Recensione Suspect Zero (2004)

Un film adulto, robusto, a suo modo anomalo, in grado di liberare lo spettatore dalla frustrante e costante sensazione del déjà-vu e dall'ozioso gioco della ricerca del killer.

Sospetto di talento

Cosa hanno in comune una serie di violentissimi crimini? La solita squilibrata mente di un maniaco o il lucido piano di un uomo esausto dalla sua esistenza? E cosa significano tutti quei cadaveri senza palpebre? A queste e a molte altre domande dovrà rispondere l'agente FBI Thomas Mackelway (Aaron Eckhart), un agente profondamente turbato da un passato burrascoso, trasferito nella sperduta Albuquerque dopo essersi macchiato di un arresto poco ortodosso. Appena giunto alla nuova sede è messo di fronte all'inquietante caso e ben presto sarà pericolosamente inserito nella vicenda, fino a diventarne ossessionato e parte in causa. Al suo fianco l'agente Fran Kulok (una Carrie-Anne Moss alla ricerca del suo futuro cinematografico post-Matrix), dapprima titubante sulle supposizioni del collega e ex-marito, poi sempre più preoccupata dalla sue condizioni psichiche, fino a...

Nonostante una storia che ricorda decine di altri titoli, e probabilmente un basso livello di appeal mediatico, sarebbe grave liquidare Suspect Zero nel novero degli usuali e stucchevoli serial killer movies, costruiti sulla fascinazione del male e sul confronto poliziotto-killer, che imperversano e che non osano mai una virgola.
E. Elias Merhige, già ottimo regista di L'ombra del vampiro, dirige un thriller maligno dalle tematiche e dalla struttura convenzionale, ma non per questo sgradevole, anzi. L'elemento di maggiore interesse è il lavoro di sottrazione costante che viene fatto al genere, specie nella gestione dei momenti topici e delle trovate sceniche più caratterizzanti. Supect Zero, invece di piazzare l'usuale picco narrativo ogni cinque minuti e un'esagerato numero di ruffianerie, prende la strada della sobrietà e del rigore narrativo e mostra di padroneggiare molto bene la tensione, nonché di sapere modulare adeguatamente il registro stilistico rispetto alle macabre tematiche trattate.

Il valore di questa scelta permette che sia per una volta la regia (e si badi bene che ciò non avviene così frequentemente, visto che non stiamo palando di tecnica ma di scelte formali) a dovere fornire l'anima al film, attraverso una messa in scena pensata e giustificata, mai gratuita. Fondali cupi, scenografie spoglie, repentini cambi focali e filtri molto evidenti sono gli strumenti più immediatamente visibili. E' tramite queste scelte che veniamo catapultati in convincenti atmosfere oniriche ed opprimenti, fondamentali per simboleggiare l'aspetto più metafisico del plot.

Moderazione e robustezza appaiono quindi come i tratti distintivi della pellicola, finendo per caratterizzare, fortunatamente, anche le interpretazioni del cast. Quello che ne esce è un film adulto (non immaginatevi qualcosa sullo stile di Saw - L'enigmista per intenderci) a suo modo anomalo, a tratti perfino sgrammaticato, in altri momenti apparentemente poco convinto, ma allo stesso tempo in grado di liberare lo spettatore dalla frustrante e costante sensazione del déjà-vu e dall'ozioso gioco della ricerca del killer, un gioco che ormai tutto il pubblico padroneggia fin troppo bene. E in questo gioco chiamato cinema, ci piace pensare che il direttore di quest'ultima (temporalmente) incursione tra i numerosissimi precedenti, si sia ispirato in particolar modo a Manhunter - Frammenti di un omicidio, un film la cui eredità si dimostra sempre più evidente nel cinema contemporaneo.