Sto pensando di finirla qui, la recensione: la follia interiore di Charlie Kaufman

La recensione del nuovo film di Charlie Kaufman, Sto pensando di finirla qui, disponibile dal 4 settembre su Netflix.

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Sto pensando di finirla qui: una scena del film

Folle. Potremmo chiudere qui, in una parola, la nostra recensione di Sto pensando di finirla qui, terza fatica, basata sul romanzo omonimo di Ian Reid, scritta e diretta da quel genio di Charlie Kaufman. Un Kaufman mai così estremo e criptico per un film targato Netflix che dimostra, ancora una volta, come il gigante dello streaming non conosca mezze misure: o un titolo è davvero commerciale o le visioni d'autore sono talmente senza filtri da risultare ostiche persino agli amanti di questo tipo di cinema. Prendere o lasciare, ci verrebbe da dire, e non dubitiamo che molti fan di Charlie Kaufman (che, lo ricordiamo, è uno degli sceneggiatori più interessanti e provocatori degli ultimi anni, sue le firme di film come Essere John Malkovich o Se mi lasci ti cancello) potranno addirittura rimanere basiti da questa sua terza opera.

Sto pensando di finirla qui è un film folle, capace di mettere a disagio, pregno di situazioni che "non funzionano" e molto enigmatico. C'è parecchio teatro dell'assurdo con lunghissime sequenze incredibilmente verbose che in qualche modo respingono e allo stesso tempo spingono lo spettatore a non fermarsi nella visione. Fino ad arrivare a un finale che lascia interdetti, assolutamente inaspettato e imprevedibile, capace di far vivere (e rivivere) il film nella mente degli spettatori anche nelle ore seguenti alla fine dei titoli di coda.

Ti presento i miei

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Sto pensando di finirla qui: Toni Collette e David Thewlis in una scena del film

La trama del film si può riassumere in poche parole: una giovane donna si mette in viaggio con il suo ragazzo Jake con cui ha una storia da poco più di un mese. Destinazione: la vecchia fattoria dove è cresciuto lui per fare la conoscenza dei suoi genitori. Quello che Jake non sa è che la ragazza ha dei dubbi sulla loro storia e, internamente (sappiamo come i personaggi di Kaufman si svelano attraverso il flusso dei loro pensieri), ha voglia di rompere la relazione. O forse ha voglia di farla finita in tutto e per tutto. Dopo un lungo e claustrofobico viaggio in auto, nel bel mezzo di una tempesta di neve, la coppia arriverà finalmente alla vecchia fattoria d'infanzia, ma qualcosa non sembra appartenere al normale ordine delle cose. Un soggetto che sembra comune a molte commedie, ma che Kaufman, allungando a dismisura i tempi narrativi (solo il viaggio in auto dura ben 25 minuti) e creando un perenne clima di imbarazzo, disagio e anormalità, trasforma in un horror domestico. O forse in un thriller con dei misteri da scoprire. O forse ancora in un film grottesco dove non si può fare a meno di ridere. Sto pensando di finirla qui sfugge i generi ed entra nei territori del miglior David Lynch, quei territori in cui ti senti continuamente insicuro e non è possibile prevederne lo sviluppo narrativo. Lo si nota addirittura nella struttura del film: quando sembra in dirittura d'arrivo in realtà siamo solo a metà della durata. Da lì in poi il film si trasforma, diventa un vero e proprio incubo (o forse un sogno?) inspiegabile dopo una sola visione, ma capace di mettere alla prova l'attenzione e la partecipazione dello spettatore. Nessun indizio esplicito, nessuna spiegazione vera e propria: non scende a compromessi Charlie Kaufman, questa volta sfidando apertamente il suo pubblico che è costretto a ragionare come lui, a inserirsi nella sua follia e cercare di far luce su quanto ha appena visto.

