Quarta regia per il comico e commediografo partenopeo Eduardo Tartaglia che in Sono un pirata, sono un signore, in uscita il prossimo 18 aprile in circa ottanta copie, grazie a AI Entertainment, racconta la storia di due coppie rapite da un gruppo di pirati al largo delle coste africane. Vittime di questa disavventura tutta da ridere, un professore universitario e la sua assistente, studiosi di biologia marina, un marittimo napoletano ed una parrucchiera interpretati rispettivamente Francesco Pannofino, Giorgia Surina, lo stesso Eduardo Tartaglia e Veronica Mazza. Da segnalare anche la presenza di Maurizio Mattioli ed Ernesto Mahieux, ansiosi familiari degli ostaggi. Li abbiamo incontrati a Roma e ci siamo fatti raccontare qualche dettaglio in più di questa commedia, girata per la maggior parte a Cuba. Classe 1964, nato a San Giorgio a Cremano come uno dei vati della nuova comicità partenopea, Massimo Troisi, Tartaglia si mette alla prova con un progetto nuovo di zecca, ma estremamente personale.
Eduardo, sei alla quarta regia e ancora una volta il film ti rappresenta in tutto e per tutto... Eduardo Tartaglia: Certo, ma anche quando leggete che un film è scritto, diretto e interpretato da, non dovete dimenticare che si tratta di uno sforzo collettivo e mai come in questo caso possiamo parlare di sacrificio. E' stato possibile realizzare il film solo grazie al talento e alla passione profusi da tutti con grande generosità. Le responsabilità maggiori però sono le mie, quindi se volete picchiare, picchiate me.
Perché hai pensato proprio ai pirati, cosa ti ha colpito di questo immaginario?Lungi da me l'idea di voler cavalcare l'onda di recenti fatti di cronaca, non mi piacciono gli instant movie, però non posso non subire le suggestioni di quello che accade attorno a me. Curiosamente nella mia carriera sono sempre riuscito ad anticipare alcuni temi; ho parlato delle multinazionali di pace prima dell'Iraq, nel 2003 ho affrontato i casi delle mozzarelle adulterate, dell'inquinamento del territorio, di utero in affitto e del fenomeno dei pentiti di camorra.
Nel caso specifico, cosa ti ha ispirato?
Anni fa avevo visto l'intervista alla famiglia di un marittimo di Napoli, rapito in Africa nelle stesse circostanze che vedete nel film e la cosa mi aveva incuriosito, soprattutto perché il giornalista stava letteralmente tormentando quel poveretto, una persona che non era di certo esperto di diritto internazionale. Ad un certo punto l'intervistato, sfinito, se ne uscì con un torna, 'sta casa aspetta a te. Ecco, più che il caso di cronaca mi è rimato nella memoria quel conflitto emotivo e mi interessava raccontarlo con una prospettiva comica.
Catello, il tuo personaggio, si diverte a porre interrogativi assurdi al suo compagno d'avventura. Cosa sceglieresti tra il teatro e il cinema?
Il teatro è casa mia, ma non posso più nascondermi, sono al quarto film; il cinema non più una parentesi fortunata. Credo che la mia esperienza teatrale si percepisca dal modo in cui scrivo e recito, ma oggi lo ritengo una caratteristica in più e non un limite o una colpa da emendare. In più questo è un film originale, che non è stato tratto da alcuna pièce teatrale. Detto questo, sto ancora imparando a raccontare le storie per il cinema.
Hai paura di rimanere circoscritto solo nell'ambito locale?
Il mio ultimo film, La valigia sul letto, è stato apprezzato non solo a Napoli, ma in tutta la Campania, è un vero cult. La gente mi ferma per strada e mi dice quante volte lo ha visto, per questo dico che essere diventato componente di questa grande famiglia, quella dei personaggi a cui i napoletani vogliono bene è bellissimo. Adesso spero di fare qualche punto in più fuori Napoli e in questo senso, l'arte di Giorgia, Maurizio e Francesco servirà.
Maurizio Mattioli: Vi sembrerà retorica, ma vi prego di credermi, fa bene al film quando c'è il piacere di lavorare in un luogo che non è casa tua, in questo caso Cuba, con delle persone che non hai scelto e con le quali vai d'accordo, senza alcuno screzio. E questo ha influito sulla riuscita del film che io considero una favola. Una di quelle belle favole che un bambino ama sentirsi raccontare.
Giorgia Surina: La storia è semplice, ma è fatta di personaggi veri e autentici, reali, non sono macchiette. La situazione mostrata è più o meno verosimile, ma in fondo raccontiamo con leggerezza la vita di quelle persone che tutti i giorni trasformano un episodio difficile in qualcosa d'altro.
Veronica Mazza: Io sono un'attrice napoletana, sono figlia di una tradizione di grande ricchezza e lo rivendico con orgoglio. Ho voluto rendere autentica Stefania, una donna che è in guerra con il mondo, che nasconde delle paure dietro al rapporto con il padre anziano e che riesce a trovare pace lontano da un Occidente movimentato. Lei reagisce alla crisi in maniera colorata, e questo è stato chiaramente voluto e studiato assieme alla regia. Il film è l'elogio della lentezza. Confesso però che a Cuba mi sono divertita proprio poco, ho preso una bronchite e non credo che ci tornerò più.