La nostalgia è una stoppata a canestro. Proprio quando stai per goderti la tua partita, ti ferma, ti blocca e ti fa guardare indietro. Impossibile non rievocare il potere dei ricordi nella nostra recensione di Space Jam New Legends, via di mezzo tra sequel e reboot di un piccolo grande cult che nel 1996 fece impazzire milioni di persone. Erano anni d'oro per il basket, o meglio per l'NBA (quasi uno sport a parte). Erano anni in cui "his airness" Michael Jordan dominava ovunque col suo talento cristallino: dentro il parquet e nello show business, lucente come una star. E soprattutto erano anni gloriosi per i Looney Tunes, con Bugs Bunny e soci ancora sulla cresta dell'onda. Tutte cose che non ci sono più. Quello che rimane è il mito di un film rimasto impresso nel cuore dei fan, legato a un'epoca spensierata svanita nel nulla. Quindi come si rinnova un mito che vive solo di ricordi? Senza crogiolarsi troppo nella nostalgia, ma sapendo che il pubblico non potrà mai dimenticare il passato. Questa è la risposta ambigua di Space Jam New Legends, film simile al capostipite nell'approccio ingenuo e nella semplicità della struttura narrativa, ma più ambizioso sul piano visivo, dove prova a mescolare più stili d'animazione.
La marmellata ha un sapore agrodolce, perché tutto Space Jam New Legends sembra vivere in bilico tra il desiderio di ammiccare a quel pubblico ormai cresciuto e la profonda voglia di essere sé stessi. Ovvero il tema portante di tutto il film.
Back in action
Il fischio di inizio segue le orme del passato. Proprio come nel primo Space Jam, si parte dall'infanzia del campione di turno, questa volta The King LeBron James, ovvero la cosa più vicina a quello che Michael Jordan era e rappresentava 25 anni fa. Quella di LeBron è un'infanzia non facile, vissuta in una famiglia povera e con la pressione di trovare nello sport un'ancora di salvezza. Dopo averne celebrato il mito sportivo, Space Jam New Legends ci mostra un LeBron severo, che sembra pretendere da suo figlio la stessa abnegazione e lo stesso sacrificio in nome del basket. Il giovane Dom, però, ha altri progetti. Anzi, altri programmi. Perché il piccolo James vuole creare videogame e non vivere all'ombra del padre. In questa frattura tra padre e figlio si insinuerà Al-G Ritmo, un malefico algoritmo che rapisce LeBron e Dom rinchiudendoli nel server-verso Warner, stracolmo di proprietà intellettuali e personaggi dell'immaginario pop. Tutti invitati a una partita di basket decisiva non per per LeBron, ma per le sorti dell'umanità.
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Primi due quarti: bene
Questo Space Jam parte mettendo subito le cose in chiaro: al centro della storia c'è un problematico rapporto padre-figlio da risolvere. Un presupposto classico, semplice (per alcuni persino banale), che manifesta le non certo alte pretese del film. Elementi che lo avvicinano molto al primo Space Jam, ma con una chiave di lettura in più. Nel 1996 eravamo davanti a un film per ragazzi. Oggi siamo davanti a un film rivolto a più persone: a quei vecchi bambini diventati genitori e ai loro figli. L'obiettivo è lampante: onesto intrattenimento per tutta la famiglia. Peccato solo che il pretesto che smuove la storia, ovvero la motivazione abbastanza sgangherata dell'antagonista, sia ancora più debole di quella del 1996, ma è una leggerezza che si potrebbe anche perdonare davanti alla promessa di sano divertimento per tutti. Un promessa che Space Jam New Legends mantiene a metà. Il film, infatti, sembra quasi rispecchiare l'andamento di un incontro di basket. I primi due quarti del match sono buoni, e sono quelli in cui l'animazione tradizionale mette in mostra i muscoli più di LeBron James. È una prima metà ispirata a livello estetico, con un tratto in 2D curatissimo, fondali ricchi di dettagli, ibridazioni con il linguaggio del fumetto e la capacità di giocare con le tipiche gag slapstick dei Looney Tunes. In questa prima parte animata Bugs Bunny prende le redini del film e diventa quasi la guida di LeBron nei mondi del fantastico. Quel mondo che lui stesso aveva sminuito agli occhi di suo figlio. Una sezione che funziona, diverte e soprattutto mostra un citazionismo riuscito, coerente con il carattere di altri Looney Tunes.