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Un cast esiguo ma straordinario

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Sto pensando di finirla qui: Jesse Plemons e Jessie Buckley in una scena del film

Se il film funziona per tutti i suoi 135 minuti nonostante i dialoghi quasi impronunciabili (tra poesie e recensioni di film di Pauline Kael recitate) è grazie alle straordinarie, eccezionali, clamorose interpretazioni dei pochi membri del cast. Se Toni Collette e David Thewlis si ritagliano il ruolo dei genitori di Jake riuscendo a essere allo stesso tempo inquietanti e grotteschi (soprattutto per quanto riguarda la Collette che sembra proseguire il lavoro fatto su Hereditary - Le radici del male di Ari Aster), il fiore all'occhiello del film sta nella coppia di protagonisti. Jessie Buckley è una rivelazione, capace di catalizzare l'attenzione dello spettatore continuamente e un vero e proprio talento a cambiare umore, emozioni e toni senza mai ostentare la sua bravura o esagerando nei modi: il ritratto di questa giovane donna (così denominata nei titoli di coda, il suo nome sembra cambiare nel corso del film: si chiama Lucy? Louisa?) è quanto di più naturale possibile all'interno di un universo narrativo dove la normalità non sembra essere di casa. Il Jake di Jesse Plemons, esteticamente simile al compianto Philip Seymour Hoffman, pur lavorando di sottrazione riesce, poco a poco, a farsi notare sempre di più. Che sia lui il vero protagonista del film?

Niente spoiler, la finiamo qui

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Sto pensando di finirla qui: Jesse Plemons, Jessie Buckley in una scena del film

È un peccato non poter raccontarvi di più di questa stramba opera. Non vogliamo rovinarvi i colpi di scena presenti e crediamo che, gran parte del gioco, stia nel cercare di venire a capo di quanto visto nel corso delle due ore da soli. La vera forza del film sta nel post-visione, nel tentare di fare ordine su quanto visto e arrivare a ricomporre i vari pezzi del puzzle. Possiamo però anticiparvi che le atmosfere horror - non preoccupatevi, non c'è alcun tipo di violenza - lasceranno spazio a elementi misteriosi, a tratti onirici, a lunghe sequenze musical (soprattutto richiamanti un classico del genere come Oklahoma!), a segmenti in animazione e persino un breve film-nel-film spassosissimo. C'è veramente di tutto e la sensazione è quella di vedere un autore che ha deciso di dar sfogo, senza alcun limite o paletto produttivo, a tutta la sua inventiva. Forse, però, proprio questa corsa non controllata potrebbe far risultare il film un'opera fin troppo autoindulgente e masturbatoria, capace di abbandonare il pubblico a sé stesso e quindi ad interessare davvero solo pochissime persone. Un peccato considerando che il genio di Charlie Kaufman, per quanto a livello di contenuti, temi affrontati e stile di scrittura sia sempre stato abbastanza di nicchia, sarebbe un ottimo incentivo per scoprire nuovi modi di intendere il cinema e allargare le proprie vedute. Chiuso nel suo mondo mentale, ossessionato dalle sue paranoie e dalle sue domande esistenziali, Kaufman sembra voler rinnegare il bisogno di un pubblico ampio che potrebbe benissimo sentirsi in dovere di "finirla qui" e spegnere il televisore. Ma se siete folli quanto questo film e vi ci catapultate dentro, anche con una certa dose di pazienza, non neghiamo che, arrivati alle battute finali, potreste addirittura arrivare a commuovervi ed emozionarvi.

Conclusioni

Concludiamo la nostra recensione di Sto pensando di finirla qui con un invito: entrateci e cercate, come fosse un rompicapo, di trovare la soluzione di ciò che state vedendo. È un film folle, ostico, altalenante, capace di mettere a disagio attraverso un’atmosfera grottesca e assurda. Non è niente di simile a quello che potete aver visto nel corso dell’anno. Ma se le straordinarie interpretazioni degli attori vi catturano e portate pazienza fino alla fine siamo certi che riterrete questa terza opera di quel geniaccio di Charlie Kaufman, pur essendo parecchio respingente, un’esperienza filmica indimenticabile.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
2.7/5

Perché ci piace

  • Gli attori, soprattutto i due protagonisti, riescono a recitare l’impronunciabile e sono una rivelazione.
  • L’atmosfera assurda e grottesca è capace di risultare persino ipnotica.
  • Il film è completamente folle, spazia attraverso generi e tecniche di ripresa per raccontare una storia nascosta.
  • Lo spettatore dovrà stare attento a ogni dettaglio per cercare di ricostruire il vero tema del film.

Cosa non va

  • Può respingere molti spettatori poco pazienti che potrebbero non stare al gioco.
  • Tutta questa follia pura, con un Kaufman a briglie sciolte, potrebbe essere confusa come un’operazione troppo autoindulgente.