L'assenza di significato della vita obbliga l'uomo a crearsi il proprio significato.
"Posso essere sincero? Io considero Kubrick un incapace! Lo considero il classico esempio di instabilità artistica, abbia pazienza: è uno che affrontava un genere, falliva e passava a un altro genere. Come lo vogliamo chiamare, eh? Poi anni e anni tra un film e un altro, anni e anni di che cosa, eh? Di profondo imbarazzo per il film precedente". I fan di Boris non avranno dimenticato l'esilarante invettiva che lo pseudo-divo Stanis La Rochelle scagliava all'indirizzo di Stanley Kubrick, con delirante spirito iconoclasta, in una delle sequenze più note della serie TV.
Da un lato, i motivi della scelta del bersaglio del presuntuoso snobismo di Stanis non potrebbero essere più evidenti: Kubrick costituisce, ormai per tradizione, il paradigma del grande regista, del cineasta in grado di declinare il proprio lavoro come sublime forma d'arte. Ma nello sproloquio di Stanis si fa riferimento anche a uno dei tratti peculiari dell'autore newyorkese: il desiderio di cimentarsi con i generi più diversi, un desiderio che avrebbe segnato il carattere poliedrico della produzione di Kubrick. Dai noir a basso costo al kolossal storico, dal dramma bellico alla fantascienza, dalla commedia satirica all'horror, Stanley Kubrick non si è limitato a confrontarsi con diverse tipologie di racconto, ma ha operato in maniera ben più coraggiosa: su ciascun genere ha saputo imprimere il proprio marchio, talvolta sfruttandone - in maniera superba - le convenzioni, talaltra facendo a pezzi quelle stesse convenzioni per scrivere delle nuove regole.
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Il meraviglioso mistero di Kubrick
In tale prospettiva, sarebbe un'impresa titanica anche solo iniziare a riassumere il valore e l'importanza che la produzione di Kubrick ha rivestito per l'arte cinematografica nella seconda metà del Novecento, nonché la gigantesca influenza dei suoi film (in particolare quelli realizzati a partire dagli anni Sessanta) sul cinema coevo e successivo, o il loro impatto sull'immaginario popolare e culturale di ogni angolo del globo. Sempre pronto a lanciarsi in sfide inedite, a spingere ancora più avanti le potenzialità del linguaggio cinematografico, Stanley Kubrick è davvero il "grande mistero" che non offre facili soluzioni e che, a quasi vent'anni dalla sua scomparsa, non cessa di appassionare, stupire e far discutere gli spettatori, a prescindere dalla formazione o dall'età. E di questo non gli saremo mai abbastanza grati.
Oggi, in occasione dei novant'anni dalla nascita del regista (che ci ha lasciato il 7 marzo 1999), vogliamo provare a rievocare alcuni frammenti del suo smisurato talento attraverso cinque fotogrammi: cinque semplici immagini che semplici non sono affatto, ma attraverso le quali, al contrario, è possibile avere una percezione della forza vertiginosa racchiusa nel cinema di Kubrick... spesso anche in una singola, indimenticabile inquadratura.
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1. 2001: Odissea nello spazio
E sempre a proposito di mistero, uno dei maggiori punti interrogativi nella storia della settima arte risiede nella sezione conclusiva di 2001: Odissea nello spazio, pietra miliare che avrebbe totalmente rivoluzionato il genere della fantascienza. Attorno al significato di Giove e oltre l'infinito, quarto e ultimo atto del capolavoro kubrickiano datato 1968, si potrebbe dibattere in eterno, e già solo questo fotogramma è capace di suggerire il potere ipnotico di tale macrosequenza: il bianco innaturale della stanza; la bizzarra fusione fra l'eleganza neoclassica dell'ambiente, i mobili in stile Impero e gli elementi futuristici; la costruzione geometrica dell'inquadratura, con al centro, in un sapiente gioco di prospettive, il corpo dell'astronauta David Bowman (Keir Dullea) e il monolito nero già comparso nella prima sezione del film. Quello di 2001: Odissea nello spazio è un mistero filosofico raccontato interamente per immagini, tanto fascinose quanto impenetrabili.
