Brillante attore - tra i prediletti di Jim Jarmush e dei fratelli Coen - nonché affermato regista, il grande Steve Buscemi è in questi giorni nella Capitale per presentare il suo nuovo film Interview (nelle sale dall'11 aprile in circa 50 copie), quarto lungometraggio dietro la macchina da presa che lo vede anche protagonista principale al fianco dell'attrice Sienna Miller. Questo interessante e accattivante piccolo film indipendente è il remake americano dell'omonimo film del controverso regista olandese Theo Van Gogh, ucciso in pieno giorno ad Amsterdam nel 2004 da un fondamentalista islamico a causa dei contenuti scottanti del cortometraggio Submission: Part 1, da lui diretto e sceneggiato dalla deputata Hirs Ali, vero bersaglio dell'agguato e grande nemica dell'Islam in quanto sostenitrice dei diritti delle donne musulmane.
Nel film Buscemi è Pierre Peters, un giornalista spocchioso e autolesionista da sempre dedito alla politica estera, specializzato in cruenti reportage di guerra e in interviste a capi di stato, che si ritrova ad un certo punto della sua carriera ad intervistare un'attricetta da soap opera di nome Katya, una vera e propria icona della tv americana. Proprio il tipo di persona che Pierre non sopporta. I due si incontrano a New York (città natale di Buscemi), si insultano, si disprezzano, ma poi entrano in sintonia, tentano di fidarsi l'uno dell'altra senza mai riuscirvi, si fanno confidenze intime e si studiano a vicenda senza mai realmente capirsi. Insieme passeranno una notte lunga, tra seduzione e repulsione reciproca, tra bugie e verità, tra rabbia e tenerezza. Entrambi si faranno coinvolgere in un gioco pericoloso che alla fine avrà un solo vincitore. Un'analisi amara del mondo dei media e delle celebrità, un attacco ai gusti di un pubblico sempre più affamato di scoop, di gossip e di sensazionalismi e sempre meno attento all'informazione in senso stretto.
Dopo la morte di Van Gogh i suoi produttori olandesi decisero di promuovere il progetto denominato Triple Theo: realizzare il remake americano dei tre film della trilogia del regista orribilmente ucciso, un'opera incentrata sul rapporto spesso conflittuale tra uomini e donne. A dirigere i tre rifacimenti Steve Buscemi, Stanley Tucci e Bob Balaban.
E' vero che ad un certo punto della sua carriera ha fatto il doppio lavoro, come attore e come pompiere?
Steve Buscemi: Si, è vero. E' stato dal 1980 al 1984, quando cercavo di sfondare scrivendo e recitando in prima persona piccoli spettacoli teatrali nelle parrocchie, nei club e ovunque mi veniva richiesto nella Lower East Side di New York.
Una strana dicotomia...
Beh, non c'è dubbio. In quel periodo mi mantenevo facendo il vigile del fuoco ma la città era stracolma d'arte, di musica, cinema e teatro. Fu così che conobbi Jim Jarmush per esempio, mi vide recitare in questi spettacoli perché anche lui cercava di iniziare la carriera di regista in quegli anni.
E' palese il duro attacco al mondo dei media, all'informazione codificata, alle interviste spesso pilotate e concordate tra le parti. La sua potrebbe essere vista anche come una critica trasversale al mestiere di recitare?
Difficile rispondere di fronte ad un sala stracolma di giornalisti. Non era mia intenzione attaccare in alcun modo la categoria, né esprimere un giudizio in merito a questo argomento. Volevo solo analizzare il rapporto dapprima disastroso poi profondo che si instaura tra due persone molto diverse, ho accettato di rifare il film proprio perché mi era piaciuto molto l'originale, mi attraeva tantissimo l'idea dell'ambiguità, dell'inganno e dell'intrigo che si crea tra i due protagonisti. E' caso mai un attacco all'effimero mondo delle celebrità.
Condivide le parole di De Niro che ha dichiarato più volte che ci si fida di più di un regista che è stato o è anche attore rispetto ad uno che non ha mai recitato?
