La nostra recensione di Figli del Sole deve iniziare necessariamente dal significato di quell'unica parola, Khorshid, che compone il titolo originale di questo bel film di Majid Majidi. Significa "Sole" che è un elemento centrale, a più livelli, di questo film iraniano presentato in concorso alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia. È il nome dell'istituto educativo in cui si svolge gran parte del film, è il simbolo del tesoro, motore dell'azione narrativa, ed è la stessa luce che mette in risalto una situazione sociale del Paese del regista che spesso viene lasciata all'ombra: in Iran milioni di bambini sono costretti a lavorare per sostenere le loro famiglie, non potendosi permettere un'educazione a scuola e spesso obbligati a guadagnare attraverso furti o favori da parte della malavita. A dispetto del titolo, però, va detto subito che il film non è decisamente solare e, seppur non contenga violenza, la tensione drammatica la fa da padrone. Che ci sia davvero possibilità di una luce che risplenda sui protagonisti del film e la situazione in cui vivono?
Per trovare un tesoro
La trama del film si basa su una missione. Ali, un dodicenne rimasto orfano di padre e con la madre rinchiusa - senza possibilità di uscita - in un ospedale psichiatrico, e la sua banda di tre coetanei che spesso si dedica a furti e piccole azioni criminali vengono "ingaggiati" da un malavitoso locale per recuperare un tesoro nascosto sottoterra. L'unico modo per raggiungere il tesoro è attraversando un tunnel scavato al di sotto di una scuola chiamata Istituto del Sole, un ente benefico che ha lo scopo di educare proprio questi bambini provenienti da famiglie problematiche e che, in situazioni normali, non avrebbero la possibilità di studiare. Ali e la sua banda si divideranno le giornate partecipando alle lezioni durante il giorno e scavando nei sotterranei alla ricerca di questo misterioso tesoro. È un film che richiama un certo cinema di bambini del miglior Vittorio De Sica, guarda a capolavori come Sciuscià senza, però, risultare antiquato e retorico. Anzi, a dire il vero il film riesce a mantenere un ottimo ritmo per tutta la sua durata riuscendo anche a giocare con il genere. Le scene scolastiche hanno un clima disteso, incentrato sul rapporto che gli alunni instaurano con un maestro che sembra legarsi molto a loro, capirli di più rispetto al resto degli adulti e disposto a comprenderli oltre che a ricoprire il ruolo di semplice educatore. Quando, però, il film si concentra sullo scavo del tunnel sotterraneo, sulla caccia al tesoro che diventa, ad un certo punto, una vera e proprio ossessione, come se le monete d'oro potessero riflettere nel loro colore il senso della vita del protagonista, ecco che Sun Children aumenta la tensione, il mistero e anche il coinvolgimento.
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Ad altezza di bambino
Sembra scontato, ma non possiamo non citare il cast composto per lo più da attori non professionisti, da bambini lavoratori, che hanno dato - davvero - anima e corpo - ed i loro veri nomi - per questo film. Non ci riferiamo solamente al protagonista Ali Nasiria o ad Abolfazl Shirzad, giusto per citare i due più riconoscibili, ma all'intero gruppo di interpreti che non danno mai l'impressione, nemmeno per un secondo, di recitare. Per come si muovono, come usano il corpo, per come riescono ad essere padroni della scena, i bambini sembrano dei veterani della recitazione e si stenta a credere di trovarsi di fronte a dei non professionisti. Basterebbe citare una sequenza su tutte, quella dove una bambina, Shamila Shirzad, rimprovera il protagonista all'uscita della metro. Nel modo in cui si pone all'altro bambino e pronuncia quelle frasi, con quell'atteggiamento da piccola donna già cresciuta nonostante la statura, quasi da mamma stanca dai continui comportamenti sbagliati del figlio, si ha l'esempio perfetto del motivo per cui il film funziona così bene. Anche gli attori adulti non stonano nell'economia del film e, anzi, contribuiscono attraverso i loro lineamenti e le loro facce a creare un microcosmo caratteristico (il maestro con la faccia pulita, il bidello che sembra nascondere dei segreti, il capo mafioso con l'occhio strabico), seppure va detto che i loro ruoli sono parecchio marginali e perdono il confronto con la controparte infantile. Lo stile di regia rimane ad altezza di bambino, senza mai inquadrarli con uno sguardo compassionevole o privilegiato: si ricerca una certa naturalità e verosimiglianza nei comportamenti dei personaggi senza giudicarli o giustificare ogni loro azione. Il risultato è un'opera tridimensionale che non risulta stucchevole o retorica. Anzi, in alcune occasioni il film si scontra con la facciata da duri e da adulti che questi bambini sono obbligati a mantenere, perché abituati a "recitare" per sopravvivere, e i loro sogni infranti e le loro speranze. Bruciando le tappe della crescita in loro c'è la consapevolezza matura di star perdendo gli anni più belli e innocenti della loro vita, la loro età dell'oro.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Sun Children non possiamo che essere contenti dal riuscito film di Majid Majidi. Il film evita la retorica e il didascalismo per concentrarsi, attraverso un plot narrativo che ha a che fare con un mistero e la ricerca di un tesoro nascosto, sul ritratto di questi bambini cresciuti troppo presto, sulle loro difficoltà ma anche sulla loro incredibile forza. Nello stesso momento riesce a portare alla luce una problematica molto sentita in Iran, sconosciuta ai più, e che viene narrata con semplicità e ritmo tanto da poter essere recepita e accolta dal pubblico più ampio e globale possibile.
Perché ci piace
- I giovani attori non professionisti sembrano essere nati per la recitazione.
- Il film evita la facile retorica portando su schermo un ritratto sincero e veritiero.
- Il plot narrativo riesce a mantenere alta l’attenzione dello spettatore arrivando addirittura a mettere in scena momenti di tensione.
- Tra storia di crescita, denuncia sociale, dramma e commedia, il film riesce a parlare ad ogni tipo di pubblico.
Cosa non va
- La parte della storia relativa alla scuola e al rapporto col maestro si conclude un po’ troppo sbrigativamente.