Stefano Incerti è regista del non detto, di un'intensità suggerita, di una poetica che rifugge costantemente dalle emozioni sfacciate: eppure, i suoi film, che raccontano la geografia dei sentimenti umani, sono anche film di genere. Era così per Gorbaciof, noir dal tocco quasi "orientale" nella presentazione dei personaggi; ed è così, anche, per questo Neve, già presentato al Courmayeur Noir In Festival, ora in uscita in sala. In una provincia italiana sommersa di bianco, il regista mette in scena un altro, atipico thriller dei sentimenti: raccontando l'incontro di due personaggi in fuga, lontanissimi eppure accomunati dalla stessa precarietà esistenziale.
A un anno dalla presentazione nel festival transalpino, il regista ha introdotto il suo film alla stampa italiana: con lui, nella conferenza stampa che ha seguito la proiezione, i due intensi protagonisti Roberto De Francesco ed Esther Elisha, due membri "secondari" (solo sulla carta) del cast come Massimiliano Gallo e Antonella Attili, il co-sceneggiatore Patrick Fogli e il produttore Dario Formisano.
I personaggi, e il valore aggiunto dell'ambientazione
"Volevo sfruttare una regione che conoscevo", ha detto Incerti parlando dell'ambientazione, "che tuttavia da La strada di Federico Fellini non veniva più utilizzata dal cinema. Volevo fare un film semplice: due personaggi che non si sarebbero mai incontrati, se non in circostanze come quelle che vediamo sullo schermo. Per questi due personaggi, avevo già pensato proprio a questi attori. Ho raccontato la storia a Patrick, e gli ho detto che il terzo protagonista doveva essere la neve: gli ho detto di sfruttare il fatto di essere uno scrittore di gialli per raccontare al meglio il mistero del film. È il film più snello che ho fatto: ci hanno lavorato una troupe di amici e di storici collaboratori, e volevo farlo proprio con loro. In Italia e nel mondo, spesso ci si riempie la bocca col cinema indipendente, ma poi dietro ci sono quasi sempre finanziamenti pubblici o broadcaster. Noi, invece, non abbiamo avuto nulla di tutto questo. Volevo partire con attori non fossero usurati dalla tv e dal cinema, che sembrassero fuori dal nostro ambiente, e che quasi non facessero apparire il film come italiano. E' un film commisurato alla storia: l'ho pensato quasi come un documentario su due 'scoiattoli' con sembianze umane." Scoiattoli il cui lavoro, però, è stato più che determinante per il risultato finale. "Loro due sono stati molto bravi", ha proseguito il regista. "Abbiamo lavorato perché si sentissero la storia addosso. Non è un film molto dialogato, ma quei pochi dialoghi dovevano essere ficcanti. Abbiamo avuto un rapporto intenso, sul set, anche aspro se vogliamo, visto che si trattava di un'impresa complicata, non esente da rischi. Ma il risultato è stato assolutamente soddisfacente."
La scrittura, e l'apporto degli interpreti
Viene sottolineato che il film è fondato sull'attesa, con una riduzione dei dialoghi all'essenziale. "Scriverlo non è stato neanche così difficile", ha sottolineato Patrick Fogli, "visto che l'idea forte già c'era. È stato in un certo senso facile costruirla per brevissimi indizi, e sguardi. Erano proprio gli sguardi tra i personaggi a direzionare la storia da una parte o dall'altra. Doveva essere un film basato sulle disavventure di queste due persone, disavventure separate ma in fondo uguali. Un film così, comunque, si scrive sapendo esattamente dove si vuole andare; e si scrive, soprattutto, suggerendo, evitando di sbattere le cose in faccia allo spettatore."
Quella tra i due protagonisti, viene fatto notare, è un'alchimia "ruvida", che rifugge dalla retorica o da scelte espressive facili. Un risultato a cui gli interpreti hanno dato il loro rilevante contributo. "Il nostro apporto era 'in progress', sul set", ha detto Roberto De Francesco. "Il contesto ambientale in realtà ha giocato il suo ruolo, visto che l'ambientazione ci entrava letteralmente nella pelle. Io ed Elisha eravamo stretti dentro il piccolo mondo dell'abitacolo dell'auto, in cui è ambientata parte del film, e lì avevamo reazioni che magari non erano scritte, ma venivano fuori sul posto. È un film fatto di piccoli gesti, di non detto: in questo, l'aspetto climatico ha giocato un ruolo curiosamente molto creativo."
Anche la Elisha ha sottolineato la sinergia creativa col regista: "Stefano è un eroe! La stessa disponibilità che dimostra ad accogliere le proposte degli attori, sottolinea che sa precisamente quale storia vuole raccontare. Noi ci siamo trovati a rilavorare sulla sceneggiatura, e questo ha contribuito a rafforzare la fiducia che c'era tra noi: non dovevamo costruire tutto sul set."
