Recensione Vital: autopsia di un amore (2004)

L'ultimo lungometraggio di Shinya Tsukamoto rappresenta, sia nei contenuti che nell'estetica, un'ulteriore conferma dell'evoluzione artistica del regista giapponese; la ricerca che attraversa tutta la sua carriera, quella sulla metamorfosi dell'uomo in relazione all'ambiente metropolitano, raggiunge con questo film uno dei migliori e più complessi risultati.

Storia di fantasmi giapponesi

Horror, thriller o pellicola drammatica? Difficile classificare un'opera come Vital, e ne sono conferma le recensioni che seguirono l'anteprima veneziana del film. L'ottavo lungometraggio di Shinya Tsukamoto è un'opera crudele ed estremamente delicata al tempo stesso, dove Eros e Thanatos si intrecciano fino alle più estreme conseguenze; ma l'idea macabra, se non addirittura necrofila, che potrebbe suggerire il plot del film non deve ingannare. Vital è come un haiku, brevi e apparentemente semplici versi in grado di catturare una sfuggente verità nell'istante in cui si manifesta.

In seguito ad un incidente stradale che gli ha leso la memoria, Hiroshi (interpretato da un perfetto Tadanobu Asano) comincia a ricomporre brandelli del proprio passato riprendendo gli studi di medicina. Alla fine del corso di anatomia viene data agli studenti la possibilità di sezionare dei cadaveri; Hiroshi scoprirà che il corpo assegnatogli è quello di Ryôko (Nami Tsukamoto), la fidanzata morta nello stesso incidente in cui lui aveva perso la memoria. Inizierà da qui il percorso del protagonista, oltre la pelle e attraverso la carne, indagando il cadavere dell'amata come essenziale contenitore di verità, memoria e sentimenti.

L'ultimo lavoro di Shinya Tsukamoto rappresenta, sia nei contenuti che nell'estetica, un'ulteriore conferma dell'evoluzione artistica del regista giapponese; la ricerca che attraversa tutta la sua carriera, quella sulla metamorfosi dell'uomo in relazione all'ambiente metropolitano, raggiunge con questo film uno dei migliori e più complessi risultati. Se il corpo rimane il centro privilegiato di riflessione ed esplorazione, negli ultimi film del regista giapponese non è più l'ibrido uomo-macchina l'oggetto d'attenzione, ma piuttosto la relazione tra corpo e coscienza; ed è proprio nella descrizione della frattura tra spirito e materia che si articola la messa in scena di Vital. Nel film ogni equilibrio si scioglie, dalla claustrofobica ricostruzione della dinamica dell'incidente al lirismo di danze in riva al mare, i mondi opposti della vita e della morte si sovrappongono e sostituiscono tra loro decostruendo la linearità del racconto e annullando ogni percezione temporale. Il corpo, macchina di rinascimentale bellezza e perfezione, sarà questa volta il mezzo per superare i confini della metropoli e i labirinti della mente. Un filtro ideale da scavare ed esplorare per raggiungere ed oltrepassare la sfuggente giuntura tra anima e corpo. In questo modo la pellicola si articola in due diversi scenari, la squadrata e gelida città, terreno dei vivi e dell'amnesia, e la natura, incontaminata e priva di confini, dove l'anima può perdersi dopo aver abbandonato il proprio corpo.

Il senso di smarrimento e di frattura con la realtà in cui si è trascinati dalla mente dei protagonisti è reso nelle frammentarie sequenze che compongono il film da immagini tremanti, dissolvenze e sfocature che fanno vibrare e confondere le statiche inquadrature. Fondamentale, ancora una volta, la cura fotografica di Tsukamoto, regista factotum, che in Vital gioca sull'opposizione di tonalità calde e fredde per sottolineare la condizione dei personaggi; fantasmi, sia nella vita che nella morte, alla ricerca della propria identità e di quale sia la dimensione a cui appartengono.
E' la Natura il luogo della verità, la dimora delle risposte universali cercate nel film. Scenario lontano e libero dalle contraddizioni del reale e della temporalità. Anche la colonna sonora del fedelissimo Chu Ishikawa, ormai lontano dalle futuristiche miscele di suoni che accompagnavano i primi lavori, sottolinea il fascino vitale di foreste e spiagge, la misteriosa purezza di un universo privo di contaminazioni artificiali e che sempre più prepotentemente conquista un proprio spazio nel cinema di Tsukamoto.