In effetti il mio modo di approcciare alla regia è attraverso la recitazione degli attori. Non conoscevo il lavoro di Van Gogh ma quando ho visto i suoi film ho amato il suo modo di relazionarsi con gli attori, di scrivere per loro. I produttori cercavano esattamente dei registi che sapessero imitare questa sua grande dote. Il mio regista preferito è John Cassavetes, che era anche un ottimo attore, ma ci sono anche registi in grado di fare un lavoro altrettanto fenomenale pur non essendo attori. Penso ai Coen, a Jarmush, a Tom DiCillo e Alexandre Rockwell.
Pensa che questo aspetto abbia aiutato Sienna Miller, sua partner nel film, ad osare un po' di più?
Spero che non si sia mai sentita come una marionetta cui dire cosa fare e come farlo, spero si sia fidata di me. Sono stati fondamentali i 10 giorni precedenti all'inizio della lavorazione del film, momenti importantissimi in cui abbiamo provato, parlato e ci siamo confrontati. Abbiamo girato l'intero film in 9 giorni di riprese, senza alcun problema.
Non solo ha girato il film usando la stessa troupe che fu di Theo Van Gogh ma ha usato anche la stessa tecnica, le tre camere digitali a riprendere la scena da tre angolazioni diverse. Cos'ha imparato da questa esperienza?
Theo girava i suoi film in maniera molto interessante, quasi totalmente in sequenza, cosa che non avviene mai nei film tradizionali perché tutto dipende dalle location, dalla loro disponibilità e dai tempi. Poi volevo provare a mettermi alla prova lavorando con persone diverse, che conoscevano bene il regista del film originale. Con la tecnica che usava lui viene filmato tutto, ogni espressione, ogni inquadratura, ogni sfumatura. Non si perde nulla, sembra quasi di assistere ad una piece teatrale e questo permette agli attori di improvvisare, di guadagnare in spontaneità.
Dal suo punto di vista, come sono ripartite oggi le responsabilità sulla qualità dell'informazione e sul modo in cui questa viene veicolata?
Il mio è un punto di vista distaccato, da persona non coinvolta nel 'giro' e libera, non mi è mai piaciuto essere al centro dell'attenzione mediatica e per fortuna non sono costretto a seguire show televisivi o a leggere certi giornali. Oggigiorno il flusso di informazioni sui media è pressoché costante, alimentato 24 ore su 24, c'è una sovraesposizione assurda delle notizie, si ingigantiscono delle notizie che a volte sono davvero insignificanti.
Quanto è colpa dei giornalisti e quanto del pubblico che sembra preferire certi tipi di programmi e certe notizie scandalistiche?
Continuano a proliferare programmi che parlano delle celebrità e di gossip. Devo essere sincero: io spesso spengo la tv e preferisco guardare altro, ma a volte li guardo e mi piacciono pure. Sempre che non mi riguardino in prima persona (ride), ovvio.
Ha mai avuto esperienze simili a quella del film? Magari qualche intervista paradossale o un po' sopra le righe con qualche giornalista?
Direi proprio di no, ma posso raccontarvi un aneddoto piuttosto particolare. Si trattava di un'intervista telefonica con un giornalista di una rivista britannica. Dalle parole scritte nell'articolo sembrava che io e lui avessimo passato un intero pomeriggio in un bar a chiacchierare anziché da un capo all'altro del cavo telefonico. Appresi in quel momento che, del tutto casualmente, nello stesso bar era entrato perfino il mio amico Tim Roth e che l'intervista era proseguita a tre con un linguaggio a dir poco colorito. Capii dopo che l'intervista era stata estrapolata a partire da una vera che avevo rilasciato tempo prima. Pensate quanto devo essere stato noioso al telefono con questo giornalista...
E' la prima volta che viene omaggiato un regista che è morto a causa delle sue scelte professionali. Non ha avuto paura di ripercussioni?
So benissimo che Theo era una figura controversa, un provocatore, ma il mio intento non era quello di promuovere la sua filosofia. Volevo solo rendere omaggio ad un regista scomparso che aveva fatto un bel film ed aveva voglia di farne un remake tutto americano. Ho adorato i suoi personaggi, la storia e il contesto in cui essa si svolge. Interview è un omaggio al Van Gogh regista e al suo lavoro, all'artista e non all'uomo. Non penso affatto di correre dei pericoli, e poi oggi il pericolo si nasconde dietro ogni piccola cosa, dobbiamo imparare a conviverci.