Proviamo un misto di sensazioni contrastanti nello scrivere la recensione di Social Distance, la nuova serie antologica a episodi di Netflix pensata e girata interamente a distanza durante il lockdown, disponibile dal 15 ottobre sulla piattaforma. Un mix emotivo ma non perché la serie sia indelicata, anzi è molto rispettosa nel trattare tanti punti di vista di una pandemia che tuttora fa capolino nelle nostre case e nel nostro quotidiano, con conseguenze inimmaginabili fino a qualche mese fa.
LA NUOVA NORMALITÀ
Social Distance è una serie che entra in punta di piedi e che ci racconta la "nuova normalità" che stiamo tuttora vivendo e che è stata ancor più difficile durante il lockdown, e che in paesi come gli Stati Uniti è tutt'altro che passata. Nel periodo da marzo a maggio vediamo in ogni episodio piccole grandi storie che raccontano un differente aspetto di ciò che abbiamo dovuto tutti affrontare, come persone e come comunità. Si passa da un funerale a distanza, poiché non era possibile salutare i propri cari di persona, al rapporto madre-figlia attraverso quello di un'infermiera personale e della sua paziente; dal barbiere ex alcolista rimasto senza lavoro e senza fidanzata alla coppia gay che risente dell'essere a stretto contatto tutto il giorno in casa; dal padre che deve tenere lontano il figlio dalla moglie malata in casa, che non vuole andare in ospedale, alla coppia di pensionati che finalmente potrebbero godersi la vita ma sono tra le fasce d'età più a rischio; dalla prima cotta adolescenziale a distanza attraverso un gioco virtuale, fino all'altro dramma che ha colpito gli Usa in questi mesi bui, ovvero la morte di George Floyd e il movimento Black Lives Matter, quindi il pregiudizio razziale della polizia e le manifestazioni di protesta nelle strade.
La regia sfrutta bene la tecnologia per mostrare il punto di vista del racconto, utilizzando tutte le possibili app e simili, non limitandosi a un solo episodio come aveva fatto quell'esperimento riuscito di Modern Family nel 2015 o un episodio della più recente All Rise con un processo virtuale a distanza. Tanti i nomi che si sono "prestati" a raccontare queste storie, come Mike Colter (Luke Cage), Dylan Baker (The Good Wife), Brian Jordan Alvarez (il marito di Jack nel revival di Will & Grace), Oscar Nunez (The Office), Miguel Sandoval. In questa giostra episodica ci sono puntate che potranno colpire di più e altre meno - come ad esempio accadeva con Modern Love di Amazon Prime Video - ma nel complesso a unire le varie trame è lo stesso spirito equilibrato e il messaggio di speranza di fondo che ne emerge.
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SCONTRI GENERAZIONALI
Tutte le fasce d'età vengono raccontate in Social Distance, dai bambini agli adolescenti, dagli adulti fino agli anziani, perché la pandemia ha colpito tutti in modi diversi, uguali e opposti, complementari. Le generazioni si confrontano su come ognuno ha reagito al lockdown imprevisto e ne emergono riflessioni che riguardano ognuno di noi, nel nostro piccolo, nella nostra quotidianità, nei nostri rapporti interpersonali. Proprio la mancanza di contatto fisico che tanto è pesata a molti viene qui ben messa in scena, senza essere stucchevole, e risultando al contrario estremamente vera ed emotiva. La serie dà anche particolare rilievo alle "minoranze", sfociando nella terribile storia di George Floyd, trattando anch'essa con tatto e mostrando i molteplici punti di vista della reazione delle persone di colore alla tragedia.
Il serial antologico prodotto da quella Jenji Kohan che per Netflix ha creato Orange is the New Black (e che da quello show si porta un'interprete versatile come Danielle Brooks) si conferma molto umano, dolce, emozionante. Tocca le corde giuste senza essere troppo zuccheroso e allo stesso tempo nemmeno troppo "clinico". Non sciorina dati o percentuali ma rapporti, sentimenti, confronti da cui emerge il resto. È un interessante esperimento di narrativa seriale che sicuramente più di altri sa catturare il vissuto giornaliero di ognuno di noi.
Conclusioni
Chiudiamo questa recensione di Social Distance sentendoci particolarmente soddisfatti per come la serie abbia saputo vincere la sfida dell’aver ideato e girato in tempi non sospetti un’antologia che raccontasse il nostro recentissimo presente. Ci sentiamo a fine visione tutt’altro che distanti dalle storie raccontate, che riescono ad arrivare al cuore dello spettatore con il giusto equilibrio di fatti, finzione, dolcezza, commozione, riso. Quello che emerge è soprattutto una grande umanità, che è ciò di cui abbiamo tutti più bisogno in questo difficile momento.
Perché ci piace
- Il tatto e la dolcezza, senza essere stucchevoli, di come vengono trattati la pandemia e il lockdown, con un messaggio di fondo di speranza.
- Il cast variegato e azzeccato nelle varie parti, spesso diverse da ciò che gli attori hanno interpretato finora.
- La regia che sfrutta al meglio la tecnologia messa a disposizione per tenersi in contatto.
Cosa non va
- La serie potrebbe comunque colpire la sensibilità di alcuni per alcune raccontate in particolare, è un fattore estremamente soggettivo e personale.