Proprio un anno fa, su Movieplayer, chiedevamo ad alcuni dei nostri migliori sceneggiatori come la pandemia avrebbe cambiato il nostro modo di raccontare le storie al cinema e in tv. A parte il fatto di raccontare storie sul Covid-19, ci chiedevamo se nelle storie ci sarebbero state le nostre nuove abitudini, un paesaggio sociale cambiato, un modo di sorridere diverso, più serio. Sorridere ma in modo più serio è proprio quello che accade in State a casa, il nuovo film di Roan Johnson, in uscita in 150 copie (sia nei multisala che nelle sale cittadine) il 1 luglio distribuito da Vision. Johnson ha guardato in faccia alla realtà e ha deciso di raccontare proprio il Covid-19 e il primo lockdown, quello in cui siamo stati tutti chiusi in casa. Il regista di Piuma ha immaginato la vita in un appartamento di Roma - ma potremmo essere ovunque - quattro ragazzi sotto i trent'anni si trovano a fare i conti con le ansie da pandemia, quelle da lavoro che sparisce, e, di conseguenza, dell'affitto da pagare. Il loro padrone di casa, Spatola, minaccia di alzare l'affitto, o forse di abbassarlo, se Benedetta, una delle ragazze, sarà carina con lui. E da qui nasce un'escalation di accadimenti che dà vita a una commedia nera, un film vitale, teso, ironico.
Roan Johnson: Scrivo per risolvere i miei problemi psicologici, la mia ansia
Roan Johnson non si è posto il problema se fosse il caso di parlare di pandemia adesso, o più avanti. Ha semplicemente cominciato a scrivere. "Durante il primo lockdown mi sono trovato di fronte al fatto che, tra un paio di generazioni, ci troveremo a dire cos'era la nostra vita prima della pandemia e cosa dopo, e cosa è successo nel mentre" ci ha raccontato il regista nella conferenza stampa di lancio di State a casa. "Anche le serie e i film che verranno dopo, anche se non parleranno della pandemia, vi faranno riferimento. È come con la guerra, come con le Torri Gemelle. Tutti ci siamo sentiti chiedere: dove eri quando sono cadute? In tutto il mondo ci siamo trovati tutti, in un certo momento, in cui eravamo chiusi in casa. È qualcosa di universale, una storia che abbiamo vissuto in Italia, nel nostro intimo, ma che condividiamo con il resto del mondo. Grazie all'informazione, alla globalizzazione sapevamo tutto, mentre lo vivevamo". "Per me scrivere è catartico" continua. "Scrivo per risolvere problemi psicologici: in quel momento era la mia ansia, il moriremo tutti. E allora mi viene naturale provare a esorcizzare. Ho scritto varie storie, ma quella più forte era questa dark comedy".
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Roan Johnson: Racconto la categoria più fragile e più colpita
Il regista ha trovato una chiave di lettura interessante. Ha deciso di raccontare gli effetti della pandemia sui più deboli, sulla generazione più precaria, quella la cui vita non ha ancora preso una direzione. "Quando stavo a casa ho pensato che sono un privilegiato" riflette Roan Johnson. "Ma se ora avessi 27 anni, farei parte della categoria più fragile e più colpita a livellò psicologico. Se io avessi quell'età vivrei con quel tipo di ansie e preoccupazioni, sul mercato del lavoro. Come la vivrei? Mi sono trovato in Nicola. una parte di me era più Paolo". Non è un caso che i loro personaggi cambino quando entrano in scena i soldi, che sono un vero spartiacque della storia. "È uno spartiacque, ma non l'unico. In questo film non ci sono registri completamente diversi. Certo, se prendi i primi 20 minuti e gli ultimi 15 sono due film completamente diversi. Ma è una dissolvenza incrociata tra due registri che sono sempre presenti. Il finale è cupo, è un vaccino verso degli errori che non dovremmo fare".
Roan Johnson: Sul set una vita frenetica, mentre fuori tutto era fermo
State a casa è nato davvero in una casa, in un appartamento dove sono state fatte delle lunghe prove prima di andare a recitare delle scene che sono state girate in lunghi piani sequenza. "Abbiamo vissuto un mese in questa casa, dopo avere fatto una sorta di preparazione teatrale per i piani sequenza" racconta Roan Johnson. "Dovevamo raccontare quello che il mondo fuori stava vivendo. Noi avevamo una vita frenetica, velocizzata, mentre fuori tutto era fermo. E stavamo raccontando il primo lockdown, in cui ognuno di noi ha avuto un'altalena di sentimenti, ognuno si è guardato allo specchio e ha visto i suoi sentimenti. Volevamo fare un racconto catartico che esorcizzasse la paura di quello che stava succedendo".
Dario Aita e Lorenzio Frediani: il piano sequenza, dichiarazione d'amore per gli attori
Della preparazione teatrale e del piano sequenza sono stati entusiasti, grati anche Dario Aita e Lorenzo Frediani, gli attori che interpretano Paolo e Nicola, i personaggi in cui l'autore si è identificato. "Il piano sequenza è una dichiarazione amore e fiducia verso gli attori, non lo è verso il direttore della fotografia e la troupe" ci racconta sorridendo Dario Aita. "Noi veniamo tutti da una formazione teatrale, e questo è stato un grande esperimento di incontro tra cinema e teatro. Due settimane di prove sono un lusso che non accade quasi mai. È difficile prendere quei tempi che abbiamo potuto ritagliarci. Il piano sequenza ci ha favorito e ci ha aiutato molto. È stata un'esperienza affascinante perché noi attori abbiamo avuto la possibilità di vivere una seconda vita: mentre fuori è tutto di nuovo bloccato, abbiamo avuto la possibilità di vivere, toccarci, baciarci". "Per la sicurezza di tutti abbiamo iniziato ad essere coinquilini due settimane prima del film e poi durante, non ci conoscevamo e il film è stato costruito in una casa" aggiunge Lorenzo Frediani. "Lo abbiamo girato in casa, registrando le prove con il cellulare, e poi lo abbiamo rigirato sul set. I rapporti costruiti tra di noi sono sciolti organicamente nei rapporti tra i personaggi. Le scene non dovevano essere più recitate, perché erano già solide in noi quando si trattava di girare".