Anche perché ci sono due novità molto interessanti rispetto al vecchio film. Se nel 1996 erano i Looney Tunes ad avere bisogno di Michael Jordan, questa volta è LeBron a chiedere aiuto al mondo animato (metafora emblematica per un uomo che ha dovuto rinunciare all'intrattenimento per tutta la vita). E se il primo Space Jam idolatrava la figura perfetta di Jordan, questo New Legends ha il coraggio di mettere in discussione l'icona di LeBron James, non solo come padre (nel film), ma anche come emblema del mito del successo americano. Poi, però, arrivano i problemi. Poi arriva il fischio d'inizio.
Ultimi due quarti: male
Il grande paradosso di Space Jam New Legends è principalmente uno: il suo difetto più grande è proprio la partita di basket (che a dire il vero, basket non è). Quando il film cambia pelle, trasformando LeBron da cartoon a persona in carne e ossa e i Looney Tunes da personaggi in 2D a marionette in CGI, si perde nel suo stesso caos. Colpa di una regia caotica e confusionaria nel rendere davvero spettacolare l'azione messa in campo e di un citazionismo che di colpo si sgonfia, riducendosi a una marea di cosplayer (fatti male) di personaggi Warner che sbraitano e si dimenano sullo sfondo senza aggiungere nulla alla storia. Non aiuta anche l'antagonista senza spessore e troppo sopra le righe interpretato da un Don Cheadle davvero in difficoltà e una squadra di antagonisti (la Goon Squad) totalmente incapace di intimorire o affascinare con il suo character design piatto, lontano anni luce da quello ancora efficacissimo dei Monstars del 1996. Nella seconda parte, Space Jam New Legends trasforma Bugs Bunny, Lola Bunny, Duffy Duck e Titti in comprimari. Anzi, li riduce quasi a spettatori davvero troppo accessori. Però, quando torna a galla il cuore pulsante del film, Space Jam New Legends si fa perdonare, anche perché ha il merito di rivolgersi al pubblico in modo molto diretto. E lo fa ponendoci una domanda: ti sai ancora divertire?
Eredità, non leggende
Una domanda che riecheggia in sala e ci fa interrogare come spettatori. Siamo ancora in grado di divertirci abbandonandoci a un film leggero e spensierato? Oppure siamo diventati così smaliziati da pretendere sempre che ogni cosa ci meravigli e sorprenda? Guardare questo film ci ha ricordato una cosa: non è tanto cambiato Space Jam. Siamo cambiati noi. Purtroppo e per fortuna. Purtroppo perché forse prima alzavamo meno barriere e ci lanciavamo con più fiducia nelle storie semplici (d'altronde anche il primo Space Jam, come detto, era pieno di ingenuità e furbate commerciali). Per fortuna perché anche il mondo dell'intrattenimento è cambiato, e il pubblico con lui, diventando meno passivo e più esigente. Ecco, con quel suo titolo originale (Space Jam: New Legacy) da noi totalmente stravolto, il film riflette sul concetto di eredità. È l'eredità dei padri ingombranti sul destino dei figli, è l'eredità delle passioni trasmesse non solo da padre in figlio ma anche di figlio in padre, ed è l'eredità di Space Jam stesso sul mondo di oggi. Cosa è rimasto di quel vecchio mito? Solo un bel ricordo ormai sbiadito. Eppure, in mezzo al vortice caotico di un mondo digitalizzato, confuso, esigente e impaziente, emergono due domande: "Che succede, amico? Ti sai ancora divertire?".
Conclusioni
Dopo le notizie poco confortanti arrivate dall’America, temevamo il peggio. Invece, nella nostra recensione di Space Jam: New Legends abbiamo trovato che questo sequel/reboot dello storico cult del 1996 non sia tutto da buttare, anzi. Si tratta di un film che prova a fare qualcosa di nuovo, senza farsi bastare ammiccamenti nostalgici. Nel farlo, prima intrattiene e diverte con una prima parte impreziosita da una buona animazione tradizionale, poi si perde dentro un caotico pasticcio in cui CGI e live action stridono tutto il tempo. Peccato, perché al centro del film c’è una morale classica ma sempre significativa, assieme al desiderio di ragionare sul valore perduto del divertimento.
Perché ci piace
- La voglia di instaurare un dialogo con lo spettatore, ragionando sul concetto di eredità e di divertimento per le vecchie e le nuove generazioni.
- La prima parte in animazione tradizionale funziona e diverte in modo sincero.
- Alcune citazioni sono davvero riuscite.
Cosa non va
- Purtroppo la seconda parte del film, quella in CGI, è caotica e pasticciata.
- L'antagonista è davvero fuori tempo massimo nelle motivazioni e negli atteggiamenti.
- Il citazionismo, a un certo punto, diventa un orpello fine a sé stesso.