Il film si giova anche dell'apporto di attori "secondari", che tuttavia non sono considerati propriamente tali dal regista. "Con Stefano avevo già lavorato in Prima del tramonto", ha ricordato Antonella Attili, "interpretando uno dei migliori personaggi della mia carriera. È uno dei miei registi 'd'elezione'... mi piacerebbe proprio essere la sua attrice-feticcio! Qui avevo la possibilità di sentirmi a casa, di fare ciò che volevo. Per me è una festa, fare una cosa così creativamente libera: in questi casi ti senti amata e quindi riesci a dare il meglio di te."
Anche Massimiliano Gallo, interprete del "villain" del film, sottolinea il suo ruolo creativo. "Abbiamo cambiato un po' il personaggio in corsa", rivela l'attore. "D'altronde, anche di un cattivo devi 'farti una ragione', scavare nel personaggio e capire il perché delle sue azioni. Nello stesso rapporto con Esther volevo mettere più passione e più sangue, esplorare il perché lei vi rimanesse legata."
L'aspetto produttivo
"Questo è un progetto in cui sono entrato in corsa, su una proposta di Stefano", ha rivelato Dario Formisano. "Avevamo entrambi voglia di fare un film che ci piacesse, senza fare le solite trafile e anticamere a cui di solito si è costretti in questi casi. La storia si prestava, era una storia piccola che però non si traduceva in un piccolo film: dovevano esserci pochi personaggi, e un'ambientazione potente. Ne abbiamo parlato che era dicembre, abbiamo dovuto aspettare un altro anno per realizzarlo, ed era un rischio perché tutto era legato alla presenza o meno della neve: se non ci fosse stata, avremmo fatto un film diverso, probabilmente anche con un altro titolo. A volte la fortuna, però, aiuta gli audaci. C'era anche il problema di fare un road movie con Roberto che non aveva la patente: ma alla fine si è rivelato bravissimo a guidare. È stata una bella avventura: magari una cosa del genere si potesse fare più spesso, un film indipendente fatto con pochi soldi ma col rispetto delle professioni e della qualità. Si possono, a volte, fare film con bassi budget, sperando poi che il mercato ti venga dietro. In ciò che abbiamo fatto non c'è mecenatismo o dilettantismo: nel nostro mestiere si può rischiare. sperando però che ci sia un percorso, che il film venga distribuito e fatto circuitare come si deve."
Anche lo stesso regista ha voluto dire la sua sull'aspetto produttivo del progetto. "Io non vorrei continuare a fare il produttore dei miei film", ha dichiarato, "ma questo non perché non mi piaccia produrre, anzi. Penso però che, piuttosto che arrivare ad autoprodursi, sarebbe bello che anche in Italia il mercato non strozzasse un certo tipo di cinema, costringendoti ad intervenire direttamente. Non voglio assolutamente fare paragoni impropri, ma vorrei solo portare un esempio: se io avessi presentato un soggetto come quello di Amour di Haneke in Rai, mi avrebbero come minimo preso a calci e deriso per anni. Solo l'idea di investire dei soldi per una cosa del genere, in Italia, è semplicemente ridicola."
Libertà "di genere"
Il film, viene fatto notare, ha anche un forte legame col "genere": nella sua attenzione a certe tematiche, non dimentica di intrattenere. "Un maestro come Francesco Rosi disse una volta che si poteva fare un cinema 'difficile' mantenendo l'attenzione al pubblico, intrattenendolo", ricorda il regista. "Si tratta di fare film con tematiche importanti, raccontando però storie per il pubblico. Certo, se questo diventa una costrizione, allora non va bene: è pure vero, però, che nel genere ti puoi permettere libertà che non hai nel film puramente d'autore. Raccontare storie con un taglio originale fa sì che il film abbia un abbrivio che permette di raggiungere il pubblico. In più, questo è forse il mio film più positivo e ottimista, in un certo senso."
Alla domanda se Incerti abbia abbia subito qualche influenza o un'ispirazione particolare per la regia di Neve, l'interessato risponde: "Io vedo un sacco di film", ha detto Incerti, "sono cinefilo fin da ragazzino, quindi non saprei dire se mi sono ispirato a qualcuno in particolare. Mi viene in mente, però, un regista come Claude Chabrol: un autore magari considerato minore, meno geniale di un Godard, ma con una carriera costante e duratura, e una forza, un linguaggio e una direzione degli attori eccezionali. E' importante che il regista abbia davanti il miglior panorama umano del mondo, e che cerchi di renderlo forte, intelligente. Il cinema è immagine, e quando si riesce a evitare il classico 'spiegone', e a far parlare innanzitutto le immagini, si raggiunge un risultato importante".