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2. Arancia meccanica
Dall'epilogo di 2001: Odissea nello spazio al formidabile incipit che tre anni più tardi, nel 1971, avrebbe messo il pubblico di fronte a un'opera incatalogabile: fantascienza distopica, thriller, commedia satirica, farsa macabra... Arancia meccanica è tutto questo e molto altro ancora. L'adattamento del romanzo di Anthony Burgess si apre con una visione del Korova Milk Bar, il locale londinese in cui si riuniscono Alex DeLarge (Malcolm McDowell) e gli altri componenti del clan dei "drughi". E la costruzione della scena da parte di Kubrick è semplicemente magistrale: dal netto contrasto cromatico fra il bianco e il nero alle rare 'pennellate' di colore delle parrucche rosse, azzurre e viola; l'uso della profondità di campo, con Alex e i suoi drughi posti esattamente al centro del "punto di fuga"; la disposizione geometrica dei vari elementi - animati e inanimati - in campo. E soprattutto, l'immediata ambiguità che si instaura tra le figure umane e i manichini, prima fonte di inquietudine di un altro instant classic della filmografia di Kubrick.
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3. Barry Lyndon
Sarebbe un'impresa impossibile quantificare la meraviglia contenuta in un film quale Barry Lyndon, l'altro, monumentale capolavoro che Stanley Kubrick realizza nel 1975 sulla base del romanzo di William Makepeace Thackeray. In una pellicola di tre ore di durata in cui pressoché ogni inquadratura è assimilabile a un'opera d'arte, e in cui Kubrick e il direttore della fotografia John Alcott prendono come modello la pittura del diciottesimo secolo, ancora una volta è proprio dalle immagini che emerge il senso più profondo della parabola del giovane arrampicatore sociale Redmond Barry (Ryan O'Neal). In questo fotogramma, ad esempio, ricalcato sul modello dei dipinti di William Hogarth, Kubrick lascia trapelare non solo la passività e l'indolenza del suo meschino antieroe, ma l'atmosfera di decadenza di un'intera epoca avviata al crepuscolo: un mondo in cui, allo splendore formale degli arredi, fa da contraltare l'ambiguità morale di una società sempre più fragile e vacua. E dettagli apparentemente banali, dalle bottiglie alla sedia rovesciata, completano un 'quadro' quanto mai emblematico.
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4. Shining
È sorprendente pensare come, in uno degli horror più spaventosi e angoscianti che siano mai stati girati, l'immagine maggiormente iconica e, al tempo stesso, perturbante non comprenda, di per sé, alcun elemento orrorifico. Eppure, le due gemelle in grembiule bianco che si materializzano di fronte al piccolo Danny Torrance (Danny Lloyd), impegnato a scorrazzare con il suo triciclo lungo i desolati corridoi dell'Overlook Hotel, sono diventate uno degli 'spauracchi' di Shining, trasposizione del 1980 di uno dei primi e più famosi libri di Stephen King. Frutto di una sensazionale ripresa in steadicam, l'inquadratura in questione, una soggettiva dello sguardo di Danny, ci offre una raggelante manifestazione del surreale: dalla perfetta geometria della scena a quell'innaturale 'duplicazione' della figura umana, laddove un simbolo dell'innocenza infantile assume invece gli oscuri connotati di un'entità minacciosa che fissa dritto in faccia tanto Danny, quanto noi spettatori.
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5. Eyes Wide Shut
Il mistero, l'inquietudine, il perturbante che fa breccia nel "mondo reale", l'esistenza che spalanca le porte all'incubo: i tratti distintivi dell'horror del 1980 li ritroviamo, benché declinati in una chiave differente, anche nell'ultimo, straordinario lavoro della carriera di Stanley Kubrick: Eyes wide shut, approdato nelle sale nel 1999, pochi mesi dopo la morte del regista. E come nell'inquadratura tratta da Shining, pure questo fotogramma corrisponde alla soggettiva di un personaggio: il dottor Bill Harford (Tom Cruise), introdottosi clandestinamente nella villa in cui è riunito un consesso di uomini e donne mascherati, coinvolti in orge e in strani rituali. Ed ecco che, all'improvviso, Bill deve fronteggiare il pericolo su cui era stato appena ammonito: un semicerchio di figure nere e senza volto, quella galleria di maschere intente a fissarlo, e al centro, immerso in una luce purpurea, il trono dal quale un "uomo in rosso" si accinge a giudicarlo e condannarlo. In un film di genere difficilmente definibile, questa si imprime come una delle immagini più tenebrose e 'metafisiche', sospesa in una dimensione a metà strada fra la realtà e il sogno.
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