Il tuffo nell'universo della fiction, per Bruno Oliviero, è un salto nel 'buio' inteso come noir. Una Milano nerissima, automatizzata e criminale è lo sfondo su cui si muove il commissario Monaco, un ruolo inedito per Silvio Orlando che mette da parte l'allure tragicomico che lo caratterizza per confrontarsi con un modello più americano, il poliziotto taciturno e introverso, il veterano tutto d'un pezzo che soffre la recente perdita della moglie chiudendosi in se stesso. Al suo fianco troviamo un poliziotto giovane ed empatico interpretato da Giuseppe Battiston e una figlia ribelle che ha il volto pulito dell'esordiente Alice Raffaelli. Un film che mescola le carte in tavole accostando regole della detective story a una particolare attenzione ai personaggi tipica di una sensibilità autoriale. Oliviero, esordiente di lusso, ha conquistato l'onore della Piazza Grande di Locarno dove il film viene presentato in prima mondiale. Lo accompagnano Orlando, Battiston, la giovane Alice Raffaelli e il compositore delle musiche Michael Stevens, collaboratore abituale di Clint Eastwood.
Come è nata l'esigenza di realizzare La variabile umana?
Bruno Oliviero: Dopo 15 anni di documentari sentivo la necessità di affrontare temi che andassero a toccare l'animo umano nel profondo, cosa che mi ero ripromesso non fare nei documentari visto che va contro la mia etica. Con la finzione viene voglia di cercare una propria strada facendo esperimenti. L'idea di girare un giallo è venuta in modo naturale, così come la volontà di concentrarmi su una storia umana.
Bruno Oliviero: Milano è la metafora della figlia del commissario Monaco. Scoprendo la città, il commissario conosce pian piano la figlia che, da adolescente, sta diventando donna. La scelta di Milano è stata ponderata e abbiamo cercato di esserte molto precisi mostrandone varie realtà senza manipolazioni.
E ora con questo film sei arrivato a Locarno.
Bruno Oliviero: Ero già stato a Locarno in concorso con un documentario sulle elezioni di Pisapia che sembrava fosse sul punto di cambiare l'Italia, ma alla fine, come possiamo vedere, è tutto precipitato.
Ne La variabile umana, oltre a una particolare attenzione ai personaggi, si percepisce un lavoro sul corpo dell'attore inedito. Ve ne siete accorti anche voi sul set?
Bruno Oliviero: Il personaggio di Silvio è uno dei più interessati da questo discorso. Il commissario Monaco parte da una immobilità iniziale. A un certo punto inizia gradualmente a correre, ad arrabbiarsi, a usare il corpo in modo dinamico. Levi cambia meno nel corso del film, perché è più solido, più emotivo fin dall'inizio, ma forse il cambiamento maggiore lo attraversa Alice che da ragazzina diventa donna e inizia a comportarsi in modo sempre più adulto.
Silvio Orlando: Girare un film è sempre un'avventura. La più grande difficoltà di un regista è rapportarsi con esseri umani che cambiano. Tra queste vi è anche la fisicità. Tante cose che erano scritte sul copione io non le ho ritrovate sullo schermo, ma ho visto un me stesso altro da me e questa è la prima volta che mi succedeva al cinema. E' stata una bella sensazione.
Alice Raffaelli: Io non ho una preparazione specifica da attrice, ma avendo studiato danza mi sono approcciata al ruolo in modo fisico, perciò è stato tutto più naturale.
Bruno Oliviero: Confermo. Il mio film ruota intorno al binomio sesso/potere. La gioventù milanese produttrice di miti in Italia è stata la prima a esplicitare certi comportamenti non certo nuovi, a usare il corpo per fare una scalata sociale. Milano è una città simbolo perché esplicità una realtà che in Italia è diffusa da sempre. E' una città di conflitti nel senso cinematografico del termine, e a me non interessava fare un film di denuncia quanto raccontare una storia.
Silvio Orlando: Sono arrivato a Milano negli anni '80 e ho vissuto lì per otto anni. La città era caratterizzata da un'euforia un po' ebete che pervadeva tutto e tutti. Questo film è figlio della deriva di quegli anni. La mercificazione del corpo esiste da sempre, ma in questi anni ha avuto un'ufficializzazione. La Milano che ho conosciuto io non la rimpiango, questa è un po' più ricca, disperata e interessante.
Il riferimento a Silvio Berlusconi e al Rubygate è esplicita?
Bruno Oliviero: No, la sceneggiatura è stata scritta prima dell'esplosione del Rubygate, però non è casuale il fatto che il film esca in questo preciso momento storico in cui coincide con certe sentenze. Però non abbiamo previsto niente, non sono eccessivamente ossessionato da Berlusconi.
Al di là della storia personale tra padre e figlia c'è una relazione tra due agenti di polizia, quello veterano e quello giovane e inesperto. Come avete sviluppato quello che è uno dei canoni della detective story?
Giuseppe Battiston: Semplificando direi che ci sono due agenti, quello buono e quello furbo. Quello buono non ha più stimoli né voglia di lavorare, quello furbo non si fa tanti scrupoli nel far quadrare le cose a suo vantaggio. C'è una figura più esperta e una più ambiziosa. Cquello che mi è piaciuto di questo ruolo è stata la possibilità di osservare come lavorano i poliziotti, imparando a riprodurre un linguaggio tecnico, mettendo in moto la fantasia per ricostruire qualcosa di verosimile, ma che mi divertisse. L'interazione con Silvio è stato un altro elemento essenziale, ma non è la prima volta che lavoriamo insieme perciò è stato molto facile. Bruno ci ha aiutato a interlacciarci anche con gli altri personaggi mostrando due famiglie, una felice, l'altra disgregata.
Michael Stevens: Questa è la prima volta che compongo musiche per un film italiano. Bruno viene dal documentario, ma è un vero regista. Abbiamo iniziato a collaborare in una fase preliminare del film. Man mano che la storia si sviluppava e si stratificava, la musica veniva composta in parallelo. Ho guardato il premontato tante volte cercando di coglierne gli aspetti emotivi e di supportare con la musica le grandi interpretazioni degli attori. Alla fine mi sono sentito molto orgoglioso e non vedo l'ora di vedere il film in piazza.
Quali differenze hai colto tra l'industria italiana e quella americana?
Michael Stevens: Più il film è grande più devi rendere conto a chi ti sta sopra. La variabile umana è stato realizzato con grande libertà. Bruno è stato in grando di fare il film che voleva e questo a Hollywood non accade mai.
Silvio, sei soddisfatto di un ruolo così diverso dagli altri?
Silvio Orlando: Forse ci sono arrivato tardi a essere altro da me. Negli ultimi fim che ho fatto ho capito alcune cose della mia professione e ho la sensazione di averle comprese tardi, di essermi perso qualcosa. Forse non avevo abbastanza stima di me, non pensavo di avere abbastanza strumenti attoriali per tentare nuove vie. In questo film ho visto quale sarà la mia seconda vita.