Sulla soglia della vita
Se Giulia non esce la sera è perché il carcere se la inghiotte dopo averle concesso un'intera giornata a insegnare agli altri a conoscere l'acqua, a restare a galla e a ad avere fiducia in sé stessi per nuotare senza timori, per superare i propri limiti e finalmente vivere. La piscina dove fa da istruttrice è l'ambiente nel quale avvicinarsi all'altro e da esso immediatamente separarsi, per un contatto che dura il breve attimo di una bracciata. Il film di Giuseppe Piccioni si accosta a lei e alle sue ombre con lo stesso pudore, per mezzo di uno scrittore in lizza per un premio letterario che potrebbe rappresentare il primo vero riconoscimento di una carriera che stenta a decollare. Sono due personaggi che hanno paura di farsi notare, si studiano e si provano, ma poi tornano ognuno dietro le sbarre della propria prigione: lei sconta la colpa di un atto atroce, lui l'insoddisfazione di una vita che come il suo lavoro fatica a prendere il volo, incatenato a una vita familiare che non pare concedergli tante soddisfazioni.
Il film di Piccioni si dibatte tra solitudini e famiglie disunite. Giulia soffre per un marito e una figlia che hanno scelto di ripudiarla dopo il tradimento e un crimine ancor più feroce, mentre Guido sembra sfuggire costantemente il contatto con la moglie e non sa comprendere appieno i bisogni della figlioletta. Il regista tenta così di districarsi tra la condanna alla vita con la quale i due protagonisti sono incapaci di confrontarsi, e le loro pulsioni intime che ne definiscono i bisogni. E quello più insistente è inevitabilmente la presenza dell'altro, perché solo il riconoscimento dall'esterno può nobilitare la propria esistenza. Sullo schermo si tracciano fili invisibili che legano i personaggi, e si testimonia la loro fragilità, attraverso il ricamo di parole e silenzi che pretendono l'orecchio teso e la strada che da al cuore completamente sgombra. Nel ritratto affettuoso dei due protagonisti manca però il vigore necessario a raggiungere il campo delle emozioni. Piccioni addirittura si lascia turbare da una tensione al surreale che contamina il film materializzando i personaggi dei racconti di Guido come storie parallele appena accennate che finiscono poi con il mescolarsi alle figure cosiddette reali. Le ambizioni sono quindi evidenti, ma nello stesso tempo la pulizia del racconto è priva di mordente. Giulia non esce la sera è un film soffiato, appoggiato sulle solitudini dei protagonisti, che però trattiene il fiato, non si libera come dovrebbe, considerando anche l'ambiente nel quale si muove. I personaggi restano a galla, la sceneggiatura li trattiene per l'intera durata del loro incontro, ma dichiara una faccenda privata il relativo affondare o il tornare a riva. Alla corretteza dei loro ruoli, Valerio Mastandrea e Valeria Golino rispondono con differente piglio: il primo come al solito non riesce a calarsi in panni scomodi, ma si salva con l'innata ironia, la seconda guarnisce di discreta ruvidezza un personaggio più affascinante, scolpito però in scrittura in maniera un po' troppo facilona. L'opera di Piccioni resta quindi in apnea, accogliendo così la seduzione del visionario, ma sopra la superficie le sensazioni diventano impalpabili e le bracciate finali si fanno più faticose, soprattutto per una devozione al dramma che nel quadro generale degli eventi smarrisce il suo senso. D'altra parte siamo assai oltre la sterilità di quel cinema popolare che manda in letargo il pensiero, e quindi ben venga la contemplazione sulla soglia della vita operata da Piccioni. Per compiere il passo fatale e buttarsi in essa ci sarà modo altrove.