Giordana Faggiano: Il lavoro sul corpo mi è servito tanto
Anche le attrici si sono sentite molto a loro agio nel girare un film in questo modo. "Le prove sono state importantissime" spiega Giordana Faggiano, che nel film è Beatrice, uno dei motori della storia. "Molto spesso a noi attori capita di ritrovarci sul set e fare la migliore amica o la cugina di qualcuno, e presentarci un minuto prima che scatti l'azione con persone che non conosciamo. Provare prima è un privilegio enorme, ma in qualsiasi altro caso è necessario: se non avessi vissuto con loro, quel rapporto semplice che abbiamo trovato sul set non ci sarebbe mia stato. Con Tommaso Ragno, che è Spatola, invece ci siamo visti poche volte, ma andava bene. Per il ruolo non serviva che entrassimo in confidenza, anzi mi stuzzicava la scena in cui c'era molto disagio, era bello perché era vero. È necessario per noi attori provare. È un lusso e questo film lo premetteva". La Beatrice di Giordana Faggiano è sensuale, sfrontata, manipolatrice, ed è nata anche grazie a un grande lavoro sul corpo, ma anche sull'accento, che l'attrice ci ha spiegato. "Ho fatto un lavoro sul corpo" ci svela. "Quello in cui ho fatto il provino era un periodo in cui mi stavo allenando tantissimo e stavo prendendo consapevolezza del mio corpo. Il lavoro su corpo mi è servito tanto in un personaggio in cui spicca l'arma della seduzione, che parla e i muove seducendo". Ma l'attrice ha fatto anche un lavoro sul dialetto. "Sono nata a Bari e ho vissuto in Toscana in Liguria, e per me è stato un grande regalo potermi immergere nel barese" ci racconta. "Al provino Roan mi ha detto di provare le mie battute in barese, e così è nata questa idea. Ma ho dovuto studiare molto".
Martina Sammarco: Ho recitato come se fossi una divinità
E poi c'è lei, Martina Sammarco, che dona la sua bellezza altera ed enigmatica al personaggio di Sabra, il più misterioso del film. "Forse è la più sana del gruppo, forse no" si chiede l'attrice. "All'inizio mi sono domandata: è la più buona di tutte, o è il contrario? Ho deciso di stare nel mezzo, che è la cosa più importante per il mio lavoro". "Il regista mi ha detto: pensati come se tu fossi una divinità" svela Martina Sammarco. "La prima impressione è stata quella di pensare la divinità come una sorta di superiorità. Poi ho capito cosa intendeva. Ero una divinità nella misura in cui le divinità greche stanno da un'altra parte ma osservano in maniera attiva, si divertono e soffrono con gli eroi. La mia Sabra non era sopra o sotto gli altri, ma più distante. Roan mi diceva di essere empatica ma distante: era difficile estraniarsi e provare empatia. La divinità non decide per l'uomo: apre delle porte, mostra delle vie. E io sono stata una specie di specchio per loro: potevano decidere se vedersi in un mondo e o nell'altro e poi decidere. La parte interessante del mio personaggio è quella che la porta a mostrarsi in una parte più magica, misteriosa. usare una lingua che non è la mia. Tutto questo porta a un immaginario distorto, stravolto, il serpente è mio. Il film comincia ma io non ci sono. Poi arrivo con l'impermeabile e la mascherina: sono un alieno... "
State a casa: l'occasione fa l'uomo ladro, assassino, prevaricatore
Tommaso Ragno: Non è scontato trovare subito la complicità
Accanto ai quattro ragazzi c'è Tommaso Ragno, attore versatile e perfetto nella parte di Spatola, il lascivo padrone di casa. "Sono stato contento di come mi hanno accolto loro" racconta l'attore riferendosi ai giovani attori. "Gran parte di questa partecipazione è legata al rapporto con loro. le cose vengono fuori insieme alle relazioni. Non ho speso il tempo che hanno speso insieme sul set, ma è una cosa non scontata trovare subito la complicità, è dovuto a una capacita di scherzare e giocare insieme, perché il tempo è poco sul set".
Roan Johnson: Se l'umanità avrà avuto un insegnamento lo capiremo più avanti
State a casa ha un messaggio forte, ben preciso. "Il Covid è una sorta di scusa" ci spiega Johnson. "Il virus è nella natura umana: avidità, egoismo. E ognuno di noi ne ha una parte, ha luci e ombre. Ci siamo fermati, ognuno ha visto i suoi demoni e ha capito dove sarebbe potuto andare nella migliore e nella peggiore delle ipotesi. Se i nostri istinti peggiori prevalessero avidità egoismo, se andasse tutto male dove andremo a finire? Questo è un vaccino che questo piccolo film potrebbe portare al mondo". Come avrete capito, State a casa è un film importante, ma forse lo sarà ancora di più quando lo rivedremo tra dieci anni. "Lo vedremo tra un po'" riflette il regista. "Ho l'impressione che è un film che avrà un'alta fruizione anche tra un po' di tempo. Siamo ancora nel mezzo ed è qualcosa che tutti abbiamo ancora bisogno di metabolizzare. Se l'umanità avrà avuto un insegnamento da questa pandemia lo capiremo più avanti".