La recensione di Songbird, film fantascientifico americano che arriva nelle sale italiane dopo essere uscito in VOD in patria alla fine del 2020 (chi scrive l'ha visto su Amazon Prime Video in Austria), comporta anche una riflessione su quanto sia etico portare sullo schermo una tragedia, ancora molto attuale, quale la pandemia di COVID-19 (il film è stato la prima produzione statunitense a essere girata dopo il lockdown), ai fini di trasformare un dramma globale in prodotto di intrattenimento. Un dubbio simile si è posto in ambito italico quando Enrico Vanzina, più o meno nello stesso periodo, ha tratto una commedia dai concetti di zona rossa e DPCM, difendendosi dalle accuse di aver lucrato sulla crisi sanitaria (difatti il suo film in tal senso è perfettamente inoffensivo). Difesa che difficilmente si può applicare a questa nuova produzione di Michael Bay (intervenuto anche, non accreditato, come regista per le parti action), che oltre a non pochi difetti estetici è anche penalizzata da una premessa indubbiamente di cattivo gusto.
Pandemia e Giulietta
Songbird è ambientato nel 2024, e immagina un mondo dove la pandemia è tuttora in corso, a causa di una mutazione del virus nota come COVID-23. Sul suolo statunitense, questa situazione è particolarmente grave: per uscire di casa è necessario effettuare il controllo della temperatura corporea con il telefono, e chi è affetto dalla malattia viene rimosso con la forza dalla propria abitazione e mandato nelle cosiddette Zone Q, veri e propri campi di concentramento dove ci sono solo due alternative: guarire o morire. Nico Price (K.J. Apa) è immune poiché ha già contratto il virus in precedenza, ed è quindi usato per effettuare consegne a domicilio presso clienti benestanti a Los Angeles. Nico ha una relazione a distanza con Sara Garcia (Sofia Carson), giovane artista che vive con la nonna ma senza interagire fisicamente con lei, a causa delle misure di sicurezza. Nico e Sara vorrebbero incontrarsi di persona, ma le cose si complicano quando il palazzo in cui vive lei comincia a diventare un focolaio e attira l'attenzione di Emmett Harland (Peter Stormare), responsabile delle "pulizie", ossia la rimozione degli infetti.
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Produzione irresponsabile
La lavorazione del film è stata segnata da una piccola controversia, poiché inizialmente il sindacato degli attori aveva richiesto che i propri membri boicottassero le offerte di recitare nel film a causa di protocolli di sicurezza poco chiari, per poi fare dietrofront una volta appurato che sarebbero state prese tutte le precauzioni necessarie (troupe ridotta al minimo, distanziamento sociale, attori tenuti separati fuori dal set con tanto di prove a distanza). Precauzioni in parte agevolate dalla natura del progetto stesso, con pochi attori principali, quasi mai presenti in più di due alla volta, e l'uso di veri luoghi losangelini spogli di passanti a causa delle misure restrittive in vigore ai tempi. Ed è questa sovrapposizione tra vero e finto a rendere quantomeno discutibile l'idea di base del lungometraggio, dato il contesto sociopolitico in cui è stato realizzato: il regista e co-sceneggiatore Adam Mason, forse anche per motivi di budget, non fa particolari sforzi per separare la sua Los Angeles fittizia da quella reale, con la conseguenza - involontaria, ma ampiamente prevedibile - che chi è propenso a complottismi (e nel caso della pandemia ha contribuito anche chi era al potere fino allo scorso novembre) potrebbe facilmente scambiare la premessa fantascientifica per un racconto plausibile basato su eventi veri tenuti nascosti, in perfetto stile "Non cielo dicono!".
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A questo si aggiunge il problema, più sostanzioso, della piattezza generale dell'operazione, che prende un argomento delicato e lo declina nella maniera più banale possibile, dando l'impressione di un instant movie talmente raffazzonato che al confronto il nostro Lockdown all'italiana sembra un Monicelli degli anni d'oro: siamo in zona di fantascienza, ma con lo spazio concesso alla storia d'amore e ad altri rapporti umani (vedi la crisi coniugale tra gli svogliatissimi Bradley Whitford e Demi Moore) viene da chiedersi che senso avesse immaginare un futuro prossimo che ai fini della trama principale è quasi irrilevante. Solo in pochi momenti si intravede quello che forse gli autori avevano in mente, tramite la performance sgangherata di Peter Stormare che ritrova (anche se non in cabina di regia) Michael Bay a quasi dieci anni dall'ultima collaborazione (Pain & Gain - Muscoli e Denaro) e ci ricorda perché è uno dei migliori cattivi sulla piazza. Ma è una quantità infima di pepe in un piatto irrimediabilmente insipido, paradossalmente finito nelle nostre sale pur essendo, nel migliore dei casi, qualcosa con cui ammazzare il tempo su una piattaforma se proprio non si ha di meglio da fare.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Songbird, sottolineando quanto si tratti di un esanime instant movie che trasforma la pandemia in fiacco thriller distopico, girato in condizioni talmente ridotte che anche l'eventuale fascino morboso da distopia virale ne risulta pesantemente annacquato.
Perché ci piace
- Peter Stormare è strepitoso.
Cosa non va
- La premessa è eticamente discutibile e cinematograficamente eseguita male.
- Gli attori sono quasi tutti svogliati.
- L'impianto action è quasi inesistente.