"Un simbolico matrimonio con l'umanità": è quello metaforicamente celebrato da Pippa Bacca e Silvia Moro, che stanche, spettinate e con la malinconia di chi si lascia dietro la baldoria della festa, l'8 marzo del 2008 partono da Milano alla volta di Gerusalemme: davanti hanno seimila chilometri da percorrere in autostop attraverso alcune zone di guerra del Mediterraneo, indosso hanno solo un abito da sposa. Iniziava così dodici anni fa la storia della 'pasionaria' in abito bianco stuprata e uccisa alle porte di Istanbul dopo ventitré giorni di cammino; oggi quell'avventura squisitamente artistica e umana prima di diventare un fatto di cronaca nera, rivive in un film in sala dal 5 marzo. Lo firma Simone Manetti che (come leggerete ampiamente nella recensione di Sono innamorato di Pippa Bacca) ancora una volta dopo l'esordio con Ciao amore, vado a combattere, sceglie il linguaggio del documentario e mette la femminilità al centro del racconto: se lì toccava alla ex modella e boxer Chantal Ughi incarnare un modello femminile di resilienza, qui invece è la performance di Pippa Bacca a diventarne simbolo.
Il racconto tra filmati inediti e surrealismo
Sono innamorato di Pippa Bacca è la storia di quel cammino di pace raccontato tramite differenti linee narrative che si intrecciano, si rincorrono e si completano: da un lato il materiale di repertorio con i video amatoriali realizzati dalle due 'spose', dall'altro le interviste alla mamma, alle quattro sorelle di Pippa Bacca, e alla compagna di viaggio Silvia.
Prezioso il lavoro sull'archivio caratterizzato anche da spezzoni inediti che contribuiscono a una ridefinizione dell'immagine di Pippa: per un'ora e mezza il corpo della protagonista smette di essere quello straziato e violato della cronaca nazionale per riappropriarsi di una dimensione più intima e del valore artistico a monte di tutto il progetto "Brides on tour", nato dalla convinzione che tornare per le strade serva a riconnettersi all'altro.
Una strenua e caparbia fiducia nel prossimo: ecco cosa aveva guidato Pippa Bacca fino a lì, fino all'idea di poter essere un puntino capace di collegare con il proprio cammino undici paesi piegati dalla guerra (Slovenia, Croazia, Bosnia, Bulgaria, Turchia, Siria, Libano, Giordania, Cisgiordania, Israele), tanti quanti erano i veli di cui era fatto il suo abito da sposa.
I tacchi alti e scomodi, lo strascico che balla sull'asfalto, i veli simili ai petali di giglio, la mantellina che avrebbe usato per asciugare i piedi alle ostetriche, simbolo di vita anche in mezzo alla miseria: sono spesso loro gli inconsapevoli protagonisti delle inquadrature sbilenche, distorte e infinitamente reali. Simone Manetti ha l'intuito di lasciarli parlare e far sì che insieme alle voci delle persone intervistate o alle immagini dei luoghi che la macchina da presa ripercorre, diventino la traccia principale della narrazione. Ne viene fuori un ritratto autentico, di straordinaria poesia e grazia, lontano dalla semplice agiografia.
Il regista ha la sensibilità di restare un passo indietro, lo sguardo schivo di chi cede il passo alle voci e ai ricordi di chi l'ha conosciuta, alle figure di donne e uomini (camionisti, ostetriche, artiste) incontrati durante il pellegrinaggio attraverso i Balcani.
Pippa Bacca: la forza anarchica della femminilità
È un racconto declinato interamente al femminile, che restituisce il profondo significato di quell'atto artistico: un gesto audace, profondamente rivoluzionario e ingenuo nella convinzione di dimostrare che due donne sole sarebbero potute arrivare in autostop da Milano a Tel-Aviv, facendo solo affidamento su se stesse e sull'altro.
Pippa Bacca era cresciuta così, un'infanzia trascorsa con tante donne come ricordano le sorelle nella discrezione di memorie lontane. Merito di mamma Elena, che le ha allevate vagabonde e selvagge, facendogli sperimentare viaggi avventurosi già da piccole a bordo di uno scalcinato furgoncino colorato, che avevano rinominato Arlecchino, e insegnandogli "che le donne se la possono cavare benissimo anche da sole". "Fu la base dell'educazione di noi tutte", dicono.
Una femminilità che sopravvive nelle memorie dei filmati amatoriali e la cui forza anarchica supera i confini del tempo, resistendo alle immagini che aprono e chiudono il film: quelle di due sposi al loro matrimonio, girate dall'assassino con la videocamera della vittima. In quasi un'ora e mezza di racconto Pippa Bacca diventa un personaggio surreale, buffo e infine tragico e la sua presenza sarà palpabile dall'inizio alla fine del film: si avverte nei movimenti più impercettibili, nel rumore dei passi, nei veli che strusciano su chilometri e chilometri di strada, nel silenzio di una figura "fragile e maldestra" che sul ciglio di una sterrato di campagna aspetta il prossimo passaggio.
Conclusioni
Concludiamo la recensione di Sono innamorato di Pippa Bacca con la convinzione di trovarci davanti a un autore che saprà regalarci ancora storie straordinarie. La cura dei dettagli e il rigore del linguaggio scelto per la narrazione di una storia su cui tanto si era già detto, confermano un talento che in molti avevano già avuto modo di apprezzare in Ciao amore, vado a combattere. Degna di nota l'attenzione al racconto di una femminilità sempre anticonformista e anarchica.
Perché ci piace
- Per l'autenticità e la grazia con cui il regista riesce a ricostruire la vicenda di Pippa Bacca restituendole il valore artistico e umano che le appartiene al di là della cronaca.
- Le diverse linee narrative si completano: il lavoro sulle interviste e sui video amatoriali girati dalle due protagoniste è sempre rigoroso e equilibrato.
- Per la capacità di rimanere lontano dal ritratto agiografico e da un ricattatorio santino post mortem.
Cosa non va
- Non adatta per un pubblico abituato a una narrazione convenzionale o banalmente incensante.