Recensione Racconti da Stoccolma (2006)

Un intenso dramma in tre episodi che narra storie di violenza sulle donne e discriminazione ambientate nella capitale svedese, tollerante solo a parole. Vincitore del Premio Amnesty International alla 57ª Berlinale.

Storie di ordinaria intolleranza

Di giorno è una città solare, piena di natura, sicura e aperta allo scambio culturale, all'integrazione razziale, una meta straordinaria dal punto di vista turistico. E' al calar del sole, quando le strade si fanno deserte e ci si ritrova in casa attorno al focolare, che come ogni altra capitale anche la sofisticata e tollerante Stoccolma si riscopre tetra e assiste, con un'indifferenza quasi disarmante, a gravissimi delitti consumati in nome dell'onore. Per le strade come tra le mura domestiche il buio acceca come la rabbia, annebbia i sensi e annulla le coscienze di uomini che di giorno sono distratti da altro e di sera si lasciano travolgere dai loro istinti più brutali sfogando le loro frustrazioni contro le proprie donne - che siano figlie, mogli, compagne, sorelle - o contro chi come queste ultime secondo loro non è degno di vivere la propria vita in piena libertà, soprattutto per quel che riguarda la sfera sessuale.
Sì, avete capito bene: nel paese europeo che vanta una quasi perfetta parità dei sessi, in particolar modo dal punto di vista politico e imprenditoriale, la violenza sulle donne tra le mura domestiche è in continuo aumento. Nell'avanguardistica Svezia sono gli uomini a trovare più difficilmente lavoro ed è proprio in Svezia che il talento femminile è visto da mariti, padri e fratelli come una disgrazia, un insopportabile fardello che spesso sfocia in raptus violenti e repressioni di ogni genere, fino a diventare, nei casi più estremi, delle vere e proprie persecuzioni.

Scene di ordinaria follia consumate nei meandri della tranquilla socialdemocrazia svedese, narrate in questi accorati Racconti da Stoccolma, spaccati fin troppo nitidi di vita quotidiana che non è vita, ritratto di tre vite perdute che provano a non arrendersi e - in un modo o nell'altro - riescono nell'intento di cambiare per sempre la loro condizione. Una guerra contro il razzismo, l'ignoranza e le leggi inefficaci, in nome di una libertà assoluta e sacrosanta, valore fondamentale di ogni società civile che le Istituzioni troppo spesso affossano tra le maglie della burocrazia e della noncuranza.
A condividere grandi dolori e segreti una giornalista di grande successo nonché madre esemplare, un'adolescente figlia di immigrati mediorientali cresciuta osservando rigidamente il codice morale e religioso imposto dalla sua cultura, e il proprietario di un locale notturno, colpevole di fare troppo bene il suo lavoro e di essere omosessuale. Tre vicende ispirate a fatti realmente accaduti in Svezia a poco tempo di distanza l'uno dall'altro, tre terribili fatti di cronaca che sottolineano come la persecuzione delle donne e i cosiddetti crimini d'onore siano oggi erroneamente considerati prerogativa di culture arcaiche e fondamentalismi islamici. Tre episodi narrativamente intrecciati che sviluppano una forte inquietudine nei confronti dello spettatore ma che dal punto di vista visivo soffrono di uno stile prettamente televisivo che impedisce, se non in rari momenti, al tutto di amalgamarsi efficacemente. E' chiaro come l'episodio cardine del film sia quello di Leyla, la ragazza di origini mediorientali, sicuramente quello a più alto contenuto drammatico e che più degli altri sfrutta le dinamiche e i tempi del thriller per raccontare fino a che punto siano disposti ad arrivare un padre e una madre nel perseguitare la propria figlia, 'colpevole' di avere una presunta storia d'amore, pur di salvare il nome della famiglia altrimenti esposto al pubblico ludibrio.

L'atmosfera di alta tensione che scaturisce da questa triste storia trova il suo culmine nella sequenza dell'esecuzione della ragazza, costretta ad un finto suicidio su un'autostrada affollata di auto in corsa e alla fine dilaniata da un Tir. E' in quel preciso istante che odio e rabbia diventano un pugno nello stomaco dello spettatore che assiste sbigottito all'inutile scempio di una vita, a un'assurdità che non è frutto delle manie di un cineasta esaltato ma il racconto su pellicola di un fatto di sangue realmente accaduto e che continua a ripetersi ogni giorno in ogni parte del mondo. I toni raccapriccianti dell'episodio di Leyla, quello che dei tre ha convinto il regista a realizzare il film, sembrano però in contrasto con gli altri due, assai più lenti e macchinosi, poveri dal punto di vista del pathos e assai meno convincenti nella recitazione.
Un argomento, quello della violenza sulle donne, che forse avrebbe meritato un approfondimento diverso, che andasse oltre la 'spettacolarizzazione' del delitto cui Anders Nilsson fa troppo spesso ricorso, un'analisi che mettesse in luce come in realtà siano le immense lacune a livello morale, culturale e legislativo ad affliggere la società moderna e a mettere ogni giorno in pericolo la vita di milioni di esseri umani per 'colpa' di un cromosoma diverso, quella minuscola ics che fa perdere il diritto di scegliere, di agire, di decidere cosa fare del proprio futuro, ancor prima di venire al mondo. Come diceva Aristotele "La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli".

Movieplayer.it

3.0/5