Gli ultimi giorni di una manifestazione come la Mostra del Cinema di Venezia sono quelli in cui ci ritroviamo allo stremo delle forze; quelli in cui siamo ormai sazi ma ancora pronti a farci conquistare dagli ultimi titoli in programma. E tra questi c'è stato Stranger Eyes, una sorpresa per tanti motivi. Tra i motivi di interesse, il regista Leo Siew Hua, con cui abbiamo avuto modo di conversare. Un autore intelligente con cui è stato stimolante analizzare il film, sia in termini di tematiche che di scelte di messa in scena.
Distribuito in Italia da Europictures, Stranger Eyes racconta di una giovane coppia che riceve strani video dopo la scomparsa della loro bambina. Eventi inquietanti che li portano a rendersi conto che qualcuno ha filmato la loro vita quotidiana, anche nell'intimità. Per salvaguardare la loro sicurezza, la polizia organizza una sorveglianza attorno alla loro casa per individuare il voyeur, ma la famiglia inizia a cadere a pezzi per segreti inconfessabili che iniziano a emergere ed essere svelati.
La genesi di Stranger Eyes e il rituale degli sguardi
Ci incuriosisce molto come nasca l'idea per Stranger Eyes ed è in effetti la prima cosa che chiediamo a Leo Siew Hua, perché il film è solido sia dal punto di vista tematico che visivo, con i due aspetti che vanno a braccetto senza avere il sopravvento sull'altro. "È una domanda molto semplice per me" ci ha risposto, "perché ho preso l'ispirazione dal mio ambiente, da dove vivo. Singapore [il paese in cui è nato, vive e lavora. ndr] è un paese molto piccolo, ma densamente popolato. Viviamo in appartamenti residenziali che sono molto vicini. Se apro la finestra, vedo i miei vicini."
Lo ascoltiamo, pensiamo alla Napoli in cui chi scrive è cresciuto e ci diciamo che in fondo è qualcosa che un po' tutti possiamo capire. "Esattamente" ci risponde, "non è solo Singapore. Ho preso l'ispirazione da lì, ma è così ovunque. Guardi il tuo vicino, il tuo vicino guarda te. È un rituale quotidiano." Un rituale amplificato da un altro aspetto: Singapore è anche uno dei luoghi più sorvegliati: "basta andare 15 minuti in strada e vedi subito almeno tre camere che ti osservano. Quindi guardo i miei vicini e so che c'è sempre qualcuno che a sua volta mi guarda."
Lo sguardo del pubblico e il look del film
In questo gioco di sguardi che si intrecciano, ci colpisce però anche quello del pubblico e come l'approccio visivo e quello sonoro di Stranger Eyes siano solidi e affascinanti. "Per questo devo dar credito ai miei collaboratori, il direttore della fotografia Hideho Urata e il sound designer Duu-Chih Tu. Abbiamo cercato di creare un senso di prospettiva, fornire sempre un punto di vista. Non c'è n'è mai uno privilegiato che ha una consapevolezza di tutto, filtriamo sempre attraverso il punto di vista di un personaggio specifico."
Le inquadrature e il sonoro contribuiscono a questa ricerca, che guida lo spettatore. "È importante ciò che vedi e senti, ma anche ciò che non vedi e non senti. Abbiamo usato lo zoom, le lenti, ma anche la presenza o assenza di audio: a volte vediamo, ma non sentiamo, per esempio. Abbiamo giocato con la tecnologia a nostra disposizione per veicolare queste sensazioni."
Stranger Eyes, la recensione: un thriller sorprendente che è una riflessione sul mondo moderno
Guardare ed essere guardati
Viviamo in un mondo in cui siamo abituati a essere costantemente osservati, ma allo stesso tempo anche di osservare costantemente gli altri. Anche attraverso i social, per esempio. "Siamo in un momento senza precedenti e non sappiamo cosa questo ci stia facendo, come razza umana. È qualcosa che dovremmo chiederci, perché ciò che è certo è che non ci comportiamo allo stesso modo, sapendo di essere osservati. Penso che ci saranno grandi conseguenze per la nostra vita, perché essere guardati cambia il nostro comportamento."
Ma allo stesso tempo, anche guardare gli altri ha il medesimo effetto. "Guardiamo i social, invidiato gli altri. Ma in realtà quello che è invidiamo è l'immagine di loro che ci mostrano. L'atto di vedere, di osservare, non è passivo, penso che sia trasformativo: se guardi qualcuno intenzionalmente e per molto tempo, inizi a perderti, inizi a diventare come l'altra persona. A fare gesti, a parlare come lei. L'identità cambia attraverso l'atto di vedere."
Ed è un tema universale che rende il film comprensibile, accessibile, e anche inquietante, in tutto il mondo. "Parto da Singapore, che è un contesto molto piccolo e specifico, ma si parla di una relazione tra vedere ed essere visto che è presente ovunque in misura differente. Per qualcuno sarà più fantascientifico, per altri è già il proprio presente. Ma è qui per tutti, è arrivato, e dobbiamo iniziare a porci queste domande prima che sia troppo tardi."