Cosa accade quando un regista premio Oscar entra nell'avventuroso e strutturato mondo di James Bond? Il quesito dovrebbe essere rivolto a Sam Mendes che, dopo essere arrivato alla ribalta con un cinema costruito sulle forti emozioni, cede al richiamo di un personaggio d'azione diventato più forte dei registi che, nel corso degli anni, hanno provato a raccontarlo. A spingere l'autore di American Beauty a entrare negli storici Pinewood Studios e a posizionarsi dietro la macchina da presa è stato lo stesso Daniel Craig che, durante una festa organizzata in casa di Hugh Jackman, ha cercato di far leva su un'amicizia risalente a Era mio padre per indurre in tentazione Mendes.
Un tentativo ben riuscito che, non senza molte difficoltà economiche, si è trasformato in Skyfall, ventitreesima avventura spionistica dell'invincibile agente 007. Questa volta a essere messa gravemente in pericolo è l'esistenza stessa dell'MI6 e la credibilità di M, chiamata a rispondere di alcune preoccupanti fughe di notizie. Per salvare la reputazione del suo mentore e l'esistenza dell'agenzia, Bond deve affrontare il criminale Raoul Silva che metterà a dura prova la sua fedeltà proprio nei confronti di M. A prima vista l'intreccio sembra riprodurre fedelmente i canoni di uno stile rimodulato da mezzo secolo, ma, c'è da scommetterci che Mendes non sia rimasto certo a guardare, cercando questa volta di mescolare e non agitare gli elementi riconoscibili del suo stile narrativo con la natura spettacolare di un personaggio con licenza di uccidere.
Il suo film e stato definito il miglior Bond di sempre. Come ci si sente a ottenere questi commenti così positivi come regista e, soprattutto, come fan accanito della saga? Sam Mendes: Ci si sente alla grande e sono molto felice di questo, anche se è ancora tutto un po' irreale per me. Da due giorni ho terminato di lavorare su un altro set e solo da quel momento ho cominciato a leggere le recensioni di Skyfall in contemporanea con l'attività di promozione. Non ho avuto quindi l'occasione di crearmi una prospettiva esterna su questo film. Ovviamente sono soddisfatto all'idea che il pubblico e la stampa reagiscano positivamente al mio lavoro.
Crede che ci volesse il tocco di un grande autore europeo come lei per fare di 007 un film così straordinario e sorprendente?Ho cercato di approcciare questa storia rendendola il più personale possibile. Per fare questo con gli sceneggiatori all'inizio abbiamo quasi finto che non ci fossero l'azione, le bond girl o le location glamourous cui eravamo abituati. A quel punto abbiamo capito che volevamo raccontare una vicenda in cui Bond fosse spinto verso nuovi luoghi, obbligato a esplorare nuovamente i rapporti del suo passato. La grande sfida, inoltre, era rappresentata dalla sua età che coincideva con la presa di coscienza di un'evidente debolezza e fallibilità. Questo è il centro del film e solo dopo averlo individuato, abbiamo inserito nuovamente gli elementi classici della saga. Però tutto questo poteva essere raccontato solamente attraverso un attore capace di sembrare stanco, forte e allo stesso tempo vulnerabile. In questo senso Skyfall è proprio il film di Daniel e credo che la sua performance sia stata meravigliosa. A volte quando si guarda un film di Bond è facile essere attratti da tutto ciò che accade intorno al protagonista, mentre la prova di Craig non concede distrazioni al pubblico e si pone al centro dell'intero film.
A Craig si oppone un grande contendente rappresentato da Javier Bardem che, nella rappresentazione di Silva mostra ancora una volta le sue doti di trasformista. Infatti, come era stato per Non è un paese per vecchi, il suo personaggio è caratterizzato da elementi estetici determinanti nel rappresentare proprio la sua natura interiore. Come avete costruito questa sorta di uomo mutante?
C'è una grande differenza rispetto al personaggio che interpreta nel film dei Coen. Lì non parla affatto ed è una forza della natura devastante, mentre in Skyfall è molto più verbale. Io volevo che mettesse in luce un lato un po' comico ed è incredibile vedere come un personaggio del calibro di Bardem sia riuscito a dare forma a quest'aspetto fondendolo con la tradizione britannica. Inoltre desideravo che apparisse volontariamente falso, visto che Silva nel corso degli anni cambia nome e aspetto. La grande sfida, comunque, è stata analizzare la ricostruzione di un essere umano definitivamente sconfitto e caduto a pezzi.
Credetemi, girare scene d'azione è piuttosto noioso. In realtà si devono ottenere tante mini sequenze da assemblare poi in montaggio per dare vita ad un movimento fluido. Quindi le riprese sono tendenzialmente lente e le giornate di lavoro incredibilmente lunghe. L'unico elemento da tenere sempre presente è la vivacità della propria immaginazione sostenuta da un sano spirito critico. Bisogna continuare a chiedersi se quello che abbiamo ottenuto è esattamente ciò che vogliamo vedere nel nostro film e, se la risposta è negativa, avere il coraggio di eliminarlo. E' una sorta di esercizio basato sulla volontà attiva.
L'idea di partire dalle radici per poi direzionarsi verso il futuro, oltre ad essere funzionale allo sviluppo alla saga, sembra rappresentare un punto centrale della sua cinematografia visto che lo abbiamo già incontrato in un film molto diverso da 007 come American Life...
Quando inizio a lavorare su un nuovo film, cerco sempre di affrontarlo in modo diverso evitando, per lo più, storie troppo difficili e personali per me. Inutile dire che fallisco sempre nel mio tentativo, come è accaduto questa volta. Io credo, però, che per un regista e in modo particolare per me sia importante scendere sempre ad un livello subconscio dove si nascondono gli spunti più significativi. Ad esempio nei miei lavori c'è sempre qualcuno che si perde per poi ritrovarsi. Nel caso specifico di Skyfall abbiamo Bond che, dopo essersi occultato, torna a ricoprire il proprio ruolo. Nel suo stato d'animo, in particolare, c'è un parallelo tra ciò che accade lì e la mia storia personale. Ad esempio lui è nervoso perché il mondo a cui torna è profondamente cambiato e la stessa cosa è accaduta a me quando sono tornato in Inghilterra dopo molti anni di assenza. Non è mai facile dover accettare il cambiamento, ma dobbiamo affrontare la realtà che nessuno è imbattibile e che molte realtà sono destinate a finire.
Assolutamente no, piuttosto ho avvertito la forte aspettativa che si crea sempre aspettando un nuovo capitolo di 007. A quel punto il lavoro del regista è di tenere fuori tutti i pareri esterni e di crearsi un luogo di tranquillità emotiva. Personalmente ho trovato il mio nella storica Aston Martin di Sean Connery riportata sul set. Credo di non essermi mai divertito tanto ed ho faticato non poco a tenere a bada l'entusiasmo del dodicenne che è in me.