti quanti e senza consultarsi a vicenda. I due, inoltre, avevano caratteri intrattabili e modi estremamente arroganti nei confronti di tutti i lavoratori sul set, al punto di inimicarsi l'intera troupe.
I loro atteggiamenti, inoltre, innescarono una serie di reazioni di vario genere da parte del cast. C'era chi sfogava la propria frustrazione urlando (Dennis Hopper) e chi aveva deciso di rifugiarsi nell'alcol (i nostri Mario e Luigi). I problemi sul set erano così tanti che portare a compimento Super Mario Bros. divenne una vera e propria guerra senza esclusione di colpi.
Anche in termini di cast Super Mario Bros. ha avuto qualche ripensamento lungo il cammino. Per il ruolo di Mario si era pensato sia a Dustin Hoffmann che a Denny DeVito, anche se Bob Hoskins convinse tutti quanti (complice il suo successo in Chi ha incastrato Roger Rabbit?). Dopo essersi lasciato trasportare dallo script, l'attore confessò che a quel tempo non aveva mai sentito parlare di Super Mario e del suo videogioco, almeno finché non glielo mostrò suo figlio. In più interviste, comunque, disse che ci teneva particolarmente alla parte, al punto di essersi preparato anche prima delle riprese lavoricchiando come idraulico.
Per il ruolo di Luigi, invece, venne scelto John Leguizamo, subito molto fiero per quella parte sia dal punto di vista narrativo che concettuale, dato che vide il suo casting come una sorta di rivincita su tutti gli attori italiani che all'epoca venivano scelti per interpretare ruoli latini.
I problemi e gli scontri durante le riprese, però, furono così tanti da spingere gli stessi produttori a intervenire in linea diretta tagliando fuori i registi prima che completassero il film, e dalla stessa post-produzione (anche questa molto combattuta; con loro che avrebbero voluto realizzarla digitalmente, e la successiva scelta della moviola). Inoltre, nella versione italiana della pellicola venne eliminato il finale aperto che suggeriva la possibilità di un secondo film, con qualche altra piccola modifica.
Super Mario Bros. Il Film, la recensione: un adattamento al servizio dell'icona Nintendo
Di cosa parla Super Mario Bros. e perché non ha convinto il grande pubblico?
Per comprendere la reazione del grande pubblico a Super Mario Bros. possiamo fare solamente una cosa: raccontarvi il film stesso. La storia comincia milioni di anni nel passato, illustrando del famoso meteorite che si schiantò sul pianeta Terra portando all'estinzione dei Dinosauri. A quanto pare, però, la situazione andò diversamente da come è descritta sui libri di storia, dato che questo schianto generò due dimensioni distinte sul pianeta: una abitata dai discendenti dei rettili preistorici (Dinohattan) e l'altra dagli esseri umani ignari di tutto quanto. La chiave di volta a unire entrambe le realtà è rappresentata dalla principessa Daisy (Samantha Mathis), giovane appartenente alla famiglia reale dei rettili, salvata dalla madre e abbandonata, alla nascita nel mondo degli umani. In tutto ciò facciamo la conoscenza di Mario (Bob Hoskins) e Luigi (John Leguizamo), due idraulici di Brooklyn con poco in tasca che cercano di sopravvivere vivendo alla giornata. Una serie di eventi causali e rapimenti di donne inspiegabili, però, li metterà sul cammino di Daisy proprio quando due individui la rapiscono per portarla nell'altra dimensione e sfruttarla in un rituale che metterà in serio pericolo il mondo intero. I due idraulici, testimoni dell'accaduto, non esiteranno neanche un secondo a lanciarsi in questo salvataggio dimostrando fin da subito il loro buon cuore e coraggio.
Tutto molto carino, se non fosse che l'altra dimensione non ha nulla a che fare con il coloratissimo mondo che gli appassionati dei videogiochi conoscono bene. Muovere il proprio sguardo nei meandri di Dinohattan significa entrare in contatto con una gigantesca metropoli sotterranea, frutto della fusione di elementi da Blade Runner e dallo steampunk più classico. Un agglomerato di edifici e spam che ingloba al suo interno una satira diretta al consumismo dell'epoca, accompagnandola con alcuni elementi ben lungi dalla dimensione infantile e delle famiglie. I due protagonisti, quindi, si ritrovano a dover fare i conti con un contesto che vuole essere principalmente cupo nel suo insieme, pur cercando di ammorbidire ogni cosa con una comicità neanche troppo elaborata. L'estetica altalenante, inoltre, si muove di pari passo con una storia caratterizzata da momenti anche disturbanti e ben lungi dalle origini ludiche di Mario. Qui, però, non si sono solamente allontanati dai videogiochi, scegliendo d'imprimere sulle varie inquadrature un vero e proprio scontro formale palese nelle ambientazioni e in alcune scelte più dirette; celebre la sequenza ambientata nella discoteca/night club in cui Mario e Luigi tentano di recuperare la pietra di Daisy. Il cast, in più interviste, ha rivelato che vennero applicate parecchie censure a quella specifica parte dato che si allontanava parecchio dal target originario cui era indirizzata la pellicola.
In parallelo troviamo una marea di scelte no sense e sviluppi del tutto incomprensibili, figli di una comicità da cui i registi stessi hanno tentato più volte di allontanarsi lungo il percorso. Questa sentita indifferenza nei suoi confronti genera una narrazione che non riesce mai ad esprimere il proprio potenziale. A nulla è valsa la colonna sonora di Alan Silvestri o la fotografia di Dean Semler a contatto con un film che ha sofferto durante tutta la sua gestazione, arrivando nelle sale già stanco e claudicante, a contatto con un pubblico che ancora oggi tenta, in qualche modo, di metterne insieme tutti i pezzi.
La trasformazione in cult
Come avviene con tutti i cult, o quasi, del cinema, anche Super Mario Bros. ha vissuto una vera e propria riscoperta successiva da parte di una nicchia che lo considera un vero e proprio cult trash. Questa dinamica sembra confermare ancora una volta il particolare dualismo che da sempre perseguita la pellicola. Stiamo parlando di un lavoro generatosi da una serie di conflitti sul set, da una scissione artistica che ha influito sulla sua stessa identità creativa, portando al risultato che tutti conosciamo.
Eppure la nostalgia di quel periodo, fusa a un insieme di esperimenti con storia ed estetica, hanno trasformato un flop irrimediabile in un lavoro immortale. Alcune persone, con il tempo, hanno quindi imparato ad apprezzare quello che il film ha cercato di condividere, riconoscendo in questo pastrocchio cinematografico pieno di idee, un lavoro sincero e sopra le righe... forse anche fin